Valentino Baldacci: 1967. Comunisti e socialisti davanti alla guerra dei Sei Giorni, Edizioni Aska
Risvolto
L’ipotesi su cui si fonda questo lavoro è che l’immagine dello Stato
d’Israele presente da decenni nella sinistra italiana (non solo in
quella più estrema) – cioè quella di uno Stato aggressivo,
espansionista, militarista, violento, razzista, con tratti assimilabili a
quelli del nazismo, che pratica la discriminazione e l’apartheid nei confronti degli arabi – sia
stata costruita in occasione della guerra dei Sei giorni del giugno
1967, ad opera del Pci, come risultato di uno scontro politico e
mediatico con il Partito socialista. Per trovare la conferma di questa
ipotesi è stata analizzata la stampa comunista e socialista, in
particolare i rispettivi organi ufficiali – «l’Unità» e «Avanti!» – ma
anche i periodici e le riviste che facevano capo ai due partiti e
anche quelle che, in senso lato, facevano parte dell’area culturale
della sinistra, nonché il principale quotidiano fiancheggiatore del
Pci, «Paese Sera». E’ stato anche tenuto conto delle lettere inviate ai
tre quotidiani ed stato messo in rilievo il ruolo specifico dei
dirigenti politici e dei giornalisti dei due partiti. La ricerca ha
prodotto una delle più accurate e approfondite analisi del comportamento
politico dei partiti della sinistra italiana su un tema che continua
ancora oggi a essere al centro della politica italiana e internazionale.
1967, così la sinistra si divise su Israele
di Maurizio Molinari La Stampa 16.5.15
Lo strappo dell’Unità, le accuse di Rinascita e il cambiamento di
posizione dell’Espresso ma anche le risposte dell’Avanti! e i dubbi di
Mondo Operaio: Valentino Baldacci descrive Comunisti e socialisti
davanti alla guerra dei Sei Giorni (Edizioni Aska) in uno studio di 638
pagine che ricostruisce la svolta della sinistra italiana che davanti al
conflitto del 1967 si lacerò su Israele a causa dell’influenza
dell’Urss sul Pci.
Il valore del libro sta nella mole di documenti raccolti, non solo sui
giornali ma sui leader politici, da Giancarlo Pajetta a Enrico
Berlinguer, che consentono di rivivere un terremoto di posizioni che
cambiò l’identità della sinistra italiana.
Protagonista e erede della resistenza antifascista che si era battuta
contro le persecuzioni degli ebrei e per la nascita di Israele, il Pci
voltò le spalle allo Stato ebraico facendo proprie le posizioni
dell’Urss che nel 1967 sposò il rifiuto totale dei Paesi arabi nei
confronti di Israele. Lo strappo avvenne facendo debuttare in Italia, in
maniera quasi istantanea, le tesi sovietiche su «razzismo»,
«espansionismo» e «imperialismo» del sionismo per delegittimare le
fondamenta dell’esistenza di Israele, occidentale e dunque nemico. Il
leader socialista Pietro Nenni e l’Avanti!, con gli articoli di Aldo
Garosci, si opposero alla svolta filo-Urss in Medio Oriente del Pci,
mostrando però incertezze e venature - a cominciare dalle pagine di
Mondo Operaio - che vent’anni più tardi avrebbero portato Bettino Craxi a
convergere con il Partito Comunista
Internet, auto verdi e addio al sukA Rawabi nasce la nuova Palestina Nella città tecnologica finanziata dal Qatar: “Questa è la collina della speranza”di Maurizio Molinari La Stampa 16.5.15
Bandiere del Qatar, cucine italiane, wi-fi in strada, trasporti pubblici
«green» e appartamenti per 40 mila abitanti: benvenuti a Rawabi, la
prima città palestinese costruita letteralmente dal nulla, dove le
famiglie dei «pionieri» iniziano ad arrivare.
Anwar Hussein, 48 anni, docente all’Università di Bir Zeit, ha versato
140 mila dollari per un appartamento di quattro stanze con vista sulle
valli della Cisgiordania perché «dopo essere vissuto in Arizona e Canada
ho scelto come casa in Palestina un luogo che mi garantisce un’alta
qualità di vita». La moglie Samah annuisce, mostrandoci la casa «dove
entreremo a fine mese» a seguito della decisione del governo israeliano
di allacciare Rewabi alla rete idrica Mekorot, facendo arrivare acqua
corrente in ogni appartamento.
Sono 623 gli immobili già venuti che stanno per ricevere altrettante
famiglie del ceto medio-alto palestinese. Altri sono destinati a creare
«un nuovo mercato immobiliare» come spiega Isa Rishmaui, imprenditore di
Betlemme, cristiano, 41 anni, che ha deciso di investire qui i ricavati
della sua azienda turistica «perché Rawabi è l’unica città palestinese
che appartiene al XXI secolo».
Ceto borghese e cristiani
Per comprendere cosa intende bisogna fare 30 minuti di auto dal centro
di Ramallah, raggiungendo le colline - in arabo «rawabi» - dove nel 2007
la società finanziaria Diar Real Estate Investment Company del Qatar ha
deciso di investire un miliardo di dollari per realizzare dal nulla una
città hi-tech, progettata per assomigliare al sobborgo di una metropoli
nordamericana attirando i palestinesi che arrivano dall’estero, i
professionisti e le famiglie giovani pronte a investire. «Ci siamo
trovati davanti numerosi e ostacoli ma i risultati sono davanti ai
vostri occhi» dice Bashar Masri, ceo della società Massar, responsabile
dei lavori, parlando dalla futura piazza di un centro commerciale con
oltre duecento negozi e mille posti macchina.
È posizionato nel cuore dell’abitato, che si articola in strade
circolari con palazzi eleganti e case arredate con design moderno, solo
in parte già terminate. Un milione di mq è già costruito, ne restano
altri cinque da completare. A essere finito è l’anfiteatro per gli show
notturni, al cui fianco sorgeranno sei ristoranti, cinque banche,
scuole, un campo da calcio e parchi per il tempo libero. Il tutto
immerso in un manto di duemila alberi, percorso da strade dove -
residenti a parte - potranno circolare solo trasporti locali con
carburanti «green».
Rawabi sfida ogni cognizione esistente di città palestinese: non c’è il
bazar come a Hebron, il mercato della frutta come a Gerico o un centro
governativo come a Ramallah. E non c’è il legame, atavico, il territorio
di un villaggio e la «hamula» (grande famiglia) che vi risiede da
secoli. C’è invece uno «show room» dove si vendono appartamenti e negozi
con simulazioni tridimensionali. Esplorando Rawabi ci si affaccia in
Medio Oriente inconsueto. «Abbiamo acquistato la terra da duemila
famiglie palestinesi, impieghiamo 10 mila operai arabi, e ogni anno
acquistiamo 100 milioni di materiale edile da aziende israeliane» spiega
Amir Dajani, manager della Bayt Real Estate Investment Company,
descrivendo un progetto che «prende corpo con le risorse che ci sono»
senza tabù politici.
La cautela dell’Anp
D’altra parte l’unico finanziatore è una società privata del Qatar,
ovvero l’Emirato accusato di sostenere Hamas a Gaza. Proprio questa
matrice spiega la cautela del presidente palestinese Abu Mazen, che qui
non è ancora venuto pur esprimendo sostegno. «Ciò che non comprendiamo è
perché il governo palestinese non abbia mantenuto l’impegno a versare
140 milioni di dollari le scuole pubbliche - sottolinea Bashar Masri -
ma abbiamo trovato una soluzione, le faremo private». Anche i rapporti
con Israele sono altalenanti: il via libera del governo Netanyahu
all’allaccio della rete idrica è arrivato alla vigilia del viaggio a
Washington - per il discorso al Congresso Usa - mentre tardano i
permessi per la rete stradale. «Quando avremo raggiunto 2000 famiglie
serviranno strade più grandi attraverso territori amministrati da
Israele» preannucia Masri, sottolineando però che «non vogliamo
diventare motivo di contrasto nel negoziato» perché «la priorità è
creare la prima città palestinese per il ceto medio-alto».
Fra i consigli che Masri ha più apprezzato vi sono quelli del sindaco di
Tel Aviv, Ron Huldai, che è venuto a Rawabi e ha suggerito di
«concentrarsi sulle strutture-chiave». È la genesi di una città dove gli
acquirenti sono in gran parte coppie giovani, con l’84 % delle donne
che lavorano e il 10% di cristiani. Ecco perché la venditrice Shadia
Jarafar, 27 anni, di Hebron, camicia viola e pantaloni attillati,
assicura che «investire qui significa scommettere sul futuro». Bashar
Masri va oltre: «Se avremo successo, sorgeranno altre Rawabi in
Palestina, diventando la spina dorsale dello Stato indipendente».
Nessun commento:
Posta un commento