giovedì 23 aprile 2015

Giddens è anche esperto climatologo


Anthony Giddens: La politica del cambiamento climatico, il Saggiatore

Risvolto

Il riscaldamento globale è la sfi da più formidabile della nostra epoca. Non si tratta di salvare il pianeta, che sopravviverà qualunque cosa facciamo. Il punto è preservare un livello di vita accettabile per gli esseri umani sulla Terra, e se possibile migliorarlo. Ne va della nostra civiltà. Perché, allora, la maggior parte delle persone agisce come se si potesse ignorare una minaccia di questa gravità? I pericoli che il cambiamento climatico porta con sé appaiono astratti, sfuggenti, estranei alla vita quotidiana, e tendono a passare in secondo piano rispetto a problemi più immediati. Ma se per attivarci concretamente attendiamo di essere scossi da catastrofi e tragedie macroscopiche, a quel punto la situazione sarà già irreversibile. La politica del cambiamento climatico fornisce gli strumenti analitici per superare questo drammatico paradosso. Anthony Giddens passa in rassegna le alternative, gli interessi e le opportunità in gioco, smascherando i contraddittori luoghi comuni che imperversano nel dibattito pubblico sui temi ambientali, dallo sviluppo sostenibile al principio di precauzione, dal capitalismo verde alla decrescita. Non basta immaginare un mondo diverso, o indicare soluzioni tecniche e buone pratiche: le ricette devono essere effettivamente applicabili, democratiche e generalizzate. Per questo i nodi da sciogliere sono soprattutto di natura politica. Sensibilizzare le persone senza eccedere in allarmismi; conciliare la riduzione su larga scala delle emissioni di CO2 con l’«imperativo dello sviluppo» dei paesi più arretrati; riconvertire le economie del mondo industrializzato evitando tanto le trappole del sovrasviluppo quanto gli attuali, evidenti rischi di impoverimento; concentrare ricerca e investimenti nel settore delle energie rinnovabili: tutte queste urgenze coinvolgono in primo luogo le istituzioni politiche locali, nazionali e internazionali, e il loro rapporto con imprese e Ong. In particolare, lo stato dovrà assumere un ruolo di pianificatore e di garante, applicando con equità il principio «Chi inquina paga» e, in sinergia con i privati, convogliando le nostre immense potenzialità tecnologiche verso l’obiettivo di mitigare il cambiamento climatico e predisporre la società alle sue conseguenze. Sarà proprio l’espansione della potenza umana che ha prodotto la minaccia del disastro a permetterci di sventarlo?


Il paradosso ambientale di Anthony Giddens 
Saggi. Pubblicato "La politica del cambiamento climatico" di Anthony Giddens per il Saggiatore 

Alessandro Santagata, il Manifesto 23.4.2015 

Pub­bli­cato la prima volta nel 2009 e poi rie­dito nel 2011, The Politcs of Cli­mate Change è un testo di cui molto si è discusso a livello inter­na­zio­nale. Que­sta prima tra­du­zione in ita­liano (La poli­tica del cam­bia­mento cli­ma­tico, Il Sag­gia­tore) rap­pre­senta dun­que un’opera meri­to­ria in vista del pros­simo ver­tice di Parigi delle Nazioni Unite, ma che arriva forse con qual­che anno di ritardo. L’autore non è solo l’ex-direttore della Lon­don School of Eco­no­mic, ma è stato anche stretto con­si­gliere di Tony Blair, non­ché il teo­rico della «terza via» verso il «Nuovo capitalismo». 
Pen­sato come un lungo mani­fe­sto poli­tico, il volume risente, da un lato, della crisi di quel modello, dall’altro di una certa obso­le­scenza rispetto agli svi­luppi discus­sione scientifico-tecnologica. Molti dei docu­menti ai quali si fa rife­ri­mento (il quarto rap­porto dell’Ippc, per esem­pio) sono stati supe­rati. La mag­gio­ranza dei pro­blemi sul tavolo però sono rima­sti irri­solti e su que­sti aspetti l’analisi pro­po­sta con­serva ancora ele­menti di inte­resse. Il punto di par­tenza è quello che viene defi­nito il «para­dosso di Gid­dens». Que­sto con­si­ste nel fatto che, non essendo i peri­coli legati al cam­bia­mento cli­ma­tico tan­gi­bili e visi­bili nel corso della vita quo­ti­diana, le società ten­dono a igno­rare la que­stione. Se però si aspetta che i peri­coli diven­gano macro­sco­pici prima di inter­ve­nire c’è da temere che a quel punto sarà tardi per tor­nare indie­tro.
Come viene mostrato dai son­daggi inter­na­zio­nali, la coscienza del pro­blema cli­ma­tico e ener­ge­tico è dif­fusa, ma a ciò non segue la con­vin­zione che si debba modi­fi­care il pro­prio stile di vita. Per que­sto Gid­dens ritiene irrea­li­stico che pos­sano fun­zio­nare stra­te­gie fon­date sulla paura oppure mano­vre di stampo esclu­si­va­mente diri­gi­sta e puni­tivo. È da pre­fe­rire invece un sistema che a fianco delle san­zioni (il prin­ci­pio del «chi inquina paga») appli­chi incen­tivi di tipo fiscale e pro­muova van­taggi di tipo eco­no­mico sul con­trollo ener­ge­tico (azien­dali e individuali). 
Certo, in Ame­rica il tetto alle emis­sioni e l’investimento sulle rin­no­va­bili con­ti­nuano a divi­dere demo­cra­tici e repub­bli­cani, i quali hanno bloc­cato l’American Clean Energy Act di Obama. Tali ten­sioni hanno avuto rica­dute anche sulla poli­tica ambien­tale inter­na­zio­nale. Dal 1992 (l’anno sum­mit di Rio de Janeiro) i nego­ziati tra i prin­ci­pali paesi indu­stria­liz­zati sono andati avanti, tut­ta­via – ricorda Gid­dens – con scarsi risul­tati come ha dimo­strato anche il ver­tice di Cope­na­ghen del 2009. 
I pro­blemi della povertà e dello svi­luppo rapido, del resto, sono stret­ta­mente legati a quello dell’aumento della popo­la­zione e rap­pre­sen­tano una della cause fon­da­men­tali della pres­sione che oggi minac­cia le risorse. È su que­sto punto che si misu­rano secondo l’autore le prin­ci­pali dif­fi­coltà poste dal biso­gno di con­ci­liare la pro­gres­siva espan­sione dell’offerta mon­diale di beni di con­sumo con gli inte­ressi geo­po­li­tici delle parti in causa e con i biso­gni ambien­tali. Dopo aver demo­lito lo slo­gan ras­si­cu­rante di «svi­luppo soste­ni­bile» e certe inter­pre­ta­zioni catar­ti­che della Green Eco­nomy, Gid­dens imma­gina un New Deal sotto l’egida dell’Onu per la fine della dere­gu­la­tion. Il libro, che ha il pre­gio ana­liz­zare i rap­porti di forza e le oppor­tu­nità poli­ti­che reali, non sem­bra for­nire però novità signi­fi­ca­tive sul come affron­tare la debo­lezza degli Stati-nazione di fronte ad una crisi di sovra­nità che sem­bra irre­ver­si­bile e rispetto alla quale non bastano il coin­vol­gi­mento delle Ong e la respon­sa­bi­liz­za­zione dei grandi gruppi capitalistici.

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