Un nuovo supplemento d'anima per il capitale: cambio di rotta nella teoria del benecomunismo
Pierre Dardot e Christian Laval: Del comune o della Rivoluzione nel XXI secolo, a cura di A. Ciervo, L. Coccoli e F. Zappino, introduzione di S. Rodotà, DeriveApprodi
Risvolto Vietato pensare al futuro. Viviamo questo strano momento, disperante e
inquietante, in cui niente sembra possibile. Il perché non è un mistero,
e non attiene all’eternità del capitalismo, ma al fatto che a
quest’ultimo non si oppongono ancora sufficienti forze contrarie. Il
capitalismo continua a dispiegare la propria logica implacabile,
nonostante dimostri ogni giorno l’evidente incapacità a fornire la
benché minima soluzione alle crisi e alle catastrofi che induce. Sembra
anzi estendere la propria presa sulla società man mano che si dispiegano
tutte le sue conseguenze. Burocrazie pubbliche, partiti della
«democrazia rappresentativa», esperti, sono sempre più rinchiusi in
prigioni teoriche e dispositivi pratici dai quali non riescono a uscire.
Il crollo di quella che era stata, fin dalla metà del XIX secolo,
l’alternativa socialista, e che aveva contribuito a contenere o a
correggere alcuni degli effetti più distruttivi del capitalismo,
accresce la sensazione che un’effettiva azione politica sia impossibile o
impotente. Collasso dello Stato comunista, mutazione neoliberista di
quel che non merita nemmeno più il nome di «social-democrazia», deriva
sovranista di buona parte della sinistra occidentale, indebolimento del
lavoro salariato organizzato, crescita dell’odio xenofobo e del
nazionalismo: elementi che inducono a chiederci se ancora vi siano forze
sociali, modelli alternativi, modalità organizzative e concetti che
possano lasciar sperare in un aldilà del capitalismo.
Questo libro intende identificare nel principio politico del comune il
senso dei movimenti, delle lotte e dei discorsi che un po’ ovunque nel
mondo, in questi ultimi anni, si sono opposti alla razionalità
neoliberista. Le battaglie per la «democrazia reale», il «movimento
delle piazze», le nuove «primavere» dei popoli, le lotte studentesche
contro l’università capitalista, le mobilitazioni per il controllo
popolare della distribuzione idrica non sono affatto eventi caotici e
aleatori, esplosioni accidentali e passeggere, jacqueries
disperse e prive di scopo. Queste lotte politiche rispondono alla
razionalità politica del comune, sono ricerche collettive di nuove forme
di democrazia.
Benicomunismo I nuovi diritti che crescono tra Stato e privato
Crisi
di politica e antagonismo, incremento di disuguaglianze e
individualismo ecco perché ha successo la teoria che riporta il potere
alla cittadinanza Non abolire il mercato, ma limitarlo salvando i servizi di pubblica utilità I primi beni comuni nell’antica Roma erano quelli riservati alla città e agli dei
di Roberto Esposito Repubblica 1.6.15
«AVVISO ai non comunisti: tutto è comune, perfino Dio». Questo
sfolgorante aforisma di Baudelaire campeggia come esergo all’inizio
dell’ampia ricerca che Pierre Dardot e Christian Laval hanno dedicato
alla questione dei beni comuni con il titolo Del comune o della
Rivoluzione nel X-XI secolo ( DeriveApprodi, a cura di A. Ciervo, L.
Coccoli e F. Zappino, con una introduzione di Stefano Rodotà). Sul tema
da qualche tempo fioriscono saggi filosofici, economici, giuridici —
l’ultimo dei quali di Ugo Mattei, col vigoroso titolo Il benicomunismo e
i suoi nemici , appena pubblicato da Einaudi. A motivare questa
improvvisa ondata di interesse per l’argomento — che ha portato qualche
anno fa alla istituzione della Commissione Rodotà e alla promozione del
referendum sulla sottrazione dell’acqua al profitto privato — è la
difficoltà crescente di immaginare modelli alternativi al regime
neoliberista che si è imposto in tutte le democrazie occidentali.
