lunedì 27 aprile 2015

Ritratti e autoritratti di Renato Guttuso a Bagheria



Guttuso, autoritratto con figure Pittori, poeti ma non la Marzotto Venerdì 24 Aprile, 2015 CORRIERE DELLA SERA © RIPRODUZIONE RISERVATA
Ritratti e autoritratti di Renato Guttuso (1911-1987) al museo omonimo di Bagheria: affascinante album di ricordi lungo tre quarti di secolo di un pittore definito da Dominique Fernandez «un comunista con modi e stile di vita da signore e da dandy». C’è la Sicilia (e, quindi, la sua sicilianità, che, come scrive Cesare Brandi, «non è folclore, ma quella consonanza segreta che lega alla madre, il fluido che monta da terra e che risale il corpo e lo irrora come un altro sangue») e Roma, Milano e Parigi, Venezia e Mosca, Messina e Velate. Città, volti, fisionomie e biografia diventano tutt’uno. Occasioni, magari, per ricostruire episodi inediti; precisare vicende o aneddoti; soffermarsi su particolari che per la prima volta escono dall’oscurità in cui sono stati costretti. È l’ineffabile ed eterno gioco della memoria. 
Curata da Fabio Carapezza Guttuso e Dora Favarella Lo Cascio, la mostra (aperta sino al 21 giugno) presenta 70 olî (corredati, in catalogo Ediguida, da altrettante schede di Giulia Lotti e Valentina Raimondo) e 30 disegni (1925-1987), fra cui qualche inedito ( Giovanni Pirelli e Antonio Gramsci ). Lavori giovanili e opere mature. Dai ritratti del padre agli autoritratti, intimistici o di maniera; gli otto dipinti dedicati alla moglie Mimise. Quando la conobbe, nel ’37, Maria Luisa Dotti era sposata con il conte Antonio Bezzi Scali (ironia facile, pensando anche alla Marzotto: se non sono contesse…). Nozze nel 1950, in Campidoglio; testimone, Pablo Neruda (di cui, a Bagheria, c’è un ritratto). 
Fra i quadri giovanili, quelli di intellettuali siciliani e, una volta trasferitosi a Roma, nel ’37, dei frequentatori del suo studio, definito «il battistero delle Botteghe Oscure»: i Mafai, Pizzinato, Montale, Moravia, Alicata, Turcato, Leoncillo, Morlotti, Birolli, Dorazio, Accardi. E Consagra, che Guttuso ospita per un lungo periodo nello studio di via Margutta. Poi l’amicizia si incrina sino a sparire del tutto. 
Che cos’è successo? Nel Natale del ‘46, Consagra (26 anni) fa un viaggio, assieme a Turcato, Attardi, Accardi e Sanfilippo a Parigi, dove incontrano Brancusi, Pevsner, Arp, Hartung, Laurens. È la folgorazione («Vidi opere ignorate in Italia, opere cariche di futuro. Vibrarono tutte le corde della mia tensione», scriverà Consagra). Una volta tornati a Roma, Consagra e Turcato — cui si aggiungono Dorazio, Perilli — fondano «Forma 1» , giornale per «marxisti e formalisti». Guttuso si sente tradito dall’amico che lo accusa di essere un «sergente del Realismo». Cominciano le polemiche tra i due artisti siciliani all’interno dello stesso partito. Vincerà il Realismo socialista contro l’astrattismo. Se per un certo tempo il Pci ignora gli artisti «eretici», questi ultimi, però, a loro volta non ignorano il partito. Cercano, anzi, tutte le occasioni di scontrarsi tanto sulle colonne dell’«Unità» quanto in strada. a Guttuso rompe definitivamente con Consagra e anche con Dorazio: di cui ricordo una recensione particolarmente drastica, nel «Corriere», sulla mostra milanese di Guttuso a Palazzo Reale. Chiedo a Guttuso una replica. Manda dodici cartelle. Lo prego di ridurle a tre, quanto quelle di Dorazio. Non risponde. Alcuni giorni dopo le pubblica su «Repubblica». Tutte. Fra i ritratti c’è anche Rocco . Pescatore di pescespada e militante del Pci, Rocco faceva da segretario e angelo custode di Guttuso: «Ora è un algerino, ora un pescatore calabrese, ora un minatore asturiano», annoterà l’artista siciliano, che gli era affezionatissimo. 
Una galleria di ritratti, questa di Bagheria, che si muta in un lungo viaggio pieno di sorprese, fra uomini e cose. Ecco il ritratto, non finito, di Miguel Angel Asturias, quello di Goffredo Parise che, a Pechino, visita la fabbrica di libretti rossi, ecco quelli dedicati a Picasso. 
Ma c’è anche la sorpresa dell’assenza: quella di Marta Marzotto, cui, si sa, Guttuso ha dedicato decine e decine di ritratti. Però, dicono che c’è. Sentite. 
Nell’ultima grande opera (310 x 430 cm), cui Guttuso lavora prima della morte (rimasta incompiuta), Nella stanza le donne vanno e vengono (1986), ci sono otto modelle in movimento: nude e vestite. La nota spiega che fra esse «ce n’è una che si distingue per indossare una pelliccia e una giarrettiera. È un ritratto di Marta Marzotto, musa e modella di Guttuso per diversi anni (…), raffigurata in una posizione difficile da decifrare se non ci fosse un importante bozzetto preparatorio». 
Sottilissima e raffinata perfidia.


Guttuso, il privato diventa politico nei ritratti di amici e celebrità Una mostra al museo di Bagheria: per la prima volta insieme le immagini dei personaggi cruciali nella vita del pittore Marcello Sorgi La Stampa 27 5 2015
Non c’è bisogno di essere un critico o un intenditore d’arte per sapere che il ritratto, tra i diversi esempi di pittura, è quello che può impegnare di più un autore, e alle volte anche metterlo in crisi. Perché si tratta di penetrare, partendo dall’espressione del viso, l’animo profondo di un soggetto, una persona, va da sé, con cui è indispensabile aver in comune o aver condiviso qualcosa. Tracce di questo complicato percorso saltano all’occhio - anche a un occhio non particolarmente attrezzato - visitando la mostra di ritratti di Renato Guttuso, inaugurata da qualche giorno dal museo che porta il suo nome nella natìa Bagheria, a pochi chilometri da Palermo, per iniziativa del figlio adottivo del pittore siciliano, Fabio Carapezza Guttuso.
Il padre
Per la prima volta vengono messe insieme le immagini dei personaggi che hanno attraversato la vita del pittore, il padre che dipingeva le fiancate dei carretti, tra i suoi primi maestri, la madre solitaria e spenta nella sua vedovanza, gli amici della borghesia palermitana, e poi gli intellettuali, gli artisti e i compagni della lunga militanza comunista. Così che anche quando il riferimento non è marcato, si potrebbe dire che questa è una galleria di ritratti politici, e la politica, intesa come passione, era una delle principali chiavi attraverso cui Guttuso misurava la qualità e la forza dei rapporti personali che avevano attraversato la sua esistenza.
Il sodalizio
Questa particolare miscela di amicizia e comunanza di idee emerge ad esempio dai ritratti di Carlo Levi e Mario Alicata. Guttuso era stato uno dei pochi a frequentare l’autore di
Cristo s’è fermato a Eboli
dopo il confino che lo aveva emarginato anche nel suo ambiente, sfidando il conformismo di fine Anni Trenta, l’epoca più pesante del fascismo. E con Alicata, prima che diventasse un altissimo dirigente del Pci togliattiano, aveva instaurato un sodalizio che comprendeva Antonello Trombadori, un altro grande personaggio della stessa schiera, a cavallo tra politica, arte, cultura e gioia di vivere.
Sono entrambi immortalati nell’album dei ricordi guttusiani. Ma ad Alicata - come ad Alberto Moravia, il solo, insieme ad Elsa Morante, autorizzato a frequentare lo studio del pittore usandolo come garçonnière -, è dedicato un doppio ritratto, per fermare due momenti diversi, la gioventù e la maturità, quest’ultima in cui compare avvolto in un candido e insolito vestito che ricorda la tunica bianca dei senatori romani. «Dopo il ’56 eravamo rimasti in tre: io, lui e Antonello», ricorderà con amarezza Guttuso, tra i pochi a restare nel partito dopo l’invasione sovietica dell’Ungheria.
Neruda a Capri
C’è Eugenio Montale, con un filo di emozione sul volto, dipinto nella villa piemontese di Umberto Morra di Lavriano frequentata anche da Norberto Bobbio. C’è Anna Magnani, preceduta da una serie di bozzetti, perché l’attrice non stava mai ferma e non sapeva mettersi in posa, e Guttuso dovette fissarla sulla tela in meno di un’ora. Ma i tre dipinti rivelatori di un certo modo di essere dei comunisti di quella generazione, sono quelli che ritraggono Goffredo Parise, Pablo Neruda e Giovanni Pirelli. Sono infatti ritratti visionari, in cui chi guarda può intuire uno stato d’animo dell’autore, un tormento, un dubbio, una mezza verità. Parise, nel 1970, è appena tornato dalla Cina e, non volendosi sbilanciare in un periodo di rapporti complessi tra «partiti fratelli», non ha dato giudizi, s’è espresso laconicamente: «Non c’è niente da capire». Guttuso lo immortala sullo sfondo di cataste ordinate di libretti rossi di Mao che formano la pianta urbanistica di una città immaginaria, ordinata quanto arida.
Neruda, reduce da un dorato esilio italiano a Capri (al suo arrivo a Roma la polizia voleva arrestarlo, la soluzione di confinarlo nell’isola richiese l’impegno di tutto il vertice del Pci), torna in Cile, malato, e muore misteriosamente in ospedale dopo un’iniezione: tutto il mondo comunista penserà che è stato assassinato. Guttuso lo disegna morto, un braccio abbandonato come il Marat di David, e sospesi per aria i nomi dei presidenti americano Nixon e cileno Frei, insieme con quello dell’ex dittatore Pinochet, adombrati come mandanti di un delitto mai dimostrato.
L’incidente di Pirelli
Per Giovanni Pirelli, fratello di Leopoldo, figura anomala di erede di una dinastia industriale che aveva rifiutato il destino imprenditoriale per dedicarsi all’impegno politico e al sostegno internazionale dei movimenti di liberazione, Guttuso non se la sente di arrivare a delineare un sabotaggio dell’automobile su cui avrebbe trovato la morte in un grave incidente da cui anche Leopoldo si era salvato a malapena. Ma una macchia di rosso, ardente vicino al volto della vittima, ricorda a tutti da che parte batteva il cuore di Giovanni. 

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