lunedì 13 aprile 2015
Giorgio Galli: la crisi della democrazia moderna in Italia senza il concetto di lotta di classe
Risvolto
Come
la borghesia finanziario-speculativa e i ceti burocratico-parassitari
hanno saccheggiato l’Italia repubblicana fino a vanificare lo stato di
diritto.
Il “golpe invisibile” qui ricostruito dal politologo Giorgio Galli ha
preso le mosse negli anni Settanta del secolo scorso, si è rafforzato
negli anni Ottanta del craxismo, e ha avuto pieno compimento durante il
quasi ventennio berlusconiano. È stato attuato dalla borghesia
finanziario-speculativa e dai ceti burocratico-parassitari i quali,
assunto il pieno controllo delle forze politiche e preso il potere in
forma egemonica, hanno potuto saccheggiare l’Italia repubblicana facendo
“carta straccia” di molte pagine della Costituzione. Il “golpe
invisibile” dei ceti speculativi e parassitari ha generato un debito
pubblico astronomico (decenni di evasione fiscale, di ruberie,
corruttele e malversazioni), ha vanificato lo stato di diritto e il
controllo di legalità della magistratura, ha consolidato il potere della
criminalità organizzata (mafie che sono parte integrante dei ceti
speculativi e parassitari), e ha alterato l’economia di mercato
riducendo in povertà milioni di imprenditori e lavoratori. Soprattutto,
il “golpe invisibile” ha impedito che la società italiana superasse il
congenito familismo amorale e si dotasse di una cultura civica.
Giorgio Galli Sbloccare il Paese da speculatori e parassiti
di Giuseppe Oddo Il Sole Domenica 12.4.15
Il malgoverno, l’illegalità, il saccheggio delle risorse pubbliche sono
divenuti in Italia una condizione permanente realizzatasi a partire
dagli anni ’70 con un “golpe invisibile” che ha segnato la storia della
prima repubblica, condizionato lo svolgersi della seconda e che lascia
appese a un filo di speranza le sorti della terza. Gli artefici di
questo degrado materiale, morale e civile del Paese, che hanno reso la
democrazia un “simulacro”, sono, a giudizio di Giorgio Galli, la
borghesia finanzario-speculativa e i ceti burocratico-parassitari che
già quarantinque anni fa si erano impadroniti della Dc.
Il politologo ottantasettenne autore di una produzione saggistica tra le
più vaste ed originali osserva come a metà degli anni ’70 si fossero
create le condizioni per una svolta che sbarrasse la strada alla finanza
d’assalto dei Sindona e dei Calvi e all’avanzata della borghesia di
Stato allora rappresentata da Eugenio Cefis. Alle politiche del 20
giugno 1976 il Pci aveva raggiunto il massimo storico del 34,4 per
cento. La Dc, al 38,7%, non disponeva più di una maggioranza. Il
responso delle urne rendeva attuale una svolta riformista.
I ceti produttivi e la borghesia industriale erano pervasi da una
corrente di cambiamento che aveva contagiato la parte di elettorato
cattolico che due anni prima si era espressa per il divorzio. Si sarebbe
potuto costituire, dice Galli, un governo di programma presieduto da
Ugo La Malfa, sostenuto da una robusta rappresentanza comunista, insieme
a socialisti, repubblicani e socialdemocratici e con qualche ministro
Dc ancora presentabile.
Purtroppo mancarono gli interpreti di quella stagione. Il Pci «consentì
il formarsi di un governo monocolore democristiano presieduto da
Andreotti, per la cui maggioranza fu inventata la formula della “non
sfiducia”»; e lo consentì «gratuitamente», annota lo studioso,
«condizionato da una campagna mediatica che indicava nel “terrorismo”
(comprendente ogni forma di contestazione) il maggior problema da
fronteggiare».
Fu così che il partito guidato da Enrico Berlinguer cominciò a perdere
consensi, replicando le politiche di austerità dei governi democristiani
proprio mentre l’alta inflazione erodeva i salari dei lavoratori che lo
avevano votato in massa.
La finestra di opportunità per un ricambio, che s’era aperta nell’estate
1976, si chiuse diciotto mesi più tardi, quando lo scudocrociato
«ritenne giunto il momento di ricollocare all’opposizione un Pci che
perdeva voti in parziali elezioni amministrative…, mentre ne
riguadagnava la...Dc».
Negli anni ’70 e ’80, i fenomeni di arricchimento si ingigantirono. La
corruzione divenne epidemica. Ai Michele Sindona e ai Nino Rovelli, che
avevano il loro garante in Giulio Andreotti, subentrò la P2 di Licio
Gelli, «stanza di compensazione dell’economia della corruzione di
matrice politico-affaristica». Emersero imprenditori dalle «rapide
fortune personali» come Silvio Berlusconi, «espressione della continuità
del sistema». L’intreccio mafia-politica assunse carattere strutturale.
La spesa pubblica lievitò. I ceti improduttivi e parassitari che
avevano conquistato la Dc catturarono il Psi di Bettino Craxi per poi
trovare rappresentanza, nel 1994, nel partito-azienda di Berlusconi. Il
berlusconismo diede vita, secondo Galli, a «un regime
politico-affaristico-mediatico» che «un’opposizione di centro-sinistra
evanescente e condiscendente» evitò di riconoscere e di definire tale.
La sinistra geneticamente modificata, divenuta ormai maggiornza in
Parlamento, sventolò trionfante la bandiera delle privatizzazioni. Ma la
vendita delle imprese di Stato, attuata prima da Romano Prodi e poi da
Massimo D’Alema, ebbe l’effetto di rendere ancora più famelico il ceto
speculativo-parassitario e di consegnare a una “razza” non più
“padrona”, ma predona, società strategiche come Telecom. Il Pds-Ds, oggi
Pd, «aveva l’occasione di stabilizzare il sistema, affrontando
l’oligarchia finanziario-speculativa a partire da uno dei suoi baluardi:
l’impero mediatico berlusconiano basato sull’illecito monopolio della
tv privata». D’Alema, invece, accantonò il conflitto d’interesse e con
una ottusità «tanto spregiudicata quanto miope, aprì la strada a quella
involuzione del partito ex comunista della quale l’avventurista Matteo
Renzi sarà l’approdo terminale».
Galli si rifà in conclusione alle teorie del politologo Usa Robert Dahl,
secondo il quale la democrazia dei nostri successori sarà diversa da
quella dei nostri predecessori: «O si restringerà in una oligarchia...;
oppure evolverà verso una democrazia più partecipata». E anche se vede
l’Italia incamminata verso una «postdemocrazia autoritaria», l’ottimismo
della ragione lo induce a non escludere la possibilità di un moto di
indignazione che modifichi il corso degli eventi: un’ondata di sdegno
con forti ricadute elettorali che spinga Renzi ad abbandonare il
sentiero dell’«involuzione oligarchica» per rimettere al centro della
sua iniziativa politica «lo Stato di diritto e l’economia produttiva».
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
1 commento:
la sinistra italiana ha mostrato o la sua vera faccia ruffiana quando berlinguer ha avuto il coraggio di dire agli operai della fiat in sciopero "se volete occuppiamo la fabbrica"... era lui che doveva decidere di occuparla, per salvare l'talia dal degrado e la classe lavoratrice italiana.
Ma anche lui era solo un borghese con la sua educazione di classe.
ein6qz Site Admin Messaggi: 905Iscritto il: gio apr 10, 2014 1:02 pm
Posta un commento