IL nostro tempo ha sostituito al culto di Dio il culto degli idoli di cui il denaro è l’espressione più semplice e radicale in quanto rende possibile l’illusione che il suo possesso in grandi quantità consenta la realizzazione di una vita soddisfatta. Il Pasolini corsaro l’aveva indicata come una vera e propria “mutazione antropologica”: il monoteismo che sosteneva le società religiose e che affondava le sue radici nella potenza simbolica del Padre, ha lasciato il posto al politeismo del mercato e alle sue nuove divinità.
mercoledì 3 giugno 2015
Petrosino, Francesco Lacan, la rimozione della storia e l'eterna pretesa di dare del mondo una spiegazione psicopatologica
Silvano Petrosino: L’idolo. Teoria di una tentazione. Dalla Bibbia a Lacan, Mimesis pagg. 129, euro 14
Risvolto
Il giudizio sulla figura dell'idolo e sulla pratica
dell'idolatria è unanime e costante: si tratta, sempre e per tutti, di
qualcosa di negativo, di pericoloso, di una realtà con la quale è bene
non avere nulla a che fare. La parola d'ordine è dunque sempre la
stessa: gli idoli devono essere distrutti. Eppure gli uomini, della
nostra come di ogni altra epoca, siano essi credenti o non credenti,
ricchi o poveri, colti o ignoranti, non smettono un istante di
fabbricarli e adorarli. Come spiegare l'universalità di tale legge?
Perché "il bisogno di comunione nell'adorazione è il più grande tormento
di ogni uomo singolo, come dell'intera umanità, fin dal principio dei
secoli" (F. Dostoevskij)? Perché "vi sono nel mondo più idoli che
realtà" (F. Nietzsche)? Il volume cerca di rispondere a queste domande
elaborando una teoria che pone la figura dell'idolo e la pratica
dell'idolatria non in relazione con una determinata scelta del soggetto,
ma più essenzialmente con il suo stesso modo d'essere. Nell'ultima
parte dello studio si propone un'originale interpretazione della società
dei consumi la cui natura più profonda viene individuata nell'essere
ultimamente "una comoda idolatria per le masse a basso costo". Una
stimolante opera filosofica alimentata dal costante e fecondo dialogo
con la psicoanalisi, l'esegesi biblica e la letteratura.Tentazioni, consumo, mercato e religione. Dalla Bibbia a Lacan I nuovi idoli nascosti nei nostri desideri
Il saggio di Petrosino mette in discussione alcune analisi sulla società liquida di Bauman
Per Dostoevskij un uomo rimasto libero non ha altra cura che di cercare un essere cui inchinarsi
Il godimento compulsivo degli oggetti finisce per annientarci
di Massimo Recalcati Repubblica 2.6.15
IL nostro tempo ha sostituito al culto di Dio il culto degli idoli di cui il denaro è l’espressione più semplice e radicale in quanto rende possibile l’illusione che il suo possesso in grandi quantità consenta la realizzazione di una vita soddisfatta. Il Pasolini corsaro l’aveva indicata come una vera e propria “mutazione antropologica”: il monoteismo che sosteneva le società religiose e che affondava le sue radici nella potenza simbolica del Padre, ha lasciato il posto al politeismo del mercato e alle sue nuove divinità.
IL nostro tempo ha sostituito al culto di Dio il culto degli idoli di cui il denaro è l’espressione più semplice e radicale in quanto rende possibile l’illusione che il suo possesso in grandi quantità consenta la realizzazione di una vita soddisfatta. Il Pasolini corsaro l’aveva indicata come una vera e propria “mutazione antropologica”: il monoteismo che sosteneva le società religiose e che affondava le sue radici nella potenza simbolica del Padre, ha lasciato il posto al politeismo del mercato e alle sue nuove divinità.
Al verticalismo piramidale dell’ideologia patriarcale è subentrata la
diffusione orizzontale dell’oggetto di godimento divenuto un idolo che
ha trasformato l’uomo da “suddito” a “consumatore”.
