sabato 16 maggio 2015

Continua l'opera di scientifica delegittimazione della tragedia palestinese nella coscienza della sinistra


Valentino Baldacci: 1967. Comunisti e socialisti davanti alla guerra dei Sei Giorni, Edizioni Aska

Risvolto

L’ipotesi su cui si fonda questo lavoro è che l’immagine dello Stato d’Israele presente da decenni nella sinistra italiana (non solo in quella più estrema) cioè quella di uno Stato aggressivo, espansionista, militarista, violento, razzista, con tratti assimilabili a quelli del nazismo, che pratica la discriminazione e l’apartheid nei confronti degli arabi sia stata costruita in occasione della guerra dei Sei giorni del giugno 1967, ad opera del Pci, come  risultato di uno scontro politico e mediatico con il Partito socialista. Per trovare la conferma di questa ipotesi è stata analizzata la stampa comunista e socialista, in particolare i rispettivi organi ufficiali «l’Unità» e «Avanti!» ma anche i periodici e le riviste che facevano  capo ai due partiti e anche quelle che, in senso lato, facevano parte dell’area culturale della sinistra, nonché il principale quotidiano  fiancheggiatore del Pci, «Paese Sera». E’ stato anche tenuto conto delle lettere inviate ai tre quotidiani ed stato messo  in rilievo  il ruolo  specifico dei dirigenti politici e dei giornalisti dei due partiti. La ricerca ha prodotto una delle più accurate e approfondite analisi del comportamento politico dei partiti della sinistra italiana su un tema che continua ancora oggi a essere al centro della politica italiana e internazionale.

1967, così la sinistra si divise su Israele
di Maurizio Molinari La Stampa 16.5.15
Lo strappo dell’Unità, le accuse di Rinascita e il cambiamento di posizione dell’Espresso ma anche le risposte dell’Avanti! e i dubbi di Mondo Operaio: Valentino Baldacci descrive Comunisti e socialisti davanti alla guerra dei Sei Giorni (Edizioni Aska) in uno studio di 638 pagine che ricostruisce la svolta della sinistra italiana che davanti al conflitto del 1967 si lacerò su Israele a causa dell’influenza dell’Urss sul Pci.
Il valore del libro sta nella mole di documenti raccolti, non solo sui giornali ma sui leader politici, da Giancarlo Pajetta a Enrico Berlinguer, che consentono di rivivere un terremoto di posizioni che cambiò l’identità della sinistra italiana.

Protagonista e erede della resistenza antifascista che si era battuta contro le persecuzioni degli ebrei e per la nascita di Israele, il Pci voltò le spalle allo Stato ebraico facendo proprie le posizioni dell’Urss che nel 1967 sposò il rifiuto totale dei Paesi arabi nei confronti di Israele. Lo strappo avvenne facendo debuttare in Italia, in maniera quasi istantanea, le tesi sovietiche su «razzismo», «espansionismo» e «imperialismo» del sionismo per delegittimare le fondamenta dell’esistenza di Israele, occidentale e dunque nemico. Il leader socialista Pietro Nenni e l’Avanti!, con gli articoli di Aldo Garosci, si opposero alla svolta filo-Urss in Medio Oriente del Pci, mostrando però incertezze e venature - a cominciare dalle pagine di Mondo Operaio - che vent’anni più tardi avrebbero portato Bettino Craxi a convergere con il Partito Comunista

