mercoledì 24 giugno 2015
La guerra di Confindustria per appropriarsi della scuola in nome del "merito"
Autovalutazione e sperimentazione non fanno rima con il merito
di Eugenio Bruno Il Sole 24.6.15
Se non è un’autovalutazione poco ci manca. Il rischio che le decisioni
sui premi agli insegnanti meritevoli si risolvano in un affare tutto
interno al corpo docente resta immutato anche dopo la presentazione del
maxiemendamento dei relatori. Aver portato da due a tre (e non più a
quattro come previsto alla vigilia, ndr) il numero di prof presenti
all’interno del comitato di valutazione non è sufficiente a scongiurare
questo pericolo.
Decisivo per i rapporti di forza all’interno dell’organismo che dovrà
fissare i criteri per incentivare il merito dei docenti sarà infatti il
membro esterno. Che potrà essere - ed ecco l’escamotage trovato dalla
maggioranza per andare incontro alle richieste dei sindacati - a sua
volta un docente. A decidere sarà l’ufficio scolastico regionale che in
alternativa potrà optare per un dirigente scolastico o un tecnico. Ed è
consigliabile che ove possibile lo faccia se non si vuole trasformare in
una falsa partenza l’avvio - finalmente - della valutazione estesa ai
professori.
Ma c’è un’altra minaccia che si annida tra le pieghe del provvedimento
alla luce delle modifiche proposte nel testo su cui il?Senato voterà
domani la fiducia al governo. Ed è quello che anche stavolta non si vada
oltre la sperimentazione: una pratica che la scuola italiana conosce da
oltre 25 anni ma che non ha dato finora, come ricordato nei giorni
scorsi su questo giornale, i risultati sperati. Stabilire sin d’ora che
dopo tre anni si farà un “tagliando” alle decisioni prese dalle singole
scuole per poi arrivare a delle linee guida nazionali sembra un altro
modo per prendere tempo. In un campo su cui gli altri paesi europei sono
avanti da almeno un decennio.
I poteri del preside. Limiti all’utilizzo dei prof in una classe di concorso diversa
Chiamata diretta, ancora paletti Tornano le decisioni «collegiali»
di Cl. T. Il Sole 24.6.15
ROMA Modifica dopo modifica i poteri dei dirigenti scolastici vengono
ancora limitati: il preside, sulla carta, resta titolare della gestione
dell’istituto, ma nell’agire dovrà rispettare le «competenze degli
organi collegiali». Rimane in piedi la chiamata “diretta”, e si potranno
utilizzare docenti in classi di concorso diverse da quelle per le quali
sono abilitate (ciò, però, non sarà possibile se «nell’ambito
territoriale» ci sono insegnanti abilitati in quella materia - che
avranno quindi sempre la precedenza).
Si conferma poi come il preside sia solo un attore (e non il principale)
nell’elaborazione del piano dell’offerta formativa: il «Pof», che è la
nuova carta d’identità della scuola, dovrà essere elaborato dal collegio
dei docenti sulla base degli indirizzi definiti dal dirigente. E poi
approvato dal consiglio d’istituto.
Il maxi-emendamento, che riscrive il ddl «Buona Scuola», apporta una
serie di chiarimenti che indeboliscono le funzioni del preside (un passo
indietro rispetto al disegno autonomista e riformatore contenuto nella
prima versione della riforma Renzi-Giannini).
Il preside potrà modificare la composizione degli alunni nelle aule per
evitare le “classi pollaio”. Altra novità è che vengono inseriti i
criteri per la valutazione del dirigente (che dovrà avvenire, di norma,
ogni tre anni). Il preside sarà “giudicato” in base alle competenze
gestionali e organizzative, alla sua capacità di valorizzazione
dell’impegno e dei meriti professionali del personale dell’istituto,
all’apprezzamento del proprio operato, al contributo al miglioramento
del successo formativo e scolastico degli studenti, alla gestione
unitaria della scuola.
La “pagella” sarà stilata dall’apposito nucleo di valutazione previsto
da dlgs 165 del 2001, e sarà connessa alla retribuzione di risultato.
«C’è da chiedersi se, ora, il preside continui a far paura - commenta il
numero uno dell’Anp, l’associazione nazionale presidi, Giorgio Rembado
-. Certo è che, dal punto di vista organizzativo, per il 2015-2016 sarà
difficile rinunciare all’esonero per i vice-presidi considerati i
carichi di lavoro e le probabili circa 1.500 reggenze che ancora ci
saranno».
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