È il tratto perverso che caratterizza il discorso del capitalista: la
feticizzazione della merce vorrebbe cancellare la struttura in perdita e
necessariamente mancante del desiderio umano, riducendo la mancanza ad
un vuoto che esige di essere compulsivamente riempito. Al punto che la
strategia dell’idolo non è semplicemente quella di colmare la mancanza,
ma di alimentarla continuamente offrendo sempre nuovi idoli che sappiano
rendere caduchi e obsoleti quelli precedenti.
In un libro che mette coraggiosamente a colloquio la lezione della
Bibbia e quella di Lacan, titolato L’idolo. Teoria di una tentazione:
dalla Bibbia a Lacan ( Mimesis), Silvano Petrosino prosegue la sua
perlustrazione critica del nostro tempo iniziata con due formidabili e
saettanti libri: Babele. Architettura, filosofia e linguaggio di un
delirio (Melangolo, 2002) e Soggettività e denaro. Logica di un inganno (
Jaca Book, 2012). Se le analisi sociologiche di Bauman mettono
l’accento sul carattere “liquido” del discorso del capitalista, sulla
sua tendenza alla dispersione e alla dissoluzione dei legami sociali,
Petrosino ci indica come quel discorso proprio mentre azzera l’orizzonte
simbolico del mondo offre al soggetto, attraverso la proliferazione
mercificata di nuovi idoli, un rifugio, un riparo fantasmatico, una
solidificazione della sua esistenza.
Cos’è, infatti, un idolo? È una promessa di compattamento della vita
umana. È una parte che il soggetto eleva alla dignità del tutto per
sconfessare il carattere infinito del desiderio e la mancanza che esso
porta irrimediabilmente con sé. In questo senso il culto dell’idolo è
sempre un’operazione perversa, se la perversione è il tentativo di
diventare padroni assoluti del proprio desiderio. Se, infatti, il
desiderio è un’apertura che non si lascia mai colmare da nulla e se il
soggetto del desiderio è un soggetto, come ci invita a pensare Lacan,
lacunare, mancante, leso, l’inganno del discorso del capitalista
consiste, secondo Petrosino, nel voler convertire la logica del
desiderio in quella del bisogno offrendo al soggetto un oggetto in grado
di garantirgli una consistenza.
L’idolo sorge, infatti, come un oggetto capace di catturare
fantasmaticamente il desiderio assorbendone la trascendenza. Per questa
ragione l’idolo più grande, il più pericoloso, il più folle, è quello
dell’Io. L’Io — come Lacan indica — non è altro che il soggetto “allo
stato di idolo”, poiché l’idolo non è solo una falsa immagine di Dio, ma
è soprattutto una falsa immagine dell’uomo.
La tentazione più estrema sulla quale sia il testo biblico che quello di
Lacan non risparmiano di ammonirci, è quella di fare dell’Io un oggetto
capace di spurgare il soggetto di ogni mancanza e di ogni trascendenza.
È il miraggio di falsa padronanza che ispira la perversione: il
soggetto non appare più assoggettato alla trascendenza del desiderio, ma
diventa padrone dell’oggetto del suo bisogno attraverso il suo
possesso. È lo stesso inganno che pilota il collezionista che insegue
l’ultimo agognato “pezzo” della sua collezione pur sapendo che nemmeno
il possesso di questo pezzo potrà estinguere davvero la sua passione.
