sabato 4 aprile 2015

Fu Matteo Renzi, tramite il padre partigiano del suo salumiere Farinetti, a liberare l'Italia dall'occupazione sovietica nel 1945


L’avventura partigiana del comandante Farinetti 

Protagonista della Resistenza nell’Albese, raccontato dal figlio fondatore di Eataly. Il giallo della rapina nel ’46 
Mirella Serri La Stampa 3 4 2015

«Ei suma!», ovvero «ci siamo!», esclamò il comandante Paolo il 2 agosto 1944: con i suoi uomini si appostò sulla strada tra Asti e Alba e bloccò l’auto con tre ufficiali tedeschi. Poi ordinò: «Spogliatevi!». Vestito da militare nazista, Paolo Farinetti fece irruzione nella sede del comando fascista di Alba e con un colpo di mano anticipò il 10 ottobre dello stesso anno, quando i «ribelli», come li chiamava Mussolini, conquistarono la città piemontese. Sembra veramente di vivere in un’epica narrazione alla Beppe Fenoglio quando si legge la biografia del comandante Farinetti, scritta dal figlio Oscar, Mangia con il pane. Storia di mio padre, il comandante Paolo (Mondadori, pp. 204, € 17). 

L’imprenditore e fondatore di Eataly, in coincidenza con i 70 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, coadiuvato dallo storico Fabio Bailo, ripercorre la vita del genitore scomparso nel 2009, mosso anche dal desiderio di chiarire alcune ombre del passato tornate a far discutere pure di recente. «Mangia cun el pan!», «mangia con il pane», esortava nonna Teresa. Ovvero risparmia e fai il tuo dovere: il padre di Oscar, prima di diventare il capo di una sua formazione partigiana inquadrata sotto le insegne socialiste delle brigate Matteotti, fa tanti mestieri e lavora persino in un pastificio (un nome, un destino, verrebbe da dire). Quando imbraccia il fucile per andare in montagna, il ventunenne di Barbaresco scopre che non solo è in grado di dedicarsi alla guerriglia ma anche a organizzare i suoi combattenti. Le trappole che tende ai nazifascisti vanno dalle incursioni all’ospedale cittadino, per procurare abiti e viveri, al deragliamento dei treni. 
Durissimo è l’inverno 1944, con i repubblichini e i soldati del Führer a caccia dei giovani resistenti dopo che Alba è caduta di nuovo nelle mani dei militi in camicia nera. Nell’aprile del 1945, Farinetti colpito a una gamba, non partecipa alla liberazione della città. Ma, alla fine della guerra, per lui le battaglie non sono terminate. Il 23 maggio 1946 tre ex partigiani della brigata comandata da Farinetti, a Torino fanno un colpo grosso e rubano due milioni e mezzo di lire, gli stipendi degli operai della Fiat. Circola la voce che il capitano possa essere implicato nella faccenda.
La macchina del fango gira, ma la sentenza emessa dalla corte d’assise il 16 luglio 1946 non lascia adito a dubbi: «Perfettamente opposta a quella degli imputati testé esaminati è la posizione del Farinetti Paolo, non risultando una sua attiva partecipazione all’organizzazione del crimine o alla sua esecuzione». 
Farinetti però è condannato a due anni e sei mesi per ricettazione: ha accettato la restituzione di un prestito fatto ai compagni di lotta divenuti malavitosi. Nei successivi 13 anni «mette insieme le ricevute della banca, le fatture da pagare… fino al 30 dicembre 1960, quando arriva la riabilitazione completa», scrive Oscar: «La fedina penale è nuovamente immacolata». In questo durissimo periodo i concittadini gli sono sempre vicini: ogni 25 aprile, mentre marcia alla testa dei suoi partigiani, rendono omaggio alle gesta del mitico comandante Paolo. 



L’avventura partigiana del comandante Paolo sulle colline di Fenoglio


di Massimo Novelli Repubblica 9.4.15
NON è un caso che Tonino Guerra, il poeta romagnolo scomparso qualche anno fa, sia stato un collaboratore e un amico di Oscar Farinetti, il fondatore di Eataly. Perché l’ottimismo, il «sale della vita» predicato dallo sceneggiatore di Federico Fellini in un noto spot televisivo è il nocciolo della filosofia pratica dell’imprenditore di Alba. Era così anche per il padre del signor Eataly: Paolo Farinetti, comandante partigiano della XXI brigata Matteotti “Fratelli Ambrogio” nelle Langhe e iniziatore delle fortune di famiglia. A lui, morto nel 2009, Farinetti ha dedicato Mangia con il pane, scritto con il contributo del ricercatore storico Fabio Bailo e pubblicato ora da Mondadori .
La storia del comandante Paolo, delle sue imprese nella Resistenza come la liberazione di alcuni prigionieri dal carcere fascista di Alba nel marzo del 1945, non è finzione, ma vita vera: prima la conquista della libertà e poi, nel dopoguerra, la costruzione della sua impresa commerciale, gli ipermercati della Unieuro, la cui vendita è all’origine della nascita di Eataly. Quel Mangia con il pane del titolo è un’espressione piemontese. Da un lato significa che per sopravvivere, ci vogliono molte pagnotte; dall’altro, si traduce in imperativi morali e sociali: stare coi piedi per terra, non prevaricare, avere il senso del dovere. Paolo Farinetti mangiò solo con il pane tante volte, a cominciare dai venti mesi di guerra di liberazione e quindi nel dopoguerra, quando, disilluse le speranze di un cambiamento radicale del Paese, più di un partigiano, come ne La paga del sabato di Beppe Fenoglio, si sbandò, arrivando a infrangere la legge.
Lo stesso Paolo venne coinvolto in uno di quegli episodi, pur essendone completamente estraneo: una rapina messa a segno da un gruppo di suoi ex compagni. Farinetti figlio non lo nasconde, raccontandolo per onorare la memoria di suo padre, peraltro riabilitata a livello giudiziario già nel 1960, e per dimostrare l’infondatezza di altre accuse che lo avevano investito. Una di queste riguarda il famoso “tesoro” della IV armata del nostro regio esercito, in rotta nel Cuneese dopo l’8 settembre del 1943. Oggi si sa che il grosso delle finanze dell’armata, circa 800 milioni di franchi francesi e qualche milione in lire, finì alla Resistenza e fu restituita alla Banca d’Italia dopo la fine della guerra; una parte fu requisita dai fascisti. Una leggenda tutta langarola recita invece che somme considerevoli vennero sottratte da qualche ex partigiano dell’Albese, che grazie a quel denaro si poté arricchire. Uno di loro sarebbe stato Paolo Farinetti. Una sciocchezza, narra il figlio Oscar e un’assurdità dimostrata dalla vita stentata, dai debiti con le banche, che segnarono i primi anni del dopoguerra di Paolo. La verità è che alla smobilitazione, nel maggio del ’45 quasi tutti i partigiani vennero congedati senza effettive ricompense e senza nemmeno un “grazie”, come era accaduto ai rivoluzionari piemontesi del 1821 e ai garibaldini del 1860.
Oscar Farinetti onora uomini come Paolo Farinetti, e ovviamente la Resistenza, affinché non vengano triturati nella discarica mediatica contemporanea, dove si cancella o si infanga la storia e la memoria degli uomini che lottarono per una causa giusta e che seppero vincere la fenogliana “malora”.