Rifiuto della politica, riduzione del lavoro salariato, crescita della
xenofobia, individualismo antisociale, irrilevanza dei movimenti
antagonistici sembrano chiudere qualsiasi spazio di opposizione al
sistema vigente, cui pure vanno addebitati la crisi in corso e un
vertiginoso incremento delle disuguaglianze. È questa condizione di
stallo, avvertita sottopelle da tutta la sinistra europea sul piano
della pratica e delle idee, a determinare la necessità di mettere in
campo nuovi paradigmi, come appunto quello dei beni comuni. Nella
tenaglia tra beni di proprietà privata e beni dello Stato, la categoria
del “comune” apre uno spazio di pensiero a partire dal principio
dell’inalienabilità di risorse destinate all’uso condiviso dell’intera
cittadinanza. Naturalmente la teoria in questione non pretende di
abolire il mercato, ma cerca di limitarne l’estensione, ponendo precisi
vincoli sia all’esercizio della privatizzazione che a quello della
statalizzazione di beni e servizi di pubblica utilità.
Tuttavia, all’interno di tale prospettiva, si sono presto delineati
alcuni elementi di debolezza. Già la progressiva iscrizione nella
rubrica dei beni comuni di entità difficilmente comparabili come il
territorio, l’ambiente, la salute, il sapere, il lavoro ha cominciato a
suscitare qualche perplessità: se qualsiasi cosa, in ultima analisi, è
comune, la categoria sbiadisce fino a dissolversi. A ciò si aggiunge
l’impressione, in particolare in alcune genealogie, che si ipotizzi una
sorta di regressione ad un universo premoderno, non ancora governato dal
dispositivo proprietario e dunque protettivo di ambiti condivisi. È una
tesi che non regge né sul piano storico né su quello teoretico.
Il saggio di Dardot e Laval si pone subito su un’altra lunghezza d’onda.
Non solo la tassonomia del comune in esso delineata non ha alcuna
tonalità nostalgica, ma anziché guardare alle spalle, raccoglie la sfida
della società liberale sul suo stesso terreno — quello del governo del
corpo e della mente degli uomini. Ma rovesciando i rapporti di forza tra
appropriazione individuale e uso comune. Per gli autori non si tratta
di attivare una sorta di contropotere antagonistico all’attuale regime,
ma di giocare alla sua altezza, disponendo diversamente le carte a
disposizione.
A cominciare dal diritto. Contro la prospettiva marxista che ne fa una
sovrastruttura ideologica al servizio dello Stato sovrano, esso va
utilizzato nel suo doppio versante di rafforzamento del potere, ma anche
di contrasto ai suoi abusi. Se adoperato in tutta la sua potenza
costituente, anche in funzione critica rispetto ai poteri costituiti, il
diritto può aprire dei varchi collettivi nella struttura proprietaria
del mercato e dello Stato, favorendo la costituzione di spazi liberi
dalla loro invadenza. In questo senso più che di restaurare beni
naturali perduti, si tratta di attivare una prassi rivolta
all’autogoverno dei soggetti. Le risorse sono appropriabili, o meno, non
in ragione della loro pretesa naturalità, ma di una decisione isti-
tuente nata dall’agire di concerto degli uomini, come si sarebbe
espressa Hannah Arendt.
