lunedì 28 settembre 2015
Galasso sulla crisi dell'idea di Europa
Il legame spirituale che manca in Europa
di Giuseppe Galasso Corriere 28.9.15
Se l’Unione Europea sia davvero unita è la domanda quotidiana di milioni
di europei, la cui persistente identità nazionale è ancora di molto
prevalente rispetto al senso della loro appartenenza europea.
In realtà, neppure ci accorgiamo che su punti fondamentali per l’unità
europea, noi siano stati e restiamo assai reticenti. Perché ci siamo
uniti, e abbiamo, anzi, tanto allargato la nostra unità?
Eppure si tratta del nodo centrale della natura o qualità etico-politica
dell’Europa in costruzione: un nodo insoluto. L’unione degli europei
era un semplice modo di adattarsi alle mutate condizioni del mondo a
metà ‘900? Era solo il modo di scongiurare per il futuro la prassi di
guerre intestine che hanno logorato la posizione e la vita dell’Europa?
Era dettata solo o soprattutto da convenienze economiche e materiali?
Costruivamo una nazione europea, sia pure complessa come tante nazioni
europee? Che significava su questo piano il passaggio dall’iniziale
termine di Comunità all’attuale termine di Unione per indicare
l’associazione dei Paesi europei?
Certo, la professione degli ideali di libertà e di giustizia e dei
principii dei diritti dell’uomo e del cittadino, e la prassi della
cooperazione internazionale nel quadro delle Nazioni Unite, non bastano a
costruire una coscienza e una identità europea. Gli stessi principii e
le stesse prassi sono proprie, ad esempio, anche degli Stati Uniti, che,
tuttavia, individuano la loro identità storica e politica in un
contesto ideale più ampio e profondo, per cui l’americano si riconosce
ed è riconosciuto nel mondo come americano.
E l’Europa? L’Europa – fatta di nazioni di fortissima identità, patria
delle idee e delle istituzioni liberali e democratiche, e per alcuni
secoli centro e motore del progresso umano – cosa può essere di
specifico in un mondo, grazie ad essa, in gran parte europeizzato?
Non è facile dare risposte a questi interrogativi. Bisogna, però,
preoccuparsene. È per questo che la costruzione politica e civile
europea in corso da più di mezzo secolo non ha ancora nella vita morale
dei Paesi europei il riconoscimento necessario perché si possa parlare
di Unione Europea.
Si poteva far meglio e correre di più? In realtà si è corso anche
troppo, ma sempre secondo l’idea già di Robert Schuman: «L’Europa non
potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa
nascerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà
di fatto». In tal modo, però, non è maturata neppure la «solidarietà di
fatto» cui pensava Schuman, e che, comunque, certo non può bastare come
vero cemento del processo di unificazione.
Su questa strada potremo ancora rafforzare i vincoli materiali
dell’Unione, ma, malgrado tutti i vincoli materiali, economici o
normativi che istituiremo, dovremo sempre constatare che ad essa, per
dirla con parole di Goethe, fehlt , leider , das geistige band , manca,
ahimè, il legame spirituale: il legame, cioè, morale e civico di una
cittadinanza che costituisca realmente una comunità.
Deriva certamente da ciò molto dell’euroscetticismo, vera malattia
infantile dell’europeismo. Basterà, per vincerla, l’«Europa debole»,
ossia un’Europa a molto debole base confederale, che propose Ralph
Dahrendorf? Lo spessore della storia e della tradizione europea non
consente e non richiede molto di più?
È anche a questi interrogativi che bisogna rispondere quando si parla di
futuro dell’Unione, senza pensare che la coscienza europea del mondo
politico e degli organismi dell’Unione e di una certa fascia della
cittadinanza europea si ritrovi pure nella massima parte dei cittadini
europei. E non si creda che sia solo un problema di maggiore contatto e
comunicazione degli organismi europei con i cittadini. È una questione
più profonda e difficile, meno tecnica e più morale e culturale in tutta
l’estensione di questi termini.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento