venerdì 15 maggio 2015
Saraceno sul reddito minimo
Sul reddito minimo non c’è da improvvisare
di Chiara Saraceno Repubblica 15.5.15
ILreddito di cittadinanza nel senso che tutti i cittadini da Agnelli in
giù hanno un reddito è una follia. L’idea di una misura contro la
povertà è una cosa su cui stiamo lavorando e siamo disponibili a parlare
con i 5Stelle e con gli altri, ovviamente compatibilmente con i vincoli
di bilancio». Così ha dichiarato Renzi nella conversazione con
Repubblica . Ma ciò che propongono i Cinquestelle è esattamente questo,
una misura contro la povertà. Sbagliano a chiamarla reddito di
cittadinanza, perché questo termine evoca altre proposte che circolano a
livello internazionale e sono sostenute da studiosi di tutto rispetto,
come Atkinson e Van Parijs, e da un network internazionale, che
auspicano, appunto, un reddito di base per tutti. Ma la proposta dei
Cinquestelle si riferisce a chi si trova in povertà, come quelle della
Alleanza contro la povertà con il Reis (Reddito di inclusione sociale),
della commissione Guerra con il Sia (Sostegno di inclusione attiva), di
una proposta di legge di iniziativa popolare avanzata dal Bin (Basic
Income Network) Italia, e prima ancora del lontano reddito minimo di
inserimento sperimentato alla fine degli anni Novanta.
Non mancano, infatti, le proposte e neppure le sperimentazioni, anche se
Maroni, che oggi a sorpresa annuncia di voler sperimentare il “reddito
di cittadinanza” in Lombardia sembra aver dimenticato di aver affossato
il reddito minimo di inserimento appena diventato ministro del welfare,
chiudendo la sperimentazione e dichiarandola fallita, senza spiegazioni
né discussioni.
Al di là dei nomi, ciò di cui si parla, e che esiste già nella
stragrande maggioranza dei Paesi dell’Unione Europea, in molti Paesi
Ocse e in diversi Paesi dell’America Latina, è una misura
universalistica, non categoriale (cioè non limitata a una o un’altra
categoria di poveri) di sostegno al reddito per chi si trova in povertà,
solitamente accompagnata dalla richiesta di disponibilità ad accettare
richieste di lavoro per chi ne ha la capacità, o a partecipare a corsi
di formazione per chi ne ha necessità, di fare in modo che i figli (per
chi ne ha) frequentino regolarmente la scuola e abbiano le cure mediche
necessarie e così via. Il termine “di cittadinanza” (anche se io non lo
userei proprio perché si presta ad equivoci) si riferisce al diritto di
ricevere sostegno se si è in condizione di bisogno (così come si ha
diritto di ricevere una istruzione di base, o cure mediche quando si è
malati), a prescindere dalla appartenenza ad una o un’altra categoria.
Si può discutere dell’importo base di questa misura, di come debbano
essere definiti i diritti e i doveri di chi la riceve e dei doveri di
chi deve fare funzionare le attività integrative e di accompagnamento
(dalla scuola ai servizi per l’impiego), su come e con quale periodicità
si devono effettuare i controlli. E si deve, ovviamente, ragionare su
come finanziarla (senza tut- tavia metterla sempre in coda rispetto ad
altre priorità non adeguatamente discusse). Ma, ripeto, si tratta di
misure che già esistono in altri Paesi (incluso il Portogallo, molto più
povero dell’Italia) da diversi decenni. Sono state sperimentate anche
in Italia e alcuni comuni hanno da tempo qualche cosa di simile. La
provincia di Trento ha messo a regime il proprio reddito minimo da oltre
due anni. Sono esperienze da cui si può imparare senza iniziare
ennesime sperimentazioni che servono solo per rimandare la questione
creando ulteriori disparità tra chi è coinvolto nella sperimentazione e
chi no: una disparità che può essere accettabile una volta, ma che non
può essere sistematicamente ripetuta, senza che si vada mai a regime.
Nei dibattiti di questi giorni, incluso “Ballarò” e “Di martedì” scorsi,
si sono sentiti pareri, commenti, fondati su una intollerabile
ignoranza da parte anche di illustri commentatori e commentatrici.
Peraltro, nessuno sembra abbia pensato di sentire, oltre ai
Cinquestelle, chi di queste cose si occupa da anni e ha fatto proposte
argomentate (ad esempio l’Alleanza contro la povertà). Il dibattito
sembra limitato a politici (inclusi quelli del Pd) e giornalisti
apparentemente scelti tra chi ne sa meno ed ha meno memoria storica. Con
il risultato di aumentare la confusione, delegittimando in partenza
ogni proposta, lasciando aperto il campo ad ennesime sperimentazioni più
o meno idiosincrasiche, o all’invenzione di qualche ennesima misura
categoriale con cui vengono disperse risorse già scarse.
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