giovedì 9 aprile 2015

La sinistra PD vuole un Italicum ancora peggiore e riceve le solite pernacchie

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Va detto che a tutti i cespugli, compresa la sedicente sinistra radicale, questa legge va benissimo perché lo sbarramento è al 3% e un po' di speranza di sfangarla piace a tutti [SGA].


Riforma elettorale Un gigante con tanti cespugli

di Antonio Polito Corriere 8.4.15
Se tutto resterà com’è, non c’è da andar tanto fieri della riforma elettorale che Montecitorio si appresta a varare. Innanzitutto per un problema di metodo. Le leggi elettorali sono le regole del gioco politico, e dovrebbero perciò essere considerate imparziali dal maggior numero possibile di giocatori. Altrimenti nascono zoppe, con maggioranze risicate, e hanno vita breve, come accadde prima al Mattarellum e poi al Porcellum. L’Italicum sembrava partito bene. Renzi chiarì che per evitare quel rischio bisognava cercare un compromesso tra le maggiori forze politiche. Per questo fece un accordo con Berlusconi, e a chiunque chiedesse modifiche replicò che non poteva tradire quell’accordo. Per questo ne offrì uno, a un certo punto sembrò anche seriamente, ai Cinquestelle. E invece in dirittura finale l’Italicum arriva con un sostegno politico molto ristretto, perfino inferiore alla stessa maggioranza di governo, a causa della fronda interna al Pd; addirittura inferiore al consenso con cui fu approvato il Porcellum, che per lo meno ebbe i voti di tutti i sostenitori del governo dell’epoca, e cioè Forza Italia, An, Lega Nord e Udc.

C’è dunque un’elevata probabilità che gran parte dello schieramento politico consideri ostile la legge che sta per essere approvata, e ne contesti aspramente la legittimità anche in futuro, fino magari a sostituirla per l’ennesima volta quando le maggioranze muteranno. Non sarebbe una novità: da vent’anni cambiamo sistema elettorale ogni dieci anni.
M a se il risultato fosse eccellente, e cioè una legge elettorale di stampo europeo al di sopra di ogni sospetto, si potrebbe anche tollerare il modo in cui nasce. Purtroppo non è così. Di stampo europeo certamente non è, perché il premio di maggioranza non esiste in nessuna delle grandi democrazie europee con l’eccezione della Grecia (anche se il premier garantisce che correranno a copiarcela tutti). Al di sopra di ogni sospetto nemmeno, perché introduce di fatto l’elezione diretta del capo del governo senza dargliene i poteri e senza prevedere i contrappesi che esistono nei sistemi presidenziali. Produrrà dunque uno pseudo presidente in uno pseudo Parlamento, quest’ultimo essendo ulteriormente indebolito dal declassamento del Senato a vacanze romane dei consiglieri regionali e dalla selezione per nomina di un elevato numero di deputati. Per di più, non prevedendo la possibilità di apparentamenti al secondo turno come invece è nelle città italiane e nel Parlamento francese, assegna il 55% dei seggi a uno solo e il restante da dividere tra tutti gli altri, che a questo punto saranno molti visto che lo sbarramento è al 3%. Il risultato non sarà una forte e responsabile opposizione, bensì un coacervo di sigle frammentato e impotente, inevitabilmente portato al chiasso mediatico e alla protesta demagogica.
Un gigante e tanti cespugli: non è esattamente questa la democrazia rappresentativa in Europa. Non stiamo infatti per approvare una legge maggioritaria, che moltiplica i voti in seggi per dare una maggioranza; ma una legge proporzionale, cui alla fine si sommano i seggi del premio. Della stessa famiglia, dunque, delle tre più contestate della nostra storia: la legge Acerbo del 1923, la cosiddetta legge-truffa del 1953 (su entrambe il governo mise la fiducia) e la legge Calderoli del 2005.
I difetti dell’Italicum sono tanti. Il pregio è unico, ma non da poco: risponde a uno stato di necessità, e riempie il vuoto aperto dalla sentenza della Consulta. Qualsiasi legge elettorale è meglio di nessuna legge elettorale. Però in sedici mesi si doveva (e si può ancora) fare di meglio. 