L’idolo vorrebbe dare una consistenza sostanziale all’Io, renderlo
autosufficiente, emanciparlo dalla trascendenza del desiderio, farne
davvero l’ultimo “pezzo” della collezione. In realtà il culto dell’idolo
si rivela essere una forma radicale di schiavitù: il soggetto si
consegna al suo idolo perdendo se stesso. Non si soddisfa mai nel
consumare l’oggetto, ma è piuttosto il godimento compulsivo degli
oggetti che finisce per consumarlo. Cosa spinge l’uomo a fabbricare
continuamente idoli se non per scansare l’impatto angosciante con la
trascendenza del proprio desiderio? Con la propria libertà? Non è forse
questo a cui alludeva anche Dostoevskij quando scriveva che «non c’è per
l’uomo rimasto libero più assidua e tormentosa cura che quella di
cercare un essere a cui inchinarsi »? L’”uso” che Petrosino ci propone
nella sua opera filosofica di Lèvinas, Derrida e Lacan cerca di
individuare dei punti di resistenza a questa deriva idolatrica. In essi
egli trova un pensiero che non vuole rinunciare alla trascendenza e che
ostinatamente pensa l’Altro nella sua radicale differenza, come
quell’Altro che abitandoci ci espropria di ogni ideale omogeneo di
padronanza. Di qui il suo rifiuto ad appiattire la vita umana
sull’immediatezza ingenua di ogni materialismo. L’immanentismo che nega
la trascendenza commette il grave errore di misconoscere quell’apertura
all’Altro che anima l’esistenza e di cui il desiderio è l’incarnazione
più radicale e più sconcertante. In questo egli porta il “suo” Derrida e
il “suo” Lèvinas, ma anche, per certi versi, il “suo” Lacan, con
rispetto ma con decisione, verso il salto più radicale che caratterizza
l’esperienza cristiana: il problema non è contrapporre la trascendenza
all’immanenza, ma mostrare che la trascendenza abita da cima a fondo
l’immanenza, l’attraversa, la vivifica, la scompagina, la illumina. Per
questa ragione la figura del desiderio costituisce un motivo che unifica
tutta la sua ricerca; essa è la cifra ultima dell’umano, la sua
radicalissima trascendenza interna, l’apertura inesauribile verso una
alterità che oltrepassa il nostro Io costringendolo ad un decentramento
tanto spaesante quanto generativo.
L’idolo
Ritratto di colui che ci tenta
Camilla Tagliabue Domenicale 21 6 2015
Silvano Petrosino è un bravo maestro, in un Paese in cui famosi sono quelli cattivi: i suoi studenti alla Cattolica di Milano gli hanno persino dedicato una fanpage su Facebook, più o meno nei giorni in cui il filosofo usciva in libreria con L’idolo. Teoria di una tentazione dalla Bibbia a Lacan, un saggio molto argomentato e ricco, che zigzaga dalla letteratura ai testi sacri, dalla psicoanalisi all’esistenzialismo e «va ben al di là della sfera religiosa strettamente intesa» per approdare infine al consumismo e ai suoi nuovi fantasmi idolatrici. Eppure, consapevole che «l’idolatria è una tentazione, non un destino», l’autore non cede alla tentazione di «criminalizzare il godimento e i consumi con una critica moralistica»: piuttosto egli intende rintracciare le somiglianze di famiglia tra gli idoli contemporanei e i vitelli d’oro del passato, gli ammonimenti dei profeti e i feticci odierni, che non sono «le mutande o le calze della ragazza», bensì le mutande o le calze al posto della ragazza.
Petrosino propone di «definire l’idolo come quella parte che il soggetto decide di illuminare, percepire, vivere e adorare come il tutto»: un simulacro, un fantasma, una «falsa immagine di Dio» che è pure «luogo di corruzione dell’uomo». «L’idolo nel caricaturare Dio corrompe anche l’uomo, creatura creata a “immagine e somiglianza” di Dio... Nel divieto dell’idolatria bisogna sapere leggere e riconoscere non solo la difesa della “verità di Dio” ma sempre, e al tempo stesso, anche la difesa della “verità dell’uomo”».
Tra Giovanni e Dostoevskij, Heidegger e Lacan, «la riflessione sull’idolo permette di leggere sotto un’altra luce la logica che governa la società dei consumi», e di inquadrare il «consumismo come una sorta di comoda idolatria per le masse a basso costo». Così, con Beauchamp, si può affermare che l’idolo è il «dio di qui e di adesso: non ha tempo, è sempre visibile e sempre presente». Ma perché l’uomo ha necessità di fabbricarsene uno? Risponde il professore che il soggetto è una trama imbrogliata di desiderio e inquietudine, sempre alla «ricerca di un punto di quiete. Allo sconcerto del desiderio il soggetto risponde con il concerto del godimento attraverso i consumi», che qui assumono «la forma compulsiva dell’“ancora” e del “sempre di più”. Forse l’uomo non riuscirà mai a sottrarsi definitivamente alla tentazione idolatrica», ma almeno, dice il bravo maestro, eviti di idolatrare i suoi pur bravi maestri.
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