lunedì 18 maggio 2015

"Filosofia tedesca" e conflitto per la filosofia oggi

Perché non esiste il mondoA Di Cesare quel che è di Di Cesare. Verrebbe voglia di difenderla se non fosse tanto antipatica.
Di certo questo andazzo è intollerabile e persino gli heideggeriani devoti hanno le loro ragioni [SGA].

Markus Gabriel: Perché non esiste il mondo, Bompiani


Risvolto“In questo libro, Markus Gabriel prende sul serio la risposta che a metà del secolo scorso il filosofo americano Willard Van Orman Quine aveva dato all’interrogativo ontologico ‘che cosa c’è?’. ‘C’è tutto’. Per Gabriel tutto esiste allo stesso modo, dagli atomi a Sherlock Holmes, e l’unica cosa che non esiste è il mondo, perché non c’è un campo di senso capace di accoglierlo al suo interno. Gabriel può dire ‘tutto è reale, purché non lo si
“Per comprendere perché il mondo non esiste, si deve innanzitutto comprendere che cosa in generale significa ‘esistere’. [...] La mia risposta è la seguente: esiste anche tutto ciò che non esiste – solo che tutto questo non esiste nello stesso ambito. Gli elfi esistono nelle favole, ma non ad Amburgo. Armi di distruzione di massa si trovano negli Stati Uniti ma, a quanto ne so, non in Lussemburgo. La domanda non è dunque mai, semplicemente, se qualcosa esiste oppure no, bensì sempre dove quel qualcosa esiste. Giacché tutto quello che esiste, esiste da qualche parte – fosse anche solo nella nostra immaginazione. L’unica eccezione è il mondo. Quest’ultimo non possiamo immaginarcelo.”

Le  cause del declino: la politica culturale di Berlino e la «sbornia analitica» 
La filosofia tedesca è morta. Dopo 300 anni

La recente scomparsa di Poeggeler e di Theunissen ha segnato la fine del Novecento. Non bastano Sloterdijk (sempre brillante) e Gabriel (molto meno).

D. Di Cesare La lettura 16 5 2015

Heidegger non conta più E la filosofia in Germania è ricca (non solo di idee)
Replica alle osservazioni di Donatella Di Cesare: mai prima sono stati spesi tanti soldi per le scienze dello spiritodi Markus Gabriel Corriere 17.5.15
Non c’è nessuna filosofia tedesca, ma nemmeno una filosofia italiana. Per un realismo della ragione la globalizzazione è un bene. Perché riguarda l’universale, l’incontro tra uomini che altrimenti avrebbero un’immagine ideologicamente distorta gli uni degli altri. La filosofia oggi è globale e internazionale. Ci si scambia argomenti, articoli, libri, al di là dei vecchi confini. Ciò aiuta a evitare le ideologie e favorisce il progresso. È invece un quadro ideologico della filosofia in Germania quello che emerge nell’orazione funebre di Di Cesare («la Lettura», 10 maggio), un testo che contiene un’accozzaglia di stereotipi nazionali.



La signora ha letto troppo Heidegger, e lo vede anche ovunque all’opera in Germania. La verità invece è che nelle accademie tedesche a malapena ormai lo si prende sul serio, perché sono risapute le debolezze della sua inaccettabile critica alla ragione e alla modernità. I Quaderni neri mostrano come egli pensi per stereotipi, come se il pensiero potesse essere tedesco, russo o americano. Forse che la meccanica quantistica è tedesca, l’astronomia italiana, la teoria della relatività ebrea, l’ottica islamica o la logica greca? Certamente no. È completamente insensato parlare in questi casi di nazionalità o di faccende religiose. Non esiste una filosofia cristiana o ebrea, bensì filosofe e filosofi che sono ebrei o cristiani. «Tedesco» è aggettivo che qualifica una lingua e una nazionalità. Se si parla di una filosofia tedesca ciò può significare solo che si tratta di una filosofia scritta in tedesco, per esempio la filosofia di Byung-Chul Han. Dico questo per sottolineare l’evidente verità che non c’è bisogno di chiamarsi Georg o Friedrich e di essere biondi per essere tedeschi. Noi tedeschi non abbiamo una nostra essenza, e voi italiani nemmeno.

Rientra invece nell’essenza della filosofia essere globale e internazionale. Ciò si fonda sul fatto che la ragione è universale ed è capace di una comunicazione che scavalca tutti i confini. Credere che le questioni della filosofia — logica, epistemologia, filosofia politica, etica etc… — possano essere tedesche o italiane è un errore madornale. Un’opinione simile sarebbe pura ideologia, o anti-filosofia.
Ugualmente falsa è l’idea che ci sarebbe una filosofia continentale. Che cosa dovrebbe essere? A me viene sempre in mente un continental breakfast in America, che a Roma, Amburgo e Varsavia non si trova (eccetto che negli hotel turistici). Non esiste neanche una specifica filosofia analitica. Tutta la filosofia infatti è analitica, perché la filosofia è l’analisi dei contesti concettuali: ciò vale tanto per i testi di Rudolf Carnap, Sebastian Rödl, Gottlob Frege e Rahel Jaeggi (per citare alcuni pensatori tedeschi), come pure per quelli di Martha Nussbaum, Nelly Motroschilowa o Umberto Eco. La filosofia è una scienza internazionale con diverse tesi e correnti. Un pluralismo, una scienza appunto.
Di Cesare sostiene certe male informate assurdità riguardo a quanto accade nelle università tedesche. L’idea che se ne è fatta deriva dagli anni Ottanta e dalla sua «romantica» visione fiabesca del XIX secolo al quale si richiama. Evidentemente ha una conoscenza molto insufficiente della situazione contemporanea in Germania. È falso che la politica culturale tedesca negli ultimi vent’anni abbia promosso soprattutto le scienze della natura. Mai prima d’ora sono stati spesi tanti soldi per le scienze dello spirito. Il problema è piuttosto che molti scienziati dello spirito hanno troppo poco tempo per le pubblicazioni perché devono gestire tanto denaro e strutture. Perché invece dovevano provvedere a istituire più cattedre. Ma questo è un altro discorso.
In ogni caso non vi è affatto una distruzione della filosofia tedesca pilotata dai tecnocrati. Crederlo, da parte di Di Cesare, è un banale luogo comune heideggeriano. E in che senso Tubinga è «la patria di Hegel e Schelling»? A Tubinga avevano soltanto studiato, e tra l’altro non era loro nemmeno piaciuta. Oggi ci sono molti centri filosofici in Germania, con diversi punti di forza: Monaco, Bonn, Lipsia, Berlino, Francoforte, Heidelberg e così via. Altri istituti sono in crisi, come Friburgo. Ciò che a Di Cesare sfugge è che la Germania è un Paese del XXI secolo con una storia contemporanea. Semplicemente non ha nessuna voglia di occuparsene. È troppo nostalgica per farlo.
Può esserci però anche un motivo più oggettivo. Non vuole rendersi conto che nella filosofia contemporanea globale c’è stata una svolta realistica, la quale ha portato anche a nuove forme di ontologia, epistemologia e metafisica. A Di Cesare non piace che sia ritornata la realtà (in effetti non era mai scomparsa). Di che cosa ha paura? Forse di Heidegger, che ritiene tanto importante e che semplicemente sopravvaluta. La filosofia globale sta al di là delle antiche distinzioni tra il pensiero analitico e quello fenomenologico/ermeneutico. Questa è ideologia dell’altro ieri, esattamente come lo era il generale nazionalismo del XX secolo o il fascismo per Croce e Gentile.
In ogni caso Di Cesare non ha capito ciò che io ho difeso nei miei libri — per esempio in Perché non esiste il mondo —, non lo ha capito affatto. La mia posizione non «ruota attorno alla tesi che il mondo, inteso come un insieme di oggetti, non esiste». Io affermo piuttosto che il mondo non c’è, nemmeno nel senso esistenziale di Heidegger, o degli heideggeriani «ambito degli ambiti» o «ente nel suo insieme». È una tesi completamente diversa. Di Cesare vorrebbe che la mia filosofia fosse una combinazione di Heidegger e della filosofia analitica. Ma allora non dovrebbe mettersi a discutere con la filosofia contemporanea e dovrebbe riconoscere che anche nel pensiero tedesco del XXI secolo c’è una filosofia che lei semplicemente non capisce. Ma la realtà non è sempre come la si vorrebbe. È proprio quello che dice il realismo e, con questo, dice la verità.

(traduzione di Alessandra Iadicicco )

Markus Gabriel: il mondo non esiste, ma tutto è reale 
Il filosofo tedesco del Nuovo Realismo: “La nostra epoca non è perfetta, però è molto meglio delle precedenti” Francesca Sforza La Stampa 18 5 2015
Cos’è più importante, il fatto che io sia qui in questo momento o cosa questo significhi? «Sono tutti e due fatti», dice Markus Gabriel, filosofo tedesco tra i protagonisti del Salone, autore tra l’altro di Perché non esiste il mondo, (Bompiani), e fondatore del Nuovo Realismo, la teoria secondo cui «possiamo conoscere le cose in sé come sono realmente, perché queste non appartengono a un solo campo di senso, ma restituiscono la pluralità del reale».
Come la mettiamo con i fatti «astratti», Dio per esempio?
«Intendiamoci sulla parola, intanto. Se ci riferiamo a un’entità che si ritenga abbia un’influenza causale sui fatti, allora è una finzione. Se invece vogliamo dire che la nostra esistenza ha uno spessore più profondo della vita animale, allora possiamo parlare di “qualcosa di divino”, ed è comunque un fatto»
Come convive il fatto in sé con le diverse interpretazioni che ne possono dare diversi individui?
«Non c’è conflitto tra il realismo e l’individualismo. Anche quest’ultimo è una verità, non è qualcosa di storico che può cambiare, è la realizzazione dell’infinito valore della vita, direi il fondamento stesso dell’etica. Credo che le interpretazioni dei fatti rappresentino un progresso: sono la storia, siamo noi che facciamo la storia, e in questo momento facciamo una bella storia».
Viviamo in un’epoca felice, senza mancanze?
«Molto migliore di tante epoche precedenti, questo è certo. Non che non ci siano mancanze, però. Quelle più evidenti mi sembrano consistere nella mitologia degli esperti, da cui si spera sempre di ottenere una verità più vera delle altre, e il binomio di nazionalismo e razzismo che colpisce le nostre società. L’idea che ci sia l’essenza del tedesco, l’essenza dell’italiano, mi sembra un grosso errore».
Come interpreta allora l’attuale sentimento anti-tedesco che si agita per l’Europa?
«Secondo me nessuno in questo mondo soffre a causa della Germania, è pura ideologia. L’idea di una supremazia tedesca è un fantasma. La fantasia di uno strapotere della Merkel o di una Germania egemone non è giustificata dalla realtà».
Qual è la radice dell’ideologia?
«La tendenza insita nell’essere umano a rifiutare la libertà. In questo condivido l’esistenzialismo di Sartre: sembra che la nostra libertà consista nell’eterno tentativo di eliminare la libertà stessa, e invece dobbiamo affermarla».
Come giudica il caso di Heidegger: un filosofo, un nazionalsocialista, tutti e due?
«Come ha detto Habermas, Heidegger è stato un “nazi ordinario”, pensare che ci siano due Heidegger, che ci sia un antisemitismo metafisico, è una scemenza. C’è solo un antisemitismo, ed è quello di Heidegger e dei nazisti. Secondo me Heidegger ha smesso di essere un filosofo alla fine degli anni Venti; possiamo discutere il caso di Essere e Tempo, che è molto complesso, ma subito dopo ha smesso di essere un filosofo».
Quali sono i suoi autori di riferimento?
«Sono molti i filosofi con cui parlo, da Thomas Nagel a Vadim Vasyliev, ma nel mio universo filosofico non ci sono autorità».

Nessun commento: