venerdì 30 ottobre 2015

I "prigionieri d'onore" ostaggi del nazismo alla fine della Seconda guerra mondiale

Mirella Serri: Gli invisibili. La storia segreta dei prigionieri illustri di Hitler in Italia, Bompiani
Risvolto

All'alba del 28 aprile 1945 alcuni pullman stracarichi si fermano all'entrata del paesino di Villabassa in Sudtirolo e ne scende un gruppo di 139 detenuti, tra cui donne e bambini. Sembrano venire dall'oltretomba, ma si tratta in realtà di alcuni dei più noti protagonisti della storia d'Europa dell'epoca: tra loro c'è l'ex cancelliere austriaco Kurt Schuschnigg, incarcerato dopo l'annessione dell'Austria, con la moglie e la figlia; l'ex vice cancelliere austriaco e sindaco di Vienna, Richard Schmitz; il generale greco Alexandros Papagos; l'ex presidente della banca centrale tedesca, Hjalmar Schacht; l'ex primo ministro francese Léon Blum; il famoso industriale Fritz Thyssen... Sono i cosiddetti "prigionieri d'onore" che sono stati detenuti in maniera segretissