RISPOSTA A RENZI DI ELENA M. FABRIZIO
DA SOTTOSCRIVERE DA FAR GIRARE!!!!!!
Gentile Presidente del Consiglio,
Lei e il Suo governo state portando noi docenti all’esasperazione; dovremmo pretendere un risarcimento per i danni materiali e morali conseguenti lo spreco di energie che abbiamo profuso in questi mesi. Abbiamo inserito le nostre critiche e proposte sulla piattaforma “Buona Scuola”, ci siamo riuniti in assemblee collegiali e sindacali dalle quali sono usciti documenti articolati, puntualmente inviati. Ciascuno di noi ha poi manifestato come poteva dissenso e proposte, della cui consistenza può rendersi conto consultando la sezione scuola della rivista Metro News. In Parlamento attende di essere discussa una legge di iniziativa popolare (Lip) che molti docenti hanno sottoscritto; è stata consegnata al Presidente della Repubblica Mattarella una petizione firmata da circa 80 mila cittadini, con la richiesta che il nodo spinoso del centralismo dirigenziale sia sottoposto al vaglio del dettato costituzionale. Abbiamo scioperato. Come vede c’è stata una pluralità di iniziative chiare, finalizzate a rimuovere o modificare l’assetto complessivo del Ddl.
Ora Lei, dopo l’emendazione del testo nella Commissione Cultura, che nella sostanza non accoglie le nostre richieste, ci chiede nuovamente di essere propositivi, attivandosi in una comunicazione ideologica e viziata dall’idea politica che vorrebbe inoculare nella scuola, tra l’altro perfettamente coerente con la precedente riforma Gelmini. Ogni volta che Lei scrive o comunica, come ha fatto ieri con la lettera e con il video, distorce la verità, quella che è scritta nel Vostro Ddl, ora alla discussione parlamentare.
1) È ideologica la Sua convinzione che la disoccupazione giovanile in Italia dipenda dalla scarsa alternanza scuola-lavoro e quindi dalla scarsa professionalità dei nostri giovani, e non dall’assenza di posti di lavoro. Il Ddl tra l’altro non spiega perché l’alternanza scuola-lavoro debba coinvolgere anche i Licei, cioè indirizzi di studi destinati allo sbocco universitario.
2) Ideologica e direi priva di spessore culturale, è l’idea che la dispersione scolastica possa essere risolta con l’alternanza scuola-lavoro, come a dire che tale angosciante problema possa essere spostato sul reclutamento della forza-lavoro. Si va così intenzionalmente a ignorare la matrice socio-economica di problemi come la scarsa alfabetizzazione e le difficoltà nell’apprendimento, spesso connessi alle diseguaglianze economico-sociali diffuse sul territorio italiano, che al contrario hanno bisogno di un programma di istruzione speciale che parta dalla scuola primaria. Perché se non si incide su questo fattore, la percentuale degli alunni con bisogni educativi speciali (Bes) non farà che aumentare.
3) Ideologica è la Sua idea di autonomia che affida ai Dirigenti la possibilità di scegliere i docenti da un Albo territoriale, di provvedere al Piano triennale dell’offerta formativa, di valutare i docenti, insieme a genitori e studenti. È una proposta antidemocratica che non accetteremo mai e di cui non si capiscono “apparentemente” le ragioni. Perché non lasciare questi compiti al Collegio dei docenti?
4) La chiamata diretta dei Dirigenti è inaccettabile perché mina l’autonomia dell’insegnamento. Come è possibile che non comprendiate questa elementare conseguenza? Vuole che le raccontiamo delle pressioni che alcuni Dirigenti, per le più svariate ragioni, esercitano sui docenti nel corso dell’anno scolastico e degli scrutini? Per le richieste spesso irragionevoli dei genitori, per scelte politiche, per dare un’immagine edulcorata della scuola o per la più nobile ragione di non perdere classi, che significherebbe perdere prestigio e anche docenti.
Da tutto questo i docenti possono difendersi e resistere solo attraverso il sacrosanto principio dell’autonomia ed è irresponsabile da parte Vostra ignorare il valore altamente civico di questo principio.
5) Ideologica, poi, è l’autonomia della dotazione finanziaria, con la quale decidete che lo Stato possa abdicare alla sua funzione sociale ed economica e affidarsi ai privati per la gestione di un bene che è pubblico e tale deve rimanere, infliggendo così un ulteriore duro colpo al Welfare.
