MOSCA ORIGINALE a tutti i costi, provocatorio senza limiti, Eduard Limonov entra con il suo stile da scrittore maledetto nel dibattito di questi giorni sul “nuovo alleato cinese” e sulla svolta verso Est della Russia di Putin: «Era ora che ci accorgessimo dell’immenso potenziale di Pechino. Questa è un’alleanza naturale che andava realizzata già vent’anni fa. Io l’avevo già messa nel programma del mio Partito nazional bolscevico. Bisogna guardare decisamente verso Est pur con tutte le cautele del caso». L’autore del Diario di un fallito, reso celebre due anni fa dalla biografia Limonov del francese Emmanuel Carrère, si dimostra entusiasta della nuova svolta verso Oriente imposta alla Russia anche dalla crisi economica e dalle difficoltà di rapporti con Europa e Stati Uniti seguiti alla crisi ucraina.
PECHINO IL PREMIER indiano Narendra Modi è impegnato da oggi nel suo più importante tour all’estero dal giorno dell’elezione, esattamente un anno fa. Per sei giorni il leader nazionalista visiterà Cina, Corea del Sud e Mongolia, ma è chiaro che la tappa cruciale del viaggio è la prima al di là della Grande Muraglia. India e Cina sono i due giganti della popolazione mondiale, vantano mega-economie in crescita, sono costrette alla convivenza, ma restano divise da storiche dispute territoriali. Il senso della missione, seguita con particolare attenzione sia a Washington che a Bruxelles, è stato anticipato dallo stesso Modi: «Il XXI secolo — ha detto — appartiene all’Asia». Il non detto è però ancora più decisivo: l’India avverte la Cina che se sta cercando di stabilire un’egemonia, non avrà vita facile nemmeno in Oriente.
di Antonio Armellini Corriere 19.5.15
Quello di Xian è stato il secondo incontro fra i capi delle due maggiori potenze asiatiche in meno di un anno: Narendra Modi ha di che ritenersi soddisfatto dei ventidue miliardi di dollari di accordi commerciali e degli oltre due miliardi di nuovi investimenti cinesi (in aggiunta ai venti promessi da Xi Jinping a Delhi qualche mese fa), allo scopo di correggere una bilancia commerciale fortemente squilibrata a svantaggio dell’India. La Cina, prima ancora che una priorità, rappresenta una vera ossessione per l’India: la sua economia crescerà quest’anno più di quella cinese, ma rimane grosso modo un quinto di quella. Il feeling personale fra Modi e Xi appare sincero — i due hanno molte caratteristiche comuni — ma «telefoni rossi» e Commissioni miliari congiunte (tutte cose già viste) non cancellano i problemi politici e le questioni territoriali ancora sul tappeto. Entrambi hanno confermato di voler spingere sulla leva dell’economia non soltanto per ragioni di mutuo vantaggio, ma perché convinti che rappresenti la via non tanto per elidere la ragioni di contrasto, quanto per rinviarne la definizione ad una fase in cui l’interdipendenza abbia raggiunto un livello tale da rendere improponibile un conflitto aperto: al momento esso rimane possibile, aldilà della retorica.
Lanciando la nuova Aiib (Asian infrastructure investment bank), Pechino ha confermato le sue ambizioni di primazia ed ha intercettato abilmente l’insofferenza di molti Paesi nei confronti della Banca mondiale e delle istituzioni collegate. I 45 miliardi di dollari per nuove infrastrutture, annunciati da Xi Jinping a Islamabad in aprile, hanno rilanciato il ruolo del Pakistan come testa di ponte dell’influenza cinese nella regione, con un occhio alle ambizioni indiane e all’evoluzione della crisi afghana. La rete integrata One Way, One Belt, di nuove «Vie della seta» terrestri e marittime, aprirà a Pechino attraverso il Pakistan una via diretta verso il Golfo Persico, destinata ad aggiungersi allo sbocco verso l’Oceano Indiano passando dal Myanmar. L’India denuncia l’accerchiamento e sta rafforzando la capacità di proiezione a lungo raggio della sua Marina, oltre lo stretto di Malacca. Altrettanto hanno cominciato a fare i cinesi e le misure di fiducia decise a Xian non modificheranno il carattere della competizione.
La situazione è in costante movimento e ambedue danno prova di spregiudicatezza. L’India cerca di contenere in Vietnam l’avanzata cinese nel Sud-Est asiatico e parla con l’Australia; la Cina si contro-assicura con una Russia indebolita e ambedue guardano al Giappone. Il pivot to Asia di Obama potrebbe finire per rivelarsi una tigre di carta e, nel gioco delle previsioni geostrategiche, prende corpo l’ipotesi di un futuro più o meno lontano di diminuita presenza Usa. Gli assetti di lungo periodo in Asia sono destinati a ruotare sempre più intorno a Pechino e a Delhi.
Recandosi qualche settimana fa per la prima volta in visita ufficiale in Europa e in Canada Narendra Modi ha chiuso, in parallelo con quello asiatico, l’asse euro-atlantico di un disegno geopolitico a tutto campo, forte della relazione privilegiata stabilita con Obama a Delhi in gennaio. La sterzata nei confronti dei Paesi europei è stata netta: ha lasciato cadere senza patemi il tradizionale Vertice India-Ue a Bruxelles ed ha egualmente ignorato la tappa di Londra, riferimento prioritario di memorie, cultura e interessi indiani. Ragionando come è uso fare in termini di rapporti di forza, si è recato nel Paese comunitario egemone — rinsaldando a Berlino il rapporto con Angela Merkel — e in quello che più gli premeva politicamente, sbloccando a Parigi con François Hollande la fornitura dei super-caccia Rafale che si era impantanata. Ad Ottawa, infine, ha spuntato la garanzia, a lungo negata, delle forniture di uranio necessarie al suo programma nucleare.
Pretesto, o ragione, dell’annullamento del Vertice brussellese sembra essere stata la richiesta italiana di parlare anche dei marò. Il che confermerebbe due cose. La sostanziale indifferenza di Delhi per l’Unione Europea, di cui stenta a cogliere il significato politico e che ritiene con qualche supponenza un attore secondario sulla scena internazionale. Meglio, molto meglio discutere con chi nell’Ue conta davvero, e se ciò comporta perdere per strada Bruxelles, pazienza. Il fatto che all’India dia molto fastidio essere sottoposta ad un vaglio internazionale che possa lederne l’immagine.
Nella capitale indiana si comincia a respirare un’aria di stanchezza ed aumenta la voglia di trovare una via che consenta ad entrambi di salvare la faccia; senza dimenticare che la decisione finale sarà presa direttamente da Modi e Matteo Renzi. L’industria indiana non ha esitato a cercare di sfruttare le occasioni che le si presentavano in Italia: sarebbe un grave errore per quella italiana lasciarsi condizionare nel tentativo di ritrovare spazi adeguati sul mercato indiano. Gestito con accortezza, il business può facilitare le soluzioni anziché incancrenire i contrasti.
Riforme fiscali e privatizzazioni: entro 2 anni la crescita di New Delhi dovrebbe superare quella della Cina
E il premier Modi esulta (a Shanghai)di Guido Santevecchi Corriere 19.5.15
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE PECHINO Il premier indiano Narendra Modi ha appena festeggiato il primo anno di governo durante una missione in Cina. Ha discusso del contenzioso territoriale che divide i due Paesi, ma soprattutto ha parlato di affari. Nella tappa a Shanghai ha presentato agli investitori della Repubblica popolare le grandi potenzialità dell’India che lui vuole risvegliare da decenni di torpore e si è fatto fotografare tra Jack Ma, il mago di Alibaba e dell’ecommerce, e Wang Jianlin, l’uomo più ricco dell’Asia. Modi è tornato a casa con due dozzine di contratti che promettono investimenti e prestiti cinesi per 22 miliardi di dollari, soprattutto in infrastrutture.
Pechino, seconda economia del mondo con un Prodotto interno lordo di 10,7 trilioni di dollari, può (e deve) permettersi una certa generosità con il vicino-rivale, il cui Pil è cinque volte inferiore, a 2,1 trilioni di dollari: alla Cina servono nuovi mercati per le sue industrie, capaci di costruire quelle infrastrutture delle quali l’India ha disperato bisogno.
Ma ieri, il ministro delle Finanze di New Delhi ha concesso un’intervista al Financial Times nella quale si dice fiducioso che il tasso di crescita indiano supererà quello cinese, stabilmente. «Penso che possiamo fare meglio» del 7% di crescita annuale sul quale si è attestata la Cina, dice il ministro Arun Jaitley e in uno slancio di entusiasmo aggiunge: «E questo non mi soddisfa ancora». La ricetta del governo Modi è a base di privatizzazioni, riforma della tassazione, abbattimento della burocrazia, grande impulso alle infrastrutture (137 miliardi di dollari nelle ferrovie nei prossimi cinque anni). La Cina sta rallentando sensibilmente dopo i trent’anni di crescita a due cifre e del sorpasso indiano si è cominciato a parlare alla fine del 2014. I numeri e le proiezioni sono ancora incerti, i dubbi sulle cifre ufficiali non mancano, su un fronte e sull’altro.
Goldman Sachs ha previsto che nel 2016 la crescita indiana, in salita al 6,9%, sorpasserà quella della Cina, in discesa al 6,8%. Sono seguite le conferme di Banca mondiale e Fondo monetario internazionale: il tasso di crescita della Cina, primatista mondiale a partire dagli anni 80, sarà superato in un paio d’anni da quello dell’India. Il 9 febbraio la sorpresa: l’ufficio statistiche di New Delhi ha rivisto i criteri di valutazione del Pil e ha annunciato che nell’ultimo trimestre del 2014 l’economia indiana ha aggiunto un 7,5% rispetto al 7,3% cinese. Secondo questi nuovi conti l’anno finanziario, che in India è terminato il 31 marzo, ha registrato un +7,4%, come il 2014 dichiarato da Pechino. Tutti gli analisti, compresi quelli indiani, avevano previsto un 5,5-5,8. Invece, con i dati «aggiustati», il sorpasso indiano è già in atto. Ora Arun Jaitley assicura che l’obiettivo dell’8% nel 2015 è a portata di mano, mentre la Cina sta faticando per mantenere la promessa del 7%.
La rivalità è forte. Il Global Times , giornale del partito comunista cinese, ha ammonito che «l’India dovrebbe stare attenta a non gonfiare i dati del Pil» e ha spiegato che le piccole e medie imprese indiane faticano. La conclusione del quotidiano è interessante, perché contiene un’autocritica: «Come la Cina ha già imparato, rapidi tassi di crescita non conducono necessariamente a una più alta qualità dello sviluppo». Insomma, bisogna stare attenti alla sindrome del «sorpasso».
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