A tal fine non basta l’impegno, pure necessario, sul piano della
mobilitazione politica — per esempio ridando vita alla ispirazione
mutualistica-associativa che la tradizione marxista fin dall’inizio ha
soffocato. Bisogna rivedere una serie di presupposti infondati che
ancora galleggiano sul vuoto di idee. Ad esempio quello che collega
l’origine dei beni comuni al processo di secolarizzazione. Se ciò vale
rispetto ai beni ecclesiastici ancora sottratti all’uso pubblico, non
tiene conto di un elemento decisivo che connette il pubblico non alla
sfera della laicità, ma a quella della religione. In un testo pubblicato
da Quodlibet col titolo Il valore delle cose , a cura di Michele Spanò e
con un saggio di Giorgio Agamben, il grande storico del diritto romano,
recentemente scomparso, Yan Thomas riconduce la genesi della cose
destinate al libero uso di tutti i cittadini non solo all’ambito del
pubblico, ma anche a quello del sacro. I primi beni comuni, nell’antica
Roma, erano proprio quelli riservati alla città e agli dei — e per
questo sottratti alla proprietà individuale a favore dell’intera
cittadinanza. In tal senso si può paradossalmente sostenere che sia
stata proprio la religione che, rendendo alcuni beni e alcuni luoghi
indisponibili all’appropriazione, ha liberato gli altri alla possibilità
di essere posseduti e scambiati.
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Bertolt Brecht, An die Nachgeborenen (1939)
Wirklich, ich lebe in finsteren Zeiten!/... Ach, wir/Die wir den Boden bereiten wollten für Freundlichkeit/Konnten selber nicht freundlich sein./Ihr aber, wenn es soweit sein wird/Dass der Mensch dem Menschen ein Helfer ist/Gedenkt unsrer/Mit Nachsicht.
L'eredità di Lenin, intervento al convegno della Fondazione Basso, 23 novembre 2024
Intervento di Stefano G. Azzarà al convegno “Lenin, a cento anni dalla morte”, Fondazione Basso, Roma, 23 gennaio 2024.
Relatori: Jutta Scherrer, Luciano Canfora, Étienne Balibar, Rita Di Leo, Luciana Castellina, Giacomo Marramao, Stefano G. Azzarà.
La fine della democrazia moderna. Intervento al workshop della Fondazione Feltrinelli, 19/10/23
Adeus pós-modernismo: populismo e hegemonia na crise da democracia moderna
Se a primeira parte é dedicada à política imediata, as partes seguintes são, sobretudo, uma crítica filosófica e política do pós-modernismo. Elas nos fazem ver como o pós-modernismo em última análise tem favorecido o processo de desemancipação que está em curso seja ao nível nacional quanto internacional. (…) é urgente aprofundar a crítica do pós-modernismo – uma crítica que até agora encontrou escassa expressão, mas que se impõe seja de um ponto de vista filosófico seja de um ponto de vista político – e neste sentido estamos diante de um livro absolutamente precioso. Domenico Losurdo, na Introdução
Stefano G. Azzarà: Il virus dell'Occidente, Mimesis 2020
Disponibile in libreria e on line
Il revival del pensiero magico nel dibattito odierno: tra No Vax e Censis. Cagliari, 9 12 2021
La fine della "fine della storia": Festival Iconografie XXI, Milano, 25 settembre 2021
Una presentazione de "Il virus dell'Occidente" per Dialettica e Filosofia. Conduce E.M. Fabrizio
PREMIO LOSURDO 2021
Deadline domande di partecipazione: 6 settembre 2021
Premio internazionale "Domenico Losurdo"
Premiazione (28/1/2021): registrazione dei lavori
Gruppo di ricerca internazionale "Domenico Losurdo". A cura di S.G. Azzarà, P. Ercolani e E. Susca
La scuola di Pitagora editrice
LA COMUNE UMANITA'
Memoria di Hegel, critica del liberalismo e ricostruzione del materialismo storico in Domenico Losurdo. Una critica della storia del movimento liberale che chiama in causa i suoi maggiori teorici ma anche gli sviluppi e le scelte politiche concrete delle società e degli Stati che ad essi si sono ri - chiamati; un grande affresco comparatistico nel quale il confronto secolare tra il liberalismo, la corrente conservatrice e quella rivoluzionaria fa saltare gli steccati della tradizione storiografica e disvela il faticoso processo di costruzione della democrazia moderna; l'abbozzo di una teoria generale del conflitto che emerge dalla comprensione dialettica del rapporto tra istanze universalistiche e particolarismo; un'applicazione del metodo storico-materialistico che costituisce al tempo stesso un suo radicale rinnovamento, a partire dalla riconquista dell'equilibrio marxiano tra riconoscimento e critica della modernità: a un anno dall'improvvisa scomparsa, la prima ricostruzione complessiva del pensiero di Domenico Losurdo, uno dei maggiori autori contem - poranei di orientamento marxista e tra i filosofi italiani più tradotti e conosciuti nel mondo.