6) Ideologica è tutta la questione della valutazione dei docenti. L’incompetenza con la quale l’avete affrontata impone che essa venga subito cassata, per essere pensata e meditata con il contributo di esperti e del mondo della scuola. Da dove nasce il bisogno di valutare i docenti? In questi mesi vi ho sentito esprimere pareri sui docenti inoperosi degni delle comari di Windsor. Invece di affidarvi a uno studio del fenomeno, vi siete limitati al pregiudizio che proviene dal sentito dire. Avete per caso istituito una commissione che abbia analizzato il problema e possa darvi contezza delle percentuali di docenti eventualmente “fannulloni”? Senza considerare che già esistono gli strumenti normativi per intervenire sulle piaghe dell’incompetenza e della pigrizia, che caratterizzano ogni settore della società. In ogni caso la valutazione non può in nessun modo essere associata alla “premialità”, essa ha senso solo se finalizzata al miglioramento della didattica e al perfezionamento del proprio patrimonio culturale, entro tale dimensione essa è incompatibile con il valore denaro.
7) E a questo proposito va detto che la prima cosa da fare è innanzi tutto adeguare i nostri stipendi alla dignità del nostro lavoro e alla sua funzione sociale, sulla base del principio che lo stipendio è il corrispettivo di una professione che si deve presupporre esercitata con dovere, responsabilità e rispetto delle regole. E invece voi trasportate il vostro sospetto che le cose non stiano così, il vostro pregiudizio soggettivo, in una norma che blocca gli scatti e gli adeguamenti stipendiali, per premiare i più bravi, secondo criteri oscuri, indeterminati e facilmente soggetti ad applicazioni arbitrarie.
8) Per inciso Le faccio notare che non esiste alcun nesso scientifico o automatico tra una scuola, come quella che viene rappresentata nel Ddl, ingorgata di attività, di iniziative, di progetti di ogni genere e tipo, e la qualità della formazione culturale sia degli alunni e sia dei docenti. Impegnati come saranno a organizzare di tutto e di più, i docenti non avranno affatto tempo per quell’aggiornamento obbligatorio che vi sta tanto a cuore. Aggiornamento, sia chiaro, che non prevede solo corsi e corsetti calati dall’alto, ma studio continuo, riflessione, adeguamento della didattica alle esigenze degli alunni, tutti ingredienti che richiedono tempo.
Una proposta sensata sarebbe quella che a parità di stipendio diversifichi le funzioni, tra chi vuole dedicarsi alla didattica e chi vuole invece impegnarsi nelle altre attività dell'offerta formativa.
Una seconda proposta attiene invece alla selezione e formazione in entrata, che richiederebbe una seria permanenza universitaria finalizzata ad apprendere il metodo della ricerca, che poi deve essere gestito in autonomia, attraverso lo studio, il confronto collaborativo, gli strumenti della collegialità, per diventare prassi della professione.
9) E a questo proposito: parlate della qualità della didattica e dell’apprendimento con una arroganza direttamente proporzionale all’astrattezza con la quale affrontate la questione. La condizione minima per favorire la qualità della didattica, e incidere con un certo successo su tutto il gruppo classe, è il numero di studenti per classe che non dovrebbe superare i 20-22 alunni.
10) A parte i piccoli aggiustamenti su musica, arte e sport, dove sta scritto che valorizzate la formazione umanistica? Come è possibile questa valorizzazione senza intervenire drasticamente nelle scellerate norme della Riforma Gelmini che ha depotenziato soprattutto le materie umanistiche? Pensate di poterla risolvere con l’autonomia?
11) L’Albo territoriale precarizza tutti, anche i docenti che sono da anni in ruolo, i quali non sono nella condizione di scegliere (Le ricordo che l’ultimo concorso del 1999 fu regionale), ma sono piuttosto costretti a chiedere un trasferimento per avvicinarsi alle famiglie. Costringe i docenti ad una continua mobilità che ricade sulla qualità della didattica, sugli già esigui stipendi e sulla loro salute psico-fisica.
12) Con le deleghe al Governo in materia di sistema nazionale di istruzione e formazione Vi assumete dei poteri che sfuggono completamente al controllo del Parlamento.
Ci sarebbero tante altre osservazioni da fare, perché è l’impianto complessivo, proprio quello che voi avete deciso di non voler modificare, a essere viziato da un’idea politica centralistica, antidemocratica, privatistica, che impone un drastico passo indietro. Tale visione non è estranea alla logica del mercato, che ha già in parte deteriorato la scuola, producendo il genitore/alunno cliente di cui occorre soddisfare tutte le richieste, con grave danno per la formazione. Tale visione è perfettamente coerente con l’accettazione acritica del Sistema di valutazione nazionale fondato sull’Invalsi che risponde ad una logica standardizzata, funzionale, strumentale che non incide in nessun modo sul miglioramento dei livelli di apprendimento, ma anzi li deteriora.
Dal momento che per voi l’impianto complessivo è dogmaticamente intoccabile, ne consegue che le aperture Sue e del Ministro siano non vere, e che ancora una volta, con le nostre risposte, noi abbiamo perso il nostro prezioso tempo nel tentativo disperato di riportarvi alla ragione.
Alla ragione di una comunicazione trasparente e onesta, che rispetti le regole della logica e del discorso veritativo; alla ragione di un linguaggio rispettoso del nostro ruolo; alla ragione di atteggiamenti educati e non supponenti e pregiudizievoli. E prima di tutto, perché è lì che tutto si fonda e si mantiene, alle ragioni e al rispetto della nostra Costituzione, che ci ha affidato una scuola democratica, egualitaria, pubblica e laica, e di cui il Vostro Ddl non può considerarsi evoluta espressione.
Elena Maria Fabrizio, Docente di Filosofia e Storia, Lecce
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Se cambia dunque la votano [SGA].
E i dissidenti del Pd tornano in trincea
di Annalisa Cuzzocrea Repubblica 15.5.15
ROMA Chiedono cambiamenti su tre punti: poteri del preside,
finanziamento privato, precari da assorbire. Promettono collaborazione
ed emendamenti nel merito, tanto alla Camera quanto al Senato. Ma
proprio sulla scuola, su uno degli argomenti più di sinistra che si
possa immaginare, alcuni di loro (Fassina, D’Attorre) sono pronti allo
strappo finale.
La minoranza pd si è riunita ieri per la prima volta dopo lo smacco
dell’Italicum. Non erano tutti. Una parte, dopo il voto di fiducia sulla
legge elettorale, sta prendendo altre strade. Ma c’erano, in sala
Berlinguer alla Camera, una cinquantina di volti preoccupati. Perché
tocca combattere di nuovo, e la sconfitta è troppo recente per capire
com’è meglio farlo. Così, i leader di Area riformista e Sinistra dem
Roberto Speranza e Gianni Cuperlo cercano di tenere viva l’idea di una
battaglia che si può vincere. O che comunque, bisogna portare fino in
fondo per tentare di cambiare una legge che non piace a nessuno di loro.
È la stessa visione dell’ex premier Enrico Letta: «La riforma della
scuola ha bisogno di gradualità, non di fretta — ha detto al salone del
libro di Torino — se l’impegno di Renzi si applicasse anche a fare le
cose perbene l’Italia se ne potrebbe giovare, ma nessuno glielo dice
perché i politici sono condizionati dalla necessità di avere uno
stipendio». E ancora: «Si è voluta fare una cosa molto di corsa, molto
di fretta, senza rendersi conto che si toc- cano milioni di famiglie,
bambini e insegnanti».
È sui numeri, che vuole soffermarsi chi cerca di convincere il premier
ad ascoltare: «A fare sciopero sono state 618mila persone », dice l’ex
capogruppo Roberto Speranza. «Hanno rinunciato a un giorno di stipendio,
a 70, 80, 90 euro. Davanti a questo, non puoi buttarla sulla
burocrazia, sui sindacati. È una roba di popolo, una grande parte del
nostro popolo che chiede una risposta». Le soluzioni le hanno messe in
una ventina di emendamenti che toccano quattro punti fondamentali: «Il
primo è il ruolo del preside — spiega sempre Speranza — in commissione
si è già modificata la parte sulla stesura del piano di offerta
formativa, su cui avranno voce in capitolo anche il collegio dei docenti
e il consiglio d’istituto. Ma c’è ancora da cambiare la chiamata degli
insegnanti, anche quella dev’essere più condivisa. Lo ha detto bene
Carlo Galli: la filosofia di questa riforma fa male ai docenti perché un
preside così forte ridurrà il loro spazio di autonomia. Quel che era
rimasto ai professori italiani, mal pagati, senza un adeguato
riconoscimento sociale, è una libertà di espressione ora in pericolo ».
La parte su cui si lavora con più attenzione è quella della possibilità
di donare il 5 per mille alla scuola dei propri figli: «La cosa grave è
che questa norma non fa neanche riferimento a risorse aggiuntive —
spiega Stefano Fassina — così, soldi del fondo riservato alla scuola
vengono redistribuiti sulla base delle dichiarazioni dei redditi dei più
ricchi». La conseguenza, a lungo andare, sono scuole migliori nelle
zone più agiate e scuole povela re nelle periferie. «Non è una cosa che
un partito di sinistra può permettere», si sfoga Speranza. Così, la
prima modifica tentata sarà cancellare l’intero articolo. Mentre un
secondo emendamento propone di ribaltare le percentuali: non più l’80
per cento alla scuola e il 20 al fondo di perequazione, ma il contrario.
Infine, c’è la questione dei precari, con la richiesta di un percorso
di entrata certo per chi resta fuori dalle 100mila assunzioni. E ci sono
gli sgravi per le private: «Darli anche alle scuole secondarie
significa incentivare i diplomifici, alla faccia della meritocrazia».
Ma che succede se il governo chiude la porta? Deputati come Stefano
Fassina e Alfredo D’Attorre hanno fatto capire di essere pronti a votare
no alla riforma. Gli altri potrebbero non partecipare, o astenersi.
Qualcuno ha anche proposto di votare sì con un documento che spieghi
cosa va cambiato, sperando nelle modifiche al Senato. Ma è una linea
poco chiara, che tutti vorrebbero evitare. Chi conosce Fassina pensa a
un addio imminente: «Il voto finale è mercoledì, credo che dopo mollerà.
Stefano è ormai convinto che sia impossibile far vivere un punto di
vista di sinistra dentro questo Pd». La stessa voce comincia a girare su
Alfredo D’Attorre, che sulla riforma è forse il più duro: «Renzi una
volta ha detto che è giusto che ci siano università di serie A e di
serie B. Ed è questo che sta mettendo in campo: una sorta di
competizione darwiniana tra i diversi istituti che non credo sia
compatibile con l’idea di scuola pubblica. Per come la vedo io,
autonomia significa raggiungere obiettivi condivisi, non far aumentare
le diseguaglianze».
Il Ddl in Parlamento Scuola, in arrivo modifiche su precari e 5 per mille
Ieri è cominciata la discussione generale ma c’è da fare i conti con una trentina di rilievi della commissione Bilancio
di Eugenio Bruno, Massimo Frontera Il Sole 15.5.15
La partita sulla «buona scuola» continua a giocarsi su due tavoli
diversi. Uno dentro al “palazzo”, con l’aula della Camera che ha
terminato ieri la discussione generale del ddl e oggi inizierà a votare i
primi emendamenti, per introdurre ad esempio alcuni miglioramenti su
precari e 5 per mille; l’altro fuori, con le nuove prove di dialogo
(soprattutto a colpi di video) tra il governo e i contestatori.
Sindacati e studenti su tutti. Ma i risultati fanno fatica a vedersi.
Tanto più che anche la Bilancio avrebbe espresso 30 rilievi sul testo
uscito ieri dalla commissione Istruzione.
Partiamo dal confronto. Dopo i cortei del 5 maggio scorso e la due
giorni di incontri a Palazzo Chigi le parti restano distanti. Come
conferma la scelta delle segreterie del Lazio di Flc Cgil, Cisl Scuola,
Uil Scuola, Snals Confsal e Gilda Unams di fissare per le 16.30 di oggi
un sit-in in piazza del Pantheon a cui sono stati invitati anche i
parlamentari. Ma le iniziative non finiscono qui visto che per lunedì 18
e martedì 19 - alla vigilia cioè del voto finale previsto per mercoledì
20 - è stato già indetto un “Speaker’s Corner” davanti a Montecitorio
sul modello dell’Hyde park londinese. E anche con le associazioni
studentesche non si registrano passi avanti. A giudicare dallo scambio
di video di ieri, con gli studenti che hanno prima risposto a quello di
mercoledì del premier Matteo Renzi e hanno poi ricevuto la controreplica
dei deputati-dem.
