domenica 27 settembre 2015
Alcuni saggi di Hannah Arendt su Karl Jaspers
Per capire a quale livello si colloca Jaspers nell'ambito della filosofia bisogna sempre rileggere la stroncatura di Heidegger alla Psicologia delle visioni del mondo. L'autrice dell'articolo, comunque, non ha la più pallida idea di ciò di cui sta facendo finta di parlare e non è certo colpa sua [SGA].
Hannah Arendt: Humanitas mundi. Scritti su Karl Jaspers, a cura di Rosalia Peluso, Mimesis, pp. 98, euro 12
Risvolto
“Come tornare a casa”: questo provava Hannah Arendt ogni volta che, in
occasione dei suoi ritorni in Europa, faceva visita a Karl Jaspers a
Basilea. Prima un legame di discepolato, poi un sodalizio intellettuale,
infine una profonda amicizia: ecco le tappe di un irripetibile
confronto umano e spirituale durato più di quarant’anni e qualche volta
messo alla prova da aspre polemiche, come quelle sulla “essenza tedesca”
negli anni trenta e sulla “questione della colpa” negli anni quaranta.
Il mondo global era un rischio già per Jaspers
27 set 2015 Libero CLAUDIA GUALDANA
È uscita, a cura di Rosalia Peluso, una piccola raccolta di scritti inediti in Italia di Hannah Arendt su Karl Jaspers (1883-1969), Humanitas mundi (Mimesis, pp. 98, euro 12), di stringente attualità. Il filosofo tedesco fu suo maestro ad Heidelberg, dove la Arendt, destinata a diventare uno dei massimi pensatori del secolo scorso per quanto riguarda la riflessione sulla politica, il potere e i totalitarismi, si laureò nel 1929. Giova ricordare che crebbe a quella formidabile scuola che fu l’esistenzialismo tedesco tra le due guerre, stretto appunto tra Martin Heidegger e Karl Jaspers. Anche quest’ultimo cercava di dare un senso al Dasein, all’esserci. Ma divagare per le strade della metafisica ci porterebbe troppo lontano... Meglio rimarcare dunque che di questi tre scritti in onore di Jaspers, in uno in particolare la Arendt tratteggia un lato del suo pensiero che ha immediata attinenza con l’attuale situazione politica.
A leggerlo, si capisce subito che chi dà per morta la filosofia tout court, come l’abbiamo conosciuta fin dalla Grecia, per gettarsi tra le braccia della scienza fa un salto nel vuoto. Perché si priva della possibilità di riflettere sul destino dell’umanità e del mondo al di fuori di steccati che paiono addirittura ideologici. Il saggio Jaspers cittadino del mondo, uscito nel 1957 a New York nella raccolta The philosophy of Karl Jaspers, è una bussola per orientarsi nel nostro tempo. La Arendt dibatte il significato di un libro del maestro - Psicologia delle visioni del mondo - in cui indaga sull’instaurazione «di un unico stato mondiale», che segnerebbe la fine di ogni cittadinanza e «potrebbe non essere l’apice della politica mondiale, quanto la sua letterale dissoluzione», scrive la Arendt.
Lo Stato mondiale, ossessione della speculazione del Novecento, è la somma di un’umanità sperduta, una moltitudine senza radici unificata solo dalla tecnica esportata dall’Europa. Quest’ultima ha diffuso nel mondo i suoi «processi di disintegrazione», cioè il declino della metafisica e della religione.
Nel 1957 la Arendt traccia insomma il profilo di ciò che ci circonda oggi, nella perdita generale di tradizioni, usi e costumi. Viviamo un’epoca di transizione cui si attaglia bene l’idea jaspersiana di universale relatività nell’oblio di ogni dottrina. Possiamo solo portare il presente a fatica sulle spalle, perché «la solidarietà del genere umano può tranquillamente tramutarsi in un peso insostenibile». Un’umanità che parla «un esaltato esperanto» è «un mostro». E la prospettiva di uno Stato mondiale federale è da temere, perché è forte il rischio di un nuovo totalitarismo, privo di fondamenta nazionali e forse per questo ancora più violento e cieco. Fingere che sia tutto normale è folle: la gendarmeria internazionale, dietro il suo aspetto bonario, nasconde il ghigno della dittatura.
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