Heidegger, la guerra “metafisica” della Germania contro il bolscevismo e alcune poesie di Hölderlin
Gianni Vattimo e l'oltreuomo nietzscheano dalla rivoluzione del Sessantotto al riflusso neoliberale
Università di Bologna, via Zamboni 38, 30 maggio 2019 ore 11.00. Organizza: Prospettive Italiane
Domenico Losurdo tra filosofia, storia e politica
Urbino, Palazzo Albani, 12 e 13 giugno 2019
Comunisti, fascisti e questione nazionale. Germania 1923: fronte rossobruno o guerra d'egemonia?
In libreria e in e-book da Mimesis
Esistono ancora destra e sinistra? Preve e Losurdo, Torino 9/3/2019
E' on line il quinto numero di "Materialismo Storico" (2/2017)
Saggi di Cospito, Francioni, Frosini, Izzo, Santarone, Taureck e altri. Ancora un testo di André Tosel. Recensioni: Grasci e il populismo
S. G. Azzarà, A. Monchietto - Comunisti, fascisti e questione nazionale - parte 2, Torino 8/3/2019
S. G. Azzarà, A. Monchietto - Comunisti, fascisti e questione nazionale - parte 2, Torino 8/3/2019
Esistono ancora destra e sinistra? Il confronto tra Domenico Losurdo e Costanzo Preve
Nonostante Laclau. Populismo ed egemonia nella crisi della democrazia moderna
Mimesis 2017
A. Moeller van den Bruck: Tramonto dell'Occidente? Spengler contro Spengler
OAKS editrice
Stefano G. Azzarà: "L'Occidente scivola a destra"
Globalisti contro sovranisti: un'intervista a "Il bene comune"
Una presentazione di Democrazia Cercasi a Milano, 20 maggio 2016
Crisi della democrazia moderna, conflitto politico-sociale e ricomposizione
Intervista a Stefano G. Azzarà
Restaurazione e rivoluzione passiva postmoderna nel ciclo neoliberale
Stefano G. Azzarà: Heidegger ‘innocente’: un esorcismo della sinistra postmoderna. MicroMega 2/2015
Limitarsi a condannare l’antisemitismo di Heidegger cercando di salvare la sua filosofia è un tentativo disperato, perché l’antisemitismo dell’autore di "Essere e tempo" non ha una dimensione naturalistica, bensì culturale: per lui ‘giudaismo mondiale’ è anzitutto sinonimo di modernità, di umanesimo. La filosofia di Heidegger va rigettata non (solo) in quanto antisemita, ma (soprattutto) in quanto intrinsecamente reazionaria
Democrazia Cercasi: una critica del postmodernismo. Società di studi politici, Napoli, 24 2 2015
Sul Foglio una recensione del libro su Moeller-Nietzsche
Friedrich Nietzsche dal radicalismo aristocratico alla Rivoluzione conservatrice, Castelvecchi
Democrazia Cercasi. Dalla caduta del Muro a Renzi: sconfitta e mutazione della sinistra, bonapartismo postmoderno e impotenza della filosofia in Italia, Imprimatur
S.G. Azzarà: "La sinistra postmoderna, il neoliberismo e la fine della democrazia"
Un estratto da "Democrazia Cercasi" su MicroMega / Il rasoio di Occam
S.G. Azzarà: Friedrich Nietzsche dal radicalismo aristocratico alla Rivoluzione conservatrice
Quattro saggi di Arthur Moeller van den Bruck, CastelvecchiEditore. In libreria e in e-book
Nietzsche profeta e artista decadente? Oppure filosofo-guerriero del darwinismo pangermanista? O forse teorico di un socialismo "spirituale" che fonde in un solo fronte destra e sinistra e prepara la rivincita della Germania? Nella lettura di Arthur Moeller van den Bruck la genesi della Rivoluzione conservatrice e uno sguardo sul destino dell'Europa.