Pane e Resistenza: la vera storia del comandante Paolo Farinetti 
Mercoledì 29 Aprile, 2015 CORRIERE DELLA SERA © RIPRODUZIONE RISERVATA
Diciottomila lire. Tanto valeva la vita di un mezzadro, nella Langa della Malora . Se Natale Farinetti fosse stato un bracciante agricolo, il valore della sua vita sarebbe stato ancora inferiore. Erano gli anni in cui i vignaioli scendevano al mercato di Alba con i carri delle uve e dovevano sottostare ai prezzi decisi dai grossisti. Natale Farinetti fu investito e ucciso da uno dei primissimi camion che giravano sulle colline. Sua moglie Teresa era lì vicino, curva sui campi, con il piccolo Paolo, nato da meno di un anno, in una cesta. Con i soldi dell’assicurazione comprò un piccolo cascinale, poi rivenduto, ma cinquemila lire le mise da parte e le versò in banca. Paolo Farinetti conservò quella cedola per tutta la vita, senza incassarla mai. 
Oscar, il fondatore di Eataly, in realtà si chiama Natale. Suo padre Paolo non se la sentì di derogare alla regola per cui il primogenito maschio porta il nome del nonno. Oscar era il nome di battaglia di un suo amico partigiano, caduto in combattimento. 
Mangia con il pane. Storia di mio padre, il comandante Paolo (Mondadori) è il libro in cui Farinetti racconta non solo venti mesi di guerra di Liberazione sulle Langhe, ma anche il percorso di una comunità, dalla Malora fenogliana — «Pioveva su tutte le Langhe. Lassù a San Benedetto mio padre si pigliava la sua prima acqua sottoterra» — allo sviluppo internazionale. «Mangia con il pane» era la frase che nonna Teresa ripeteva a Oscar quand’era bambino. Intendeva dire: non tenere per te tutto il companatico, aiutati con il pane, non essere egoista; cerca di conciliare umiltà e ambizione, onestà e astuzia. 
L’autore non tace niente, né la leggenda del tesoro della Quarta Armata né la questione della rapina del 1946, commessa — a sua insaputa — da tre uomini del comandante Paolo, che fu assolto: ma questo non impedisce oggi ai numerosi nemici, di destra e di sinistra, che il successo ha procurato a Farinetti di usarla come arma polemica nei suoi confronti. 
Sarebbe impossibile riassumere in poche righe le vicende ora picaresche ora eroiche di quella banda di ragazzi che divenne la XXI brigata Matteotti. Paolo Farinetti si traveste da ufficiale nazista senza sapere una parola di tedesco, tenta di risparmiare la vita dei nemici, guida una missione quasi suicida per liberare dal carcere di Alba i partigiani condannati a morte dai fascisti: ma incredibilmente il blitz riesce, anche perché il commando ha l’appoggio di don Gianolio, braccio destro del vescovo monsignor Grassi. È una vicenda che Farinetti ha ricostruito grazie alla memoria della madre Bianca e al lavoro del giovane storico Fabio Bailo. Dopo la liberazione la famiglia fonda un pastificio, che però fallisce; e nel 1958 l’inventario di Bianca segnala che sono rimaste in cassa 45 lire, con cui compra tre sigarette «Nazionali lunghe» per il marito. Poi l’avventura imprenditoriale riprende, gli elettrodomestici funzionano, si passa all’elettronica, poi Oscar fonda le Osterie Fuoriporta, che però stentano a decollare. «Non si guadagna a far da mangiare, si guadagna a vendere» gli dice il padre. L’intuizione di Eataly nasce da lì. 
Ma il libro non è la storia di un successo commerciale. È la vicenda di formazione di una famiglia e di una comunità, per le quali la lotta partigiana rappresentano l’ imprinting , l’ingresso in una democrazia che nelle Langhe non ha venature di classe, ma è legata alla libertà di intrapresa. Anche se, annota Farinetti, «mio padre non si era mai sentito un padrone. Lui era un comandante, come lo era stato da partigiano e come non ha mai cessato di esserlo, per la vita».

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