Internet, auto verdi e addio al sukA Rawabi nasce la nuova Palestina Nella città tecnologica finanziata dal Qatar: “Questa è la collina della speranza”di Maurizio Molinari La Stampa 16.5.15
Bandiere del Qatar, cucine italiane, wi-fi in strada, trasporti pubblici «green» e appartamenti per 40 mila abitanti: benvenuti a Rawabi, la prima città palestinese costruita letteralmente dal nulla, dove le famiglie dei «pionieri» iniziano ad arrivare.
Anwar Hussein, 48 anni, docente all’Università di Bir Zeit, ha versato 140 mila dollari per un appartamento di quattro stanze con vista sulle valli della Cisgiordania perché «dopo essere vissuto in Arizona e Canada ho scelto come casa in Palestina un luogo che mi garantisce un’alta qualità di vita». La moglie Samah annuisce, mostrandoci la casa «dove entreremo a fine mese» a seguito della decisione del governo israeliano di allacciare Rewabi alla rete idrica Mekorot, facendo arrivare acqua corrente in ogni appartamento.
Sono 623 gli immobili già venuti che stanno per ricevere altrettante famiglie del ceto medio-alto palestinese. Altri sono destinati a creare «un nuovo mercato immobiliare» come spiega Isa Rishmaui, imprenditore di Betlemme, cristiano, 41 anni, che ha deciso di investire qui i ricavati della sua azienda turistica «perché Rawabi è l’unica città palestinese che appartiene al XXI secolo».
Ceto borghese e cristiani
Per comprendere cosa intende bisogna fare 30 minuti di auto dal centro di Ramallah, raggiungendo le colline - in arabo «rawabi» - dove nel 2007 la società finanziaria Diar Real Estate Investment Company del Qatar ha deciso di investire un miliardo di dollari per realizzare dal nulla una città hi-tech, progettata per assomigliare al sobborgo di una metropoli nordamericana attirando i palestinesi che arrivano dall’estero, i professionisti e le famiglie giovani pronte a investire. «Ci siamo trovati davanti numerosi e ostacoli ma i risultati sono davanti ai vostri occhi» dice Bashar Masri, ceo della società Massar, responsabile dei lavori, parlando dalla futura piazza di un centro commerciale con oltre duecento negozi e mille posti macchina.
È posizionato nel cuore dell’abitato, che si articola in strade circolari con palazzi eleganti e case arredate con design moderno, solo in parte già terminate. Un milione di mq è già costruito, ne restano altri cinque da completare. A essere finito è l’anfiteatro per gli show notturni, al cui fianco sorgeranno sei ristoranti, cinque banche, scuole, un campo da calcio e parchi per il tempo libero. Il tutto immerso in un manto di duemila alberi, percorso da strade dove - residenti a parte - potranno circolare solo trasporti locali con carburanti «green».
Rawabi sfida ogni cognizione esistente di città palestinese: non c’è il bazar come a Hebron, il mercato della frutta come a Gerico o un centro governativo come a Ramallah. E non c’è il legame, atavico, il territorio di un villaggio e la «hamula» (grande famiglia) che vi risiede da secoli. C’è invece uno «show room» dove si vendono appartamenti e negozi con simulazioni tridimensionali. Esplorando Rawabi ci si affaccia in Medio Oriente inconsueto. «Abbiamo acquistato la terra da duemila famiglie palestinesi, impieghiamo 10 mila operai arabi, e ogni anno acquistiamo 100 milioni di materiale edile da aziende israeliane» spiega Amir Dajani, manager della Bayt Real Estate Investment Company, descrivendo un progetto che «prende corpo con le risorse che ci sono» senza tabù politici.
La cautela dell’Anp
D’altra parte l’unico finanziatore è una società privata del Qatar, ovvero l’Emirato accusato di sostenere Hamas a Gaza. Proprio questa matrice spiega la cautela del presidente palestinese Abu Mazen, che qui non è ancora venuto pur esprimendo sostegno. «Ciò che non comprendiamo è perché il governo palestinese non abbia mantenuto l’impegno a versare 140 milioni di dollari le scuole pubbliche - sottolinea Bashar Masri - ma abbiamo trovato una soluzione, le faremo private». Anche i rapporti con Israele sono altalenanti: il via libera del governo Netanyahu all’allaccio della rete idrica è arrivato alla vigilia del viaggio a Washington - per il discorso al Congresso Usa - mentre tardano i permessi per la rete stradale. «Quando avremo raggiunto 2000 famiglie serviranno strade più grandi attraverso territori amministrati da Israele» preannucia Masri, sottolineando però che «non vogliamo diventare motivo di contrasto nel negoziato» perché «la priorità è creare la prima città palestinese per il ceto medio-alto».
Fra i consigli che Masri ha più apprezzato vi sono quelli del sindaco di Tel Aviv, Ron Huldai, che è venuto a Rawabi e ha suggerito di «concentrarsi sulle strutture-chiave». È la genesi di una città dove gli acquirenti sono in gran parte coppie giovani, con l’84 % delle donne che lavorano e il 10% di cristiani. Ecco perché la venditrice Shadia Jarafar, 27 anni, di Hebron, camicia viola e pantaloni attillati, assicura che «investire qui significa scommettere sul futuro». Bashar Masri va oltre: «Se avremo successo, sorgeranno altre Rawabi in Palestina, diventando la spina dorsale dello Stato indipendente».



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