Nel frattempo la Camera va avanti sul testo. Da registrare sia le parole
della ministra Stefania Giannini che in aula ha rivendicato la volontà
del ddl di «ricostruire la normalità che decenni di scelte mancate hanno
fatto scomparire e cioè che chi lavora nella scuola sia scelto in base
al fabbisogno e selezionato attraverso un concorso pubblico». Sia quelle
della relatrice Maria Coscia (Pd) che ha ricordato come il testo in
commissione sia stato «migliorato senza metterne in discussione
l’impianto». E ulteriori modifiche potrebbero arrivare in assemblea. In
primis sui precari, rendendo più chiaro il passaggio che al termine
delle 100.703 stabilizzazioni le graduatorie a esaurimento chiuderanno
(con l’eccezione dei 23mila docenti dell’infanzia). Altre novità sono
possibili anche sul 5 per mille. L’ipotesi, da verificare però con il
Mef, prevede di assegnare al contribuente una doppia scelta: una per il
no profit e le altre categorie che già oggi ne beneficiano, una per le
scuole che ne godranno dal 2016. Ma c’è un’altra grana con cui la
maggioranza deve fare i conti. Il parere della Bilancio che era atteso
per ieri non è arrivato complice una trentina di censure che sarebbero
giunte sul testo. Un nodo questo che verrà sciolto probabilmente
stamattina.
Intanto il governo accelera sull’edilizia scolastica. Ieri il ministro
delle Infrastrutture, Graziano Delrio, ha chiamato le regioni a un primo
redde rationem sui programmi, con una valutazione a campione fatta da
una task force con anche l’Agenzia per la coesione territoriale. Sul
banco degli imputati le amministrazioni di Calabria, Campania e Sicilia.
«In queste tre regioni ci sono programmi di edilizia scolastica per 2,3
miliardi in totale e 9.936 interventi finanziati», ha detto Delrio
nella conferenza stampa seguita all’incontro. Nell’ambito di queste
somme, «più di un miliardo è riprogrammabile», ha anticipato Delrio.
Il resto è, più o meno, ancora un buco nero. Il bilancio di un anno di
lavoro condotto dalla task force ha messo sotto la lente 397 interventi
nelle tre regioni del Mezzogiorno che valgono 250 milioni. Risultato?
Solo nel 27% dei casi l’esito è stato positivo, con progetti rimessi in
carreggiata. Nel 51% dei casi, questo risultato non è stato ottenuto
(esito negativo). Negli altri casi non c’è ancora una valutazione, né
positiva né negativa. «Il problema non sono i soldi - ha sottolineato
Delrio - perché i soldi ci sono, e sono anche tanti. I problemi sono la
mancanza di progettualità e la mancanza di un presidio sull’intervento e
l’inerzia delle amministrazioni».
In Parlamento alla ricerca di un difficile compromesso
di Marcello Sorgi La Stampa 15.5.15
La riforma della scuola continua ad essere un fronte aperto per il
governo, anzi un doppio fronte. Ieri la Camera ha cominciato a
discuterne, mentre fuori Montecitorio si moltiplicavano le reazioni
all’intervento video di Renzi alla lavagna. A quella dei sindacati e
degli insegnanti, che insistono per continuare la trattativa aperta a
Palazzo Chigi, s’è aggiunta la resistenza degli studenti, che hanno
risposto sul web con filmati-parodia di quello del premier.
Renzi resta intenzionato, se possibile, a evitare un nuovo braccio di
ferro alla Camera come quello appena concluso sull’Italicum. Molto
dipenderà dall’atteggiamento delle opposizioni, e non a caso il governo
ha fatto sapere di non essere orientato a porre la questione di fiducia
se il confronto parlamentare non precipiterà verso l’ostruzionismo.
Ma non sarà facile: gli avversari di Renzi, alla vigilia delle elezioni
regionali, hanno interesse a mantenere in ebollizione il mondo della
scuola, che rappresenta, per il centrosinistra, un tradizionale
serbatoio di voti. E Renzi può fare qualche concessione, ma non fino al
punto di snaturare la riforma, sulla quale, come usa dire, «ha messo la
faccia».
Così, anche se all’interno dei due campi c’è chi cerca un compromesso, i
rischi che lo scontro degeneri esistono. E già da oggi si capirà se
come altre volte prevarranno.
Altre due questioni aperte sono i rimborsi delle pensioni, dopo la
sentenza della Corte costituzionale, e l’immigrazione, dopo la decisione
di Bruxelles di procedere a una ripartizione dei profughi tra i Paesi
membri dell’Unione e di strutturare una strategia comune per frenare il
traffico illecito di migranti.
Sulla prima il ministro dell’Economia Padoan ha assicurato che entro
lunedì ci sarà un primo provvedimento che riguarderà i pensionati a
reddito più basso e sarà compatibile con l’equilibrio dei conti pubblici
chiesto dalla UE. Per la seconda, l’ipotesi di una missione
multinazionale a guida italiana incaricata di bloccare i barconi nei
porti libici. Rilanciata ieri dal ministro dell’Interno Alfano, incontra
molte perplessità.
Anche Prodi, che di Libia ha grande esperienza, intervistato ieri dal
Tg3, ha spiegato che con un intervento senza copertura dell’ONU
sarebbero forti i «rischi collaterali», cioè la possibilità di fare
vittime innocenti.
I pontieri del governo al lavoro per un accordo con la Cgil
Renzi non vuole rompere, anche in chiave elettorale
di Carlo Bertini La Stampa 15.5.15
Si tratta anche con la Cgil, Matteo ha dato il via libera agli
ambasciatori...», ammettono gli uomini del premier. Con le piazze ostili
e le elezioni alle porte, Renzi vuole provare a ridurre il malcontento
di un bacino elettorale della sinistra come quello degli insegnanti,
sindacalizzato al massimo grado: per questo il governo non vuole dare la
sensazione di dividere i sindacati ed è in corso un’interlocuzione con
tutte le confederazioni. I punti sub judice sono tre: la tipologia dei
precari da assumere, ferma restando la platea di 100 mila a settembre e
60 mila l’anno prossimo per concorso, i ruoli dei presidi e la gestione
dei 200 milioni di euro destinati ai premi per gli insegnanti, che i
sindacati vorrebbero lasciare in appannaggio ai collegi dei docenti. E
la strategia è di procedere con una trattativa sul filo del rasoio su
canali riservatissimi. Il canale diplomatico con la Cisl e la Furlan
viene battuto ufficialmente soprattutto da Stefania Giannini e Lorenzo
Guerini per il Pd, quello con la Camusso è il più delicato e i rapporti
più distesi sono quelli con la Boschi: che martedì nella riunione
plenaria a Palazzo Chigi, ha volutamente mostrato ascolto alle ragioni
del sindacato, incassando per questo l’apprezzamento della leader Cgil.
Ma dietro il proscenio c’è chi conduce la trattativa sul piano più
tecnico lavorando sottotraccia.
La nuova «concertazione»
Con i leader sindacali il governo è già d’accordo a rivedersi quando si
tratterà di stringere: non la prossima settimana, quando la riforma
passerà alla Camera con poche modifiche rispetto al testo votato in
commissione, ma nei primi dieci giorni di giugno, quando la riforma
approderà al Senato. Lì il testo verrà di nuovo ritoccato e prima del
voto finale alla Camera c’è l’impegno a riunire di nuovo i sindacati a
Palazzo Chigi. La strada di un accordo è stretta, ma i segnali inviati
dal premier sono di appeasement, pur con l’avvertimento che devono
rientrare minacce sconsiderate come il blocco degli scrutini altrimenti
non si tratta con nessuno. Non a caso la tabella di marcia in queste ore
è cambiata: se fino a qualche giorno fa gli uffici al Senato erano
stati allertati per un voto in corsa entro le regionali, si è deciso che
la riforma andrà votata a palazzo Madama entro il 7 giugno per poi
tornare alla Camera per un timbro finale entro il 15, data ultima per
poter procedere con l’assunzione dei precari.
La minoranza si schiera
Anche Renzi ieri si è concentrato sulla «buona scuola», tutti i suoi
«pontieri» sono al lavoro, prima dell’avvio della discussione generale
della riforma alla Camera, Ettore Rosato ha riunito alle otto di mattina
il gruppo dei deputati: sono arrivati un centinaio a parlare, il più
duro Stefano Fassina, ma una parte del fronte ex Cgil della minoranza, è
schierato a favore della riforma. Il sentimento prevalente di molti
deputati della minoranza è di grande critica verso la minaccia del
blocco degli scrutini, con l’argomento ricorrente che «non è nella
cultura di un grande sindacato interrompere un servizio alle famiglie e
agli studenti». E se a spingere per procedere senza fretta è l’ex
premier Letta («ci vuole più gradualità e condivisione»), basta sentire
il messaggio lanciato da Lorenzo Guerini per capire quale sia l’input
del premier-segretario: «Sui passaggi riformatori di particolare
importanza dobbiamo dimostrare di saper costruire un ampio consenso».
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