È la stessa cosa leggere Nietzsche quando è ancora vivo il ricordo della Comune di Parigi e i socialisti avanzano dappertutto minacciosi e leggerlo qualche anno dopo, quando la lotta di classe interna cede il passo al conflitto tra la Germania e le grandi potenze continentali? Ed è la stessa cosa leggerlo dopo la Prima guerra mondiale, quando una sconfitta disastrosa e la fine della monarchia hanno mostrato quanto fosse fragile l’unità del popolo tedesco? Arthur Moeller van den Bruck è il padre della Rivoluzione conservatrice e ha anticipato autori come Spengler, Heidegger e Jünger. Nel suo sguardo, il Nietzsche artista e profeta che tramonta assieme all’Ottocento rinasce alla svolta del secolo nei panni del filosofo-guerriero di una nuova Germania darwinista; per poi, agli esordi della Repubblica di Weimar, diventare l’improbabile teorico di un socialismo spirituale che deve integrare la classe operaia e preparare la rivincita, futuro cavallo di battaglia del nazismo. Tre diverse letture di Nietzsche emergono da tre diversi momenti della storia europea. E sollecitano un salto evolutivo del liberalismo conservatore: dalla reazione aristocratica tardo-ottocentesca contro la democrazia sino alla Rivoluzione conservatrice, con la sua pretesa di fondere destra e sinistra e di padroneggiare in chiave reazionaria la modernità e le masse, il progresso e la tecnica.
In appendice la prima traduzione italiana dei quattro saggi di Arthur Moeller van den Bruck su Nietzsche.
La recensione di Damiano Palano a "Democrazia Cercasi"
Heidegger il cambiavalute dell'essere
Intervento al convegno di Urbino "I poveri, la povertà", 4 dicembre 2014
S.G. Azzarà, Democrazia cercasi, Imprimatur Editore, pp. 363, euro 16: in libreria e in e-book
www.democraziacercasi.blogspot.it Possiamo ancora parlare di democrazia in Italia? Mutamenti imponenti hanno svuotato gli strumenti della partecipazione popolare, favorendo una forma neobonapartistica e ipermediatica di potere carismatico e spingendo molti cittadini nel limbo dell’astensionismo o nell’imbuto di una protesta rabbiosa e inefficace. Al tempo stesso, in nome dell’emergenza economica permanente e della governabilità, gli spazi di riflessione pubblica e confronto sono stati sacrificati al primato di un decisionismo improvvisato. Dietro questi cambiamenti c’è però un più corposo processo materiale che dalla fine degli anni Settanta ha minato le fondamenta stesse della democrazia: il riequilibrio dei rapporti di forza tra le classi sociali, che nel dopoguerra aveva consentito la costruzione del Welfare, ha lasciato il campo ad una riscossa dei ceti proprietari che nel nostro paese come in tutto l’Occidente ha portato ad una redistribuzione verso l’alto della ricchezza nazionale, alla frantumazione e precarizzione del lavoro, allo smantellamento dei diritti economici e sociali dei più deboli. Intanto, nell’alveo del neoliberalismo trionfante, si diffondeva un clima culturale dai tratti marcatamente individualistici e competitivi. Mentre dalle arti figurative alla filosofia, dalla storia alle scienze umane, il postmodernismo dilagava, delegittimando i fondamenti e i valori della modernità – la ragione, l’eguaglianza, la trasformazione del reale… - e rendendo impraticabile ogni progetto di emancipazione consapevole, collettiva e organizzata. É stata la sinistra, e non Berlusconi, il principale agente responsabile di questa devastazione. Schiantata dalla caduta del Muro di Berlino assieme alle classi popolari, non è riuscita a rinnovarsi salvaguardando i propri ideali e si è fatta sempre più simile alla destra, assorbendone programmi e stile di governo fino a sostituirsi oggi integralmente ad essa. Per ricostruire una sinistra autentica, per riconquistare la democrazia e ripristinare le condizioni di una vasta mediazione sociale, dovremo smettere di limitare il nostro orizzonte concettuale alla mera riduzione del danno e riscoprire il conflitto. Nata per formalizzare la lotta di classe, infatti, senza questa lotta la democrazia muore.