Italicum, l’ultimo appello dei dissidenti pd al premier “Meno nominati o è rottura”


Documento di Area riformista, la corrente dei pontieri Tra i 70 firmatari il ministro Martina. Bersani non aderisce
di Giovanna Casadio Repubblica 8.4.15
ROMA «All’orizzonte si profila un altro enorme rischio: una frattura dentro il Pd. Se così fosse, su quale terreno facciamo camminare le riforme? Questa rottura non possiamo permettercela ». È l’sos della corrente dem “Area riformista”, che fa capo a Roberto Speranza, lanciato nel giorno in cui inizia in commissione Affari costituzionali a Montecitorio l’esame dell’Italicum. È un appello a Renzi: «Riapra il dialogo sulla legge elettorale». Segue una proposta precisa, una soltanto: ridurre il numero dei nominati in lista. Nell’Italicum infatti sono previsti i capilista bloccati, e poi gli eletti con le preferenze. Se una lista vince e ha il premio di maggioranza, saranno un centinaio i nominati sui 340 deputati ottenuti con il premio. Ma per chi perde, la quota dei nominati è invasiva. Ecco quindi la richiesta della sinistra dem di Speranza: «È per noi prioritaria l’esigenza di ridurre il numero dei nominati tra i partiti che non prendono il premio di maggioranza». A sottoscrivere già il documento, che ha tra i suoi promotori il ministro Maurizio Martina, sono una settantina di deputati: da Gugliemo Epifani, l’ex segretario del Pd a Paola De Micheli, sottosegretario all’Economia, Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro, Andrea Giorgis, Enzo Lattuca, Danilo Leva, anche Micaela Campana e Enzo Amendola che sono nella segreteria renziana. Lo hanno scritto materialmente Nico Stumpo e Matteo Mauri. Non lo firmano né Pierluigi Bersani (pronto a farsi sostituire in commissione se si andasse al muro contro muro con Renzi e a non votare in aula l’Italicum senza modifiche), né Speranza, che è capogruppo alla Camera, e comunque dell’appello è l’ispiratore. I 70 per ora “pontieri” insieme con le altre sinistre dem rappresentano lo zoccolo duro del dissenso che potrebbe rendere pericolosa la navigazione dell’Italicum, sommandosi all’opposizione di Forza Italia, Lega, Sel e 5Stelle. Meno minimalista è la posizione della corrente di Gianni Cuperlo, Stefano Fassina e Alfredo D’Attorre come scettico è Pippo Civati. «Se una legge elettorale non va bene e si è detto che non si vota, bisogna essere conseguenti», va all’attacco Civati per il quale i “trattativisti” farebbero bene a sciogliere le loro contraddizioni.


I “pontieri” però non si arrendono, nonostante la blindatura dell’Italicum. Renzi lo ha ripetuto: «L’Italicum non si cambia più». Nell’appello scrivono: «Riflettiamo. Senza fermarci. Possiamo andare avanti al doppio della velocità, se necessario. Però attenzione perché le riforme devono poggiarsi su un terreno largo. E questo terreno si è già ristretto. E’ solo la maggioranza a fare le riforme, perché il Patto del Nazareno non c’è più. E se anche un pezzo del Pd non ci sta, rendiamo quel disegno essenziale più debole e non più forte. C’è ancora uno spazio possibile per trovare un’intesa? Sì, c’è». Pensano che il testo dell’Italicum si possa riaprire con un accordo preventivo al Senato di tutta la maggioranza di governo, così da evitare brutte sorprese. Ma Renzi evidentemente non si fida. D’Attorre sospetta che il premier sia pronto a elezioni anticipate: «Se Renzi anticipa così la riforma elettorale, e dice che non vuole un nuovo passaggio al Senato - dove c’è la riforma costituzionale - perché non ha i numeri, vuol dire che sta pensando di abbandonare la riforma costituzionale al suo destino e tutto fa pensare che voglia andare a elezioni anticipate ». Damiano invita a non smettere di cercare il confronto: «Non bisogna lasciare nulla di intentato». Nel Pd è alta tensione. Oggi in commissione ci saranno i primi colpi di scena.
La lettera appello di Speranza: niente scissione, ma trattiamo

di Monica Guerzoni Corriere 8.4.15
Italicum, il documento punta a raccogliere 120 firme. Ultimo nodo: i capilista bloccati


ROMA La legge elettorale fortissimamente voluta da Matteo Renzi approda oggi in commissione Affari costituzionali e, dopo giorni di stallo, la minoranza del Pd prende l’iniziativa. La mossa del capogruppo Roberto Speranza è una lettera-appello al premier perché riapra il dialogo sull’Italicum: «È vero che le riforme sono ineludibili, ma è altrettanto indispensabile farle bene. Nessuno di noi vuole veti, ricatti, ultimatum...».
Con il documento il presidente dei deputati si gioca l’ultima carta per non dividere la sua componente e per scongiurare una pericolosa frattura nel Pd, che rischierebbe di innescare la scissione dell’ala sinistra. «Siamo convinti — si legge nelle due cartelle di testo — che la parola scissione non debba far parte del vocabolario del Pd. Questa rottura non possiamo permettercela. Riflettiamo. Senza fermarci».
Area riformista, che si riunirà oggi, offre al segretario un patto: far passare liscio il testo in commissione grazie alle dimissioni volontarie di alcuni membri della minoranza e rimandare la battaglia all’Aula. Con una postilla non scritta, che Davide Zoggia spiega così: «Al Senato nessuno di noi farà scherzetti».
A Renzi gli esponenti più dialoganti della minoranza chiedono, in sostanza, di soppesare bene l’opportunità di portare avanti le riforme senza un pezzo di Partito democratico. Questo perché con la fine del patto del Nazareno tra Renzi e Silvio Berlusconi «la maggioranza che sostiene le riforme si è ristretta» e in aula, a voto segreto e col Pd spaccato, cattive sorprese non sono escluse.
Ottanta firme sono state già raccolte (Stumpo, Damiano, Epifani, Agostini, Zoggia, Giorgis...) e Area riformista punta a schierarne in calce al testo 120, coinvolgendo anche i «duri» come Civati, Bindi, D’Attorre. I promotori sono convinti che arriverà anche la firma di Bersani. I toni del documento sono dialoganti, però la richiesta di «superare le criticità» della legge elettorale e della riforma costituzionale è la stessa su cui l’ex segretario insiste da settimane. La differenza sostanziale è che, per Area riformista, i capilista bloccati sono il solo nodo da sciogliere. «È una regola democratica che vale per il Paese e non un problema della minoranza del Partito democratico — chiarisce Cesare Damiano —. A Renzi rivolgiamo un appello per l’unità del partito. Il presidente del Consiglio ha già commesso un errore sui licenziamenti collettivi del Jobs act e non vorrei che ci fosse un secondo errore per mancanza di confronto».
La lettera di Speranza è compagni è un estratto dell’intervento con cui, all’ultima direzione del Pd, il capogruppo aveva tentato di convincere Renzi a riaprire i giochi. Ma da allora i vicesegretari Guerini e Serracchiani (e lo stesso premier) non hanno fatto che ripetere che l’Italicum non si tocca. Renzi teme di infilarsi nella «palude» di Palazzo Madama, dove Miguel Gotor prevede un confronto «particolarmente acceso». Ai deputati il senatore bersaniano ricorda «che in virtù dell’articolo 67 della Costituzione essi hanno il dovere di rappresentare anzitutto la nazione» e «tutelare gli interessi della democrazia italiana». Niente vincolo di mandato, è il messaggio.
Anche Alfredo D’Attorre è convinto che sulla legge elettorale non esista disciplina di partito e, se l’Italicum non cambia, lui non lo voterà. Tanto più che Renzi, secondo il deputato bersaniano, corre verso le urne: «Non vuole un nuovo passaggio al Senato perché non ha i numeri e sta pensando di abbandonare al suo destino la riforma costituzionale, per andare al voto». Il 27 l’Italicum approderà in aula e D’Attorre non cede: «Io voterò a favore dei nostri emendamenti».


Boschi gela la minoranza Pd: “L’Italicum va bene così”
Renzi manda avanti il ministro a stoppare le richieste di Area Riformista Bersani per ora si tiene fuori. I voti contro finirebbero per essere solo 20di Carlo Bertini La Stampa 9.4.15
«Io non voto la riforma elettorale e spero che altri siano coerenti»: ecco, basta questo sibillino auspicio di Pippo Civati per far capire come la battaglia dei suoi compagni di strada rischi di sgonfiarsi di qui a fine mese. L’oggetto del contendere è la legge elettorale, la posta in palio e l’unità del Pd, che però non sembra affatto a rischio, malgrado il gioco del cerino ingaggiato dai dissidenti: che faranno firmare il loro documento con le richieste di modifica anche ai senatori bersaniani per far capire a Renzi che 120 parlamentari su 400 del Pd non digeriscono l’Italicum com’è e che se lui accettasse ritocchi nessuno farebbe scherzi poi al Senato.
La mossa del cavallo
Renzi però non ci sta, vuole far presto e non intende cambiare di una virgola il testo, anzi fa di più: non è un caso infatti che alla Camera venga scelto come relatore, lasciando a bocca asciutta i renziani, Gennaro Migliore; new entry del Pd, che quando era capogruppo di Sel votò contro la prima versione dell’Italicum e che ora è pronto a difenderla viste le migliorie e i cambiamenti. «Io mi battei per la soglia del 3% ai piccoli partiti, per la parità di genere e contro la soglia del 37%, troppo bassa per avere il premio di maggioranza», ricorda lui, anticipando così chi volesse rinfacciargli le sue contrarietà alla riforma. Designare proprio lui è un segnale preciso di quanto anche chi abbia un pedigree di sinistra possa considerarla una legge valida e non anti democratica.
La campagna elettorale
Del resto anche i pasdaran bersaniani come lo è stato Davide Zoggia, ammettono che «la legge elettorale non scalda i cuori come il jobs act e dunque la nostra base ci chiede di batterci per cambiarla ma di non rompere alla fine». Ed è proprio quello che avverrà, perché il cuore dello scontro andrà in scena proprio nelle settimane di maggio quando nelle sette regioni dove si vota e in centinaia di comuni i dirigenti Pd saranno impegnati a dar mostra di unità non certo di divisioni.
La fiducia lì sul tavolo
Dunque a poco valgono le richieste dei moderati di Area Riformista guidati dal capogruppo Roberto Speranza, vergate su un documento con un’ottantina di firme in calce, Epifani, Damiano, Stumpo - ma per ora non Bersani - per chiedere due modifiche sui capilista nominati e sull’apparentamento al ballottaggio. L’aria che tira si capisce dalle parole della Boschi alla prima riunione della Commissione Affari Costituzionali, dove approda l’Italicum. «Per il governo la legge è corretta, funziona non necessita di modifiche», dice il ministro interpretando il pensiero di Renzi. Che tiene in serbo la fiducia sull’Italicum come via d’uscita: il testo sarà votato il 20 aprile in commissione e il 27 arriverà in aula. Nel primo round i dissidenti Pd sono la metà dei 23 membri del partito in commissione e quindi forse si faranno sostituire al momento del voto, ma in aula sanno di poter contare sugli scrutini segreti con la sponda dei 5Stelle. «Faremo di tutto per apportare migliorie, dialogheremo anche con il Pd su preferenze e liste bloccate», dice il grillino Toninelli. Però martedì prossimo andrà in scena la conta decisiva dentro il Pd: si riunirà il gruppo dei 300 deputati e alla linea votata a maggioranza tutti si dovranno attenere in aula: «Non dovrei dirlo, però è chiaro che dopo il voto nel gruppo, anche il documento con le nostre richieste rischia di sgonfiarsi», ammette il realista Zoggia. Insomma degli ottanta oppositori della minoranza Pd (cui si assoceranno una trentina di senatori) rischiano di restarne una ventina a votare contro, stando alle previsioni degli stessi promotori.

Italicum, Boschi chiude la porta alla sinistra
Il ministro dopo la lettera di Speranza: funziona così, no a modifichedi M. Gu. Corriere 9.4.15
ROMA Nessuna apertura, nemmeno una concessione piccola piccola. L’appello di Area riformista a Renzi, perché riapra la riflessione sulla legge elettorale, è stato respinto senza tanti complimenti dai vertici del Pd. I deputati della minoranza vicini al capogruppo Roberto Speranza avevano raccolto in calce al documento oltre ottanta firme. E per convincere il premier che, una volta approdato nell’Aula di Palazzo Madama, i «falchi» non avrebbero fatto scherzi, stavano per chiedere la sottoscrizione anche ai senatori. Ma il secco «no» al dialogo scandito da Maria Elena Boschi ha congelato ogni sforzo diplomatico.
«Il testo dell’Italicum è corretto e funziona, non c’è la necessità di modifiche» ha stoppato la minoranza dialogante la ministra delle Riforme, uscendo dalla riunione della commissione Affari costituzionali della Camera. «Ci sono tutti i presupposti per rispettare i tempi». La legge elettorale, incardinata ieri a Montecitorio per la terza lettura, approderà in aula il 27 aprile e Renzi punta ad approvarla senza cambiare una sola virgola, per non doversi infilare nella «palude» del Senato. E se il capogruppo Speranza ha cercato, con la sua lettera-appello, di non spaccare il Pd ed evitare imboscate a voto segreto, il premier sembra pronto ad assumersi i rischi di una navigazione al buio.
La minoranza chiede di diminuire il numero dei nominati e di consentire gli apparentamenti di liste al ballottaggio, ma l’unica concessione che il leader è disposto a fare riguarda la riforma del Senato: solo piccoli aggiustamenti, perché l’impianto della legge non si tocca.
Quanto all’Italicum, il vicesegretario Lorenzo Guerini ribadisce la fermissima intenzione di non modificarlo: «Ci siamo confrontati a lungo, sia nel gruppo che negli organi del partito. Il testo ha ricevuto l’ok di tutta la maggioranza e di Forza Italia nel voto al Senato. Cambiarlo ancora vorrebbe dire allontanare l’obiettivo dell’approvazione». Cosa che Renzi, assolutamente, non vuole.
La commissione ha nominato relatore di minoranza il presidente Francesco Paolo Sisto e relatore di maggioranza Gennaro Migliore, che ha da poco lasciato Sel per il Pd. La scelta ha provocato qualche ironia. Giuseppe Lauricella, deputato della minoranza che è in commissione Affari costituzionali, ha affidato il suo disappunto a Twitter: «Anche Migliore sfata il detto “chi tardi arriva male alloggia”. Ma per avere rilievo nel @pdnetwork occorre passare prima da #Sel?». L’ex collega di partito Stefano Quaranta, capogruppo di Sel in commissione, si è esercitato sull’aspetto «grottesco» della nomina di Migliore a relatore: «Già fieramente contrario all’Italicum e sostenitore del Mattarellum. Il messaggio è: no al dialogo si al trasformismo». La saldatura tra vendoliani e bersaniani potrebbe continuare quando si tratterà di votare gli emendamenti. La minoranza Pd ne sta scrivendo diversi, anche per questo si continua a parlare della possibile sostituzione dei membri della commissione che fanno capo all’ala sinistra del Pd. «Il tema è aperto» confermano al Nazareno, dove assicurano che gli avvicendamenti non avranno il sapore di una epurazione di massa. L’auspicio dei vertici del Pd è che siano gli stessi deputati della minoranza (come Bersani, Cuperlo, Bindi, D’Attorre) a chiedere di farsi sostituire per non intralciare l’iter dell’Italicum.

