lunedì 26 ottobre 2015

"Eccentrici" di Geminello Alvi

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Geminello Alvi: EccentriciAdelphi

Risvolto
Occhialuti alchimisti rovinati dall'assenzio, lottatori che combattono contro le tigri a pugni nudi e si convertono poi all'ascetismo per soggiogare ben altre belve, temerari aeronauti che atterrano sul tetto dei grandi magazzini di Parigi, generali cosacchi buddhisti, digiunatrici poliglotte, trasvolatori infelici, inventori di cannoni eterici, pittori monocromi devoti a Santa Rita. Da Cary Grant a Lovecraft, da Salgari a Pancho Villa e a Buster Keaton, i quarantadue personaggi raccontati da Alvi sono stravaganti e folli, certo, ma soprattutto sono uomini e donne che fremono per l'ansia di inseguire la vita e vi si perdono, mostrandone l'infinita varietà e potenza. 

L'economista e scrittore racconta quarantadue personaggi fuori dal comune. Con scrittura davvero fuori dal comune

Camillo Langone - il Giornale Lun, 26/10/2015

Il dirigibile in fondo era una visione Gli eccentrici e le loro ossessioni L’attore Cary Grant apprese dopo anni che la madre non era morta, ma rinchiusa in manicomio Pellegrino Artusi stampò a proprie spese in quindici edizioni il suo trattato di cucina 12 nov 2015  Corriere della Sera Pierluigi Battista © RIPRODUZIONE RISERVATA
Un irregolare che scrive di irregolari, di inclassificabili, di figure bizzarre, talvolta visionarie, talvolta soltanto velleitarie, è sempre una miniera di sorprese. Una galleria di Eccentrici, quella che viene illustrata con un titolo così in un libro di Geminello Alvi pubblicato da Adelphi. Personaggi della storia, più o meno famosi, che sono eccentrici, e che lo diventano per la definizione sorniona e tagliente che Alvi accosta al loro nome non sempre conosciutissimo: Ned Buntline, «Linciato » ; Gene Tunney, « Pugile scientifico»; Hans Christian Andersen, «Ispirato». Un modo eccentrico per rileggere biografie e tic di uomini e donne che hanno avuto un posto nella storia, ma sicuramente un posto ancora più importante nell’immaginazione e nelle passioni di Alvi, che fa della narrazione non convenzionale la sua cifra.
Quasi commoventi le pagine su Ferdinand von Zeppelin, «Navigatore». Facile dire oggi «il dirigibile», ma le ingegnose e temerarie trovate del conte trovarono ostacoli quasi insormontabili, fallimenti scoraggianti. Un uragano ne distrusse il prototipo, «il conte ordinò che fosse fatto a pezzi e pareva finita», ma non si diede per vinto e «il 9 ottobre 1906 per cento chilometri in due ore l’argentea nube veleggiò in maestosa calma, reggendo la gondola con dentro il conte Zeppelin e la figlia: in veletta, bella e svagata».
E che dire di Archibald Alexander Leach, che poi non era che Cary Grant, che cominciò la sua carriera «in una troupe di attori acrobati», emigrò a Hollywood dove prese il nome
con cui diventerà celebre, che sfondò in un mondo ostile perché «il cinema allora non amava l’accento da classe operaia», che apprese dopo tanti anni che la madre non era morta, ma rinchiusa in un manicomio e se ne prese cura, che ebbe un successo clamoroso e che «evitò di invecchiare sugli schermi» rifiutando le parti proposte.
O di Pellegrino Artusi, qui definito come «Benefattore» per quel trattato sulla cucina italiana che unificò la nazione più di tante spedizioni militari, guadagnandosi «la gratitudine di spose e mariti spiegando “cose diverse e necessarie al vitnizzare
to”» con un libro che, incredibile a dirsi, l’Artusi «stampò a sue spese in quindici edizioni».
O il barone Von Ungern, «Generale dei Cosacchi» che nelle armate bianche dopo la Rivoluzione russa «sognò una grande Mongolia dal lago Bajkal al Tibet, dalla Manciuria al Sinkiang» immaginando di orgadi armate di «russi, cosacchi, buriati, mongoli, tibetani e serbi in divisione di cavalleria». Un eccentrico all’ennesima potenza. Un ossessionato che ha fatto della sua ossessione il cuore di progetti grandiosi e impossibili, al limite, o forse oltre il limite, della follia.
Meraviglioso il ritratto che Alvi, scrivendo di Erich Von Stroheim «Bugiardo», dedica a Gloria Swanson «ventottenne, tacchi, capelli ondulati che emanavano profumo di vizio dalla cuffia argentea. Ritmava il suo incedere ondeggiando il bocchino intorno a cui una sigaretta accesa disegnava nubi peccaminose, pareva che solo lei respirasse, mentre agli altri mancava l’aria». Oppure Greta Garbo, presentata da Alvi così: «Greta Lovisa Gustafsson quando recitò in Ninotchka aveva già trentatré anni, eppure al regista Lubitsch parve la più inibita attrice che avesse mai diretto. Ella arrossiva, imbarazzata di apparire ubriaca in una scena del film al ristorante. Lubitsch se ne compiacque: Ninotchka, fanatica marxista, doveva essere malata di moralismo. Altro pregio: la fronte della Garbo era sì bellissima, ma vasta in un viso oblungo: perfetta fisiognomica dell’anima malinconica».
Una fusione di notazioni psicologiche, descrizioni fisiche, slanci dell’anima dei personaggi cui Alvi consacra la sua attenzione che alimenta il desiderio di conoscere ancora meglio questo florilegio di eccentrici. Con alcuni espedienti narrativi che Alvi usa con sapienza: come la biografia a ritroso di Artusi, che parte dalla data della sua morte per regredire sino al momento della nascita, una inversione dei canoni su cui ruota il genere del racconto delle vite altrui, o la sottolineatura di aspetti stravaganti e bizzarri di biografie che non rientrano nell’alveo della convenzione e che crea attorno agli «eccentrici» un’aura di interesse e curiosità che va oltre le pagine di questo libro: potenzialmente la matrice di un numero infinito di capitoli dello stesso genere.      

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