Emiliano Alessandroni: Ideologia e strutture letterarie, Aracne Editrice
Che cos'è esattamente il bello? È possibile procedere ad una sua decodificazione? Che significato racchiude il termine ideologia? E quale rapporto intrattiene con la letteratura, ovvero con le sue strutture? Come giudicare il valore di un'opera? A questi come ad altri quesiti questo libro intende fornire una risposta, contrastando, con la forza del ragionamento e il supporto dell'analisi testuale, quegli assunti diffusi (“il bello è soltanto soggettivo!”) e quelle opinioni consolidate (“tutto è ideologia!” o “le ideologie sono morte!”) che finiscono per disorientare chiunque si trovi, per via diretta o indiretta, a confrontarsi con tali problematiche. Un saggio di ampio respiro tra filosofia, storia, critica letteraria e teoria della letteratura.
Stefano G. Azzarà: Ermeneutica, "Nuovo Realismo" e trasformazione della realtà
Una radicalizzazione incompiuta per la filosofia italiana - Rivista di Estetica, 1/2013
Due giornate di seminario su Ernesto Laclau a Urbino. 21 novembre
Stefano G. Azzarà: L'humanité commune, éditions Delga, Paris
Une critique anticonformiste de l’histoire du mouvement libéral qui remet en cause ses théoriciens principaux ainsi que les développements et les choix politiques concrets des sociétés et des États qui s’en réclament ; une grande fresque comparative, où la mise en confrontation entre le libéralisme, le courant conservateur et le courant révolutionnaire au cours des siècles, fait sauter les barrières de la tradition historiographique et dévoile le difficile processus de construction de la démocratie moderne ; l’essai d’une théorie générale du conflit qui part de la compréhension philosophique, dialectique, du rapport entre instances universelles et particularisme ; mais aussi, une application radicalement renouvelée de la méthode matérialiste historique à travers la revendication de l’équilibre entre reconnaissance et critique de la modernité. Ce sont là les idées directrices du parcours de recherche de Domenico Losurdo, l’un des principaux auteurs italiens contemporains d’orientation marxiste, déjà connu en France à travers des ouvrages comme Heidegger et l’idéologie de la guerre (PUF 1998), Démocratie ou bonapartisme (Le Temps des Cerises 2003), Antonio Gramsci, du libéralisme au « communisme critique » (Syllepse 2006) et Fuir l’histoire ? (Delga – Le Temps des Cerises 2007).
Seconda edizione 2013
Stefano G. Azzarà: Un Nietzsche italiano. Gianni Vattimo e le avventure dell'oltreuomo rivoluzionario, manifestolibri, Roma 2011
In libreria
Stefano G. Azzarà: L'imperialismo dei diritti universali. Arthur Moeller van den Bruck, la Rivoluzione conservatrice e il destino dell'Europa, con la prima traduzione italiana de "Il diritto dei popoli giovani", di A. Moeller van den Bruck, La Città del Sole, Napoli 2011
Dialettica, storia e conflitto. Il proprio tempo appreso nel pensiero
Presentazione della Festschrift in onore di Domenico Losurdo - VII Congresso della Internationale Gesellschaft Hegel-Marx, Urbino, 18-20 novembre 2011
Stefano G. Azzarà: Settling Accounts with Liberalism
Historical Materialism 19.2
L'intervento di Stefano G. Azzarà al convegno di Urbino sul comunismo
Socialismo nazionale,integrazione delle masse e guerra nella Rivoluzione conservatrice
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