Il duello nel Pd può portare a elezioni anticipate
di Massimo Franco Corriere 9.4.15
L’i mpressione è che siano gli avversari di Matteo Renzi a temere di più la rottura con lui sulla legge elettorale. Il canovaccio di queste ore presenta una minoranza del Pd che moltiplica gli appelli a ragionare, a trovare un compromesso, a scongiurare la spaccatura del partito: quale che sia; e un governo che invece non mostra di volere fare concessioni. In modo asciutto lo ha ribadito ieri Maria Elena Boschi, ministro per le Riforme. «La legge funziona e va bene così com’è, non c’è necessità di modifiche», è la sua tesi. E il punto di caduta di questo scontro non è ancora chiaro.
Le modifiche vanno presentate entro il 17 aprile. E sullo sfondo rimane l’eventualità di un ricorso alla fiducia. Una scelta così radicale da parte del presidente del Consiglio sarebbe accolta come una forzatura. E darebbe fiato a quanti, nel Pd e nelle opposizioni, accusano Renzi di volere una legge su misura. Già si indovinano appelli al Quirinale per contrastare un epilogo che sancirebbe la spaccatura del Parlamento. Alcuni esponenti del Pd preannunciano che non voteranno l’ Italicum . La fronda più possibilista insiste sulla necessità di trovare l’unità, avvertendo il pericolo di una frattura del maggior partito: viene evocata nella lettera a Renzi dell’area che fa capo al capogruppo Roberto Speranza.
E M5S, Forza Italia e Lega soffiano su queste inquietudini. Il Mattinale , bollettino dei berlusconiani, non parla più di Italicum ma di Florentinum , alludendo alla città d’origine del premier. E bolla la legge come «pericolosa». Si fa presente che lo svuotamento del Senato previsto dalla riforma costituzionale accentuerebbe il potere del capo del governo. Eppure, il fronte avversario è diviso. Renzi è uno spauracchio che lo compatta solo in parte.
La stessa minoranza del Pd appare percorsa da spinte contrastanti sull’atteggiamento da tenere nei confronti di Palazzo Chigi: divergenze che finiscono per favorire la strategia renziana. I mediatori cercano di ottenere una qualche soluzione che permetta di far rientrare il «no» reciso di esponenti come l’ex segretario Pier Luigi Bersani. Ma il premier non apre spiragli. È convinto che i suoi oppositori si siano infilati in un vicolo cieco. E confida che saranno costretti a fermarsi prima di provocare uno strappo nel Pd, dalle conseguenze destabilizzanti.
L’ipotesi di chiedere la fiducia per compattare la maggioranza alla Camera sarebbe la conseguenza logica di questa sfida sull’orlo del precipizio. Il risultato a Montecitorio sarebbe scontato a favore del governo. Ma Renzi si ritroverebbe senza una maggioranza sicura al Senato, quando si tratterà di approvare la riforma costituzionale. È uno schema che mette in evidenza un rosario di errori ben distribuiti tra i protagonisti. Il problema è evitare che a pagarli sia il Paese, con una corsa inerziale verso le elezioni anticipate. 

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