ROMA «All’orizzonte si profila un altro enorme rischio: una frattura dentro il Pd. Se così fosse, su quale terreno facciamo camminare le riforme? Questa rottura non possiamo permettercela ». È l’sos della corrente dem “Area riformista”, che fa capo a Roberto Speranza, lanciato nel giorno in cui inizia in commissione Affari costituzionali a Montecitorio l’esame dell’Italicum. È un appello a Renzi: «Riapra il dialogo sulla legge elettorale». Segue una proposta precisa, una soltanto: ridurre il numero dei nominati in lista. Nell’Italicum infatti sono previsti i capilista bloccati, e poi gli eletti con le preferenze. Se una lista vince e ha il premio di maggioranza, saranno un centinaio i nominati sui 340 deputati ottenuti con il premio. Ma per chi perde, la quota dei nominati è invasiva. Ecco quindi la richiesta della sinistra dem di Speranza: «È per noi prioritaria l’esigenza di ridurre il numero dei nominati tra i partiti che non prendono il premio di maggioranza». A sottoscrivere già il documento, che ha tra i suoi promotori il ministro Maurizio Martina, sono una settantina di deputati: da Gugliemo Epifani, l’ex segretario del Pd a Paola De Micheli, sottosegretario all’Economia, Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro, Andrea Giorgis, Enzo Lattuca, Danilo Leva, anche Micaela Campana e Enzo Amendola che sono nella segreteria renziana. Lo hanno scritto materialmente Nico Stumpo e Matteo Mauri. Non lo firmano né Pierluigi Bersani (pronto a farsi sostituire in commissione se si andasse al muro contro muro con Renzi e a non votare in aula l’Italicum senza modifiche), né Speranza, che è capogruppo alla Camera, e comunque dell’appello è l’ispiratore. I 70 per ora “pontieri” insieme con le altre sinistre dem rappresentano lo zoccolo duro del dissenso che potrebbe rendere pericolosa la navigazione dell’Italicum, sommandosi all’opposizione di Forza Italia, Lega, Sel e 5Stelle. Meno minimalista è la posizione della corrente di Gianni Cuperlo, Stefano Fassina e Alfredo D’Attorre come scettico è Pippo Civati. «Se una legge elettorale non va bene e si è detto che non si vota, bisogna essere conseguenti», va all’attacco Civati per il quale i “trattativisti” farebbero bene a sciogliere le loro contraddizioni.
Italicum, il documento punta a raccogliere 120 firme. Ultimo nodo: i capilista bloccati
Boschi gela la minoranza Pd: “L’Italicum va bene così”
Renzi manda avanti il ministro a stoppare le richieste di Area Riformista Bersani per ora si tiene fuori. I voti contro finirebbero per essere solo 20di Carlo Bertini La Stampa 9.4.15
«Io non voto la riforma elettorale e spero che altri siano coerenti»: ecco, basta questo sibillino auspicio di Pippo Civati per far capire come la battaglia dei suoi compagni di strada rischi di sgonfiarsi di qui a fine mese. L’oggetto del contendere è la legge elettorale, la posta in palio e l’unità del Pd, che però non sembra affatto a rischio, malgrado il gioco del cerino ingaggiato dai dissidenti: che faranno firmare il loro documento con le richieste di modifica anche ai senatori bersaniani per far capire a Renzi che 120 parlamentari su 400 del Pd non digeriscono l’Italicum com’è e che se lui accettasse ritocchi nessuno farebbe scherzi poi al Senato.
La mossa del cavallo
Renzi però non ci sta, vuole far presto e non intende cambiare di una virgola il testo, anzi fa di più: non è un caso infatti che alla Camera venga scelto come relatore, lasciando a bocca asciutta i renziani, Gennaro Migliore; new entry del Pd, che quando era capogruppo di Sel votò contro la prima versione dell’Italicum e che ora è pronto a difenderla viste le migliorie e i cambiamenti. «Io mi battei per la soglia del 3% ai piccoli partiti, per la parità di genere e contro la soglia del 37%, troppo bassa per avere il premio di maggioranza», ricorda lui, anticipando così chi volesse rinfacciargli le sue contrarietà alla riforma. Designare proprio lui è un segnale preciso di quanto anche chi abbia un pedigree di sinistra possa considerarla una legge valida e non anti democratica.
La campagna elettorale
Del resto anche i pasdaran bersaniani come lo è stato Davide Zoggia, ammettono che «la legge elettorale non scalda i cuori come il jobs act e dunque la nostra base ci chiede di batterci per cambiarla ma di non rompere alla fine». Ed è proprio quello che avverrà, perché il cuore dello scontro andrà in scena proprio nelle settimane di maggio quando nelle sette regioni dove si vota e in centinaia di comuni i dirigenti Pd saranno impegnati a dar mostra di unità non certo di divisioni.
La fiducia lì sul tavolo
Dunque a poco valgono le richieste dei moderati di Area Riformista guidati dal capogruppo Roberto Speranza, vergate su un documento con un’ottantina di firme in calce, Epifani, Damiano, Stumpo - ma per ora non Bersani - per chiedere due modifiche sui capilista nominati e sull’apparentamento al ballottaggio. L’aria che tira si capisce dalle parole della Boschi alla prima riunione della Commissione Affari Costituzionali, dove approda l’Italicum. «Per il governo la legge è corretta, funziona non necessita di modifiche», dice il ministro interpretando il pensiero di Renzi. Che tiene in serbo la fiducia sull’Italicum come via d’uscita: il testo sarà votato il 20 aprile in commissione e il 27 arriverà in aula. Nel primo round i dissidenti Pd sono la metà dei 23 membri del partito in commissione e quindi forse si faranno sostituire al momento del voto, ma in aula sanno di poter contare sugli scrutini segreti con la sponda dei 5Stelle. «Faremo di tutto per apportare migliorie, dialogheremo anche con il Pd su preferenze e liste bloccate», dice il grillino Toninelli. Però martedì prossimo andrà in scena la conta decisiva dentro il Pd: si riunirà il gruppo dei 300 deputati e alla linea votata a maggioranza tutti si dovranno attenere in aula: «Non dovrei dirlo, però è chiaro che dopo il voto nel gruppo, anche il documento con le nostre richieste rischia di sgonfiarsi», ammette il realista Zoggia. Insomma degli ottanta oppositori della minoranza Pd (cui si assoceranno una trentina di senatori) rischiano di restarne una ventina a votare contro, stando alle previsioni degli stessi promotori.
Italicum, Boschi chiude la porta alla sinistra
Il ministro dopo la lettera di Speranza: funziona così, no a modifichedi M. Gu. Corriere 9.4.15
ROMA Nessuna apertura, nemmeno una concessione piccola piccola. L’appello di Area riformista a Renzi, perché riapra la riflessione sulla legge elettorale, è stato respinto senza tanti complimenti dai vertici del Pd. I deputati della minoranza vicini al capogruppo Roberto Speranza avevano raccolto in calce al documento oltre ottanta firme. E per convincere il premier che, una volta approdato nell’Aula di Palazzo Madama, i «falchi» non avrebbero fatto scherzi, stavano per chiedere la sottoscrizione anche ai senatori. Ma il secco «no» al dialogo scandito da Maria Elena Boschi ha congelato ogni sforzo diplomatico.
«Il testo dell’Italicum è corretto e funziona, non c’è la necessità di modifiche» ha stoppato la minoranza dialogante la ministra delle Riforme, uscendo dalla riunione della commissione Affari costituzionali della Camera. «Ci sono tutti i presupposti per rispettare i tempi». La legge elettorale, incardinata ieri a Montecitorio per la terza lettura, approderà in aula il 27 aprile e Renzi punta ad approvarla senza cambiare una sola virgola, per non doversi infilare nella «palude» del Senato. E se il capogruppo Speranza ha cercato, con la sua lettera-appello, di non spaccare il Pd ed evitare imboscate a voto segreto, il premier sembra pronto ad assumersi i rischi di una navigazione al buio.
La minoranza chiede di diminuire il numero dei nominati e di consentire gli apparentamenti di liste al ballottaggio, ma l’unica concessione che il leader è disposto a fare riguarda la riforma del Senato: solo piccoli aggiustamenti, perché l’impianto della legge non si tocca.
Quanto all’Italicum, il vicesegretario Lorenzo Guerini ribadisce la fermissima intenzione di non modificarlo: «Ci siamo confrontati a lungo, sia nel gruppo che negli organi del partito. Il testo ha ricevuto l’ok di tutta la maggioranza e di Forza Italia nel voto al Senato. Cambiarlo ancora vorrebbe dire allontanare l’obiettivo dell’approvazione». Cosa che Renzi, assolutamente, non vuole.
La commissione ha nominato relatore di minoranza il presidente Francesco Paolo Sisto e relatore di maggioranza Gennaro Migliore, che ha da poco lasciato Sel per il Pd. La scelta ha provocato qualche ironia. Giuseppe Lauricella, deputato della minoranza che è in commissione Affari costituzionali, ha affidato il suo disappunto a Twitter: «Anche Migliore sfata il detto “chi tardi arriva male alloggia”. Ma per avere rilievo nel @pdnetwork occorre passare prima da #Sel?». L’ex collega di partito Stefano Quaranta, capogruppo di Sel in commissione, si è esercitato sull’aspetto «grottesco» della nomina di Migliore a relatore: «Già fieramente contrario all’Italicum e sostenitore del Mattarellum. Il messaggio è: no al dialogo si al trasformismo». La saldatura tra vendoliani e bersaniani potrebbe continuare quando si tratterà di votare gli emendamenti. La minoranza Pd ne sta scrivendo diversi, anche per questo si continua a parlare della possibile sostituzione dei membri della commissione che fanno capo all’ala sinistra del Pd. «Il tema è aperto» confermano al Nazareno, dove assicurano che gli avvicendamenti non avranno il sapore di una epurazione di massa. L’auspicio dei vertici del Pd è che siano gli stessi deputati della minoranza (come Bersani, Cuperlo, Bindi, D’Attorre) a chiedere di farsi sostituire per non intralciare l’iter dell’Italicum.
Il duello nel Pd può portare a elezioni anticipate
di Massimo Franco Corriere 9.4.15
L’i mpressione è che siano gli avversari di Matteo Renzi a temere di più la rottura con lui sulla legge elettorale. Il canovaccio di queste ore presenta una minoranza del Pd che moltiplica gli appelli a ragionare, a trovare un compromesso, a scongiurare la spaccatura del partito: quale che sia; e un governo che invece non mostra di volere fare concessioni. In modo asciutto lo ha ribadito ieri Maria Elena Boschi, ministro per le Riforme. «La legge funziona e va bene così com’è, non c’è necessità di modifiche», è la sua tesi. E il punto di caduta di questo scontro non è ancora chiaro.
Le modifiche vanno presentate entro il 17 aprile. E sullo sfondo rimane l’eventualità di un ricorso alla fiducia. Una scelta così radicale da parte del presidente del Consiglio sarebbe accolta come una forzatura. E darebbe fiato a quanti, nel Pd e nelle opposizioni, accusano Renzi di volere una legge su misura. Già si indovinano appelli al Quirinale per contrastare un epilogo che sancirebbe la spaccatura del Parlamento. Alcuni esponenti del Pd preannunciano che non voteranno l’ Italicum . La fronda più possibilista insiste sulla necessità di trovare l’unità, avvertendo il pericolo di una frattura del maggior partito: viene evocata nella lettera a Renzi dell’area che fa capo al capogruppo Roberto Speranza.
E M5S, Forza Italia e Lega soffiano su queste inquietudini. Il Mattinale , bollettino dei berlusconiani, non parla più di Italicum ma di Florentinum , alludendo alla città d’origine del premier. E bolla la legge come «pericolosa». Si fa presente che lo svuotamento del Senato previsto dalla riforma costituzionale accentuerebbe il potere del capo del governo. Eppure, il fronte avversario è diviso. Renzi è uno spauracchio che lo compatta solo in parte.
La stessa minoranza del Pd appare percorsa da spinte contrastanti sull’atteggiamento da tenere nei confronti di Palazzo Chigi: divergenze che finiscono per favorire la strategia renziana. I mediatori cercano di ottenere una qualche soluzione che permetta di far rientrare il «no» reciso di esponenti come l’ex segretario Pier Luigi Bersani. Ma il premier non apre spiragli. È convinto che i suoi oppositori si siano infilati in un vicolo cieco. E confida che saranno costretti a fermarsi prima di provocare uno strappo nel Pd, dalle conseguenze destabilizzanti.
L’ipotesi di chiedere la fiducia per compattare la maggioranza alla Camera sarebbe la conseguenza logica di questa sfida sull’orlo del precipizio. Il risultato a Montecitorio sarebbe scontato a favore del governo. Ma Renzi si ritroverebbe senza una maggioranza sicura al Senato, quando si tratterà di approvare la riforma costituzionale. È uno schema che mette in evidenza un rosario di errori ben distribuiti tra i protagonisti. Il problema è evitare che a pagarli sia il Paese, con una corsa inerziale verso le elezioni anticipate.
Nessun commento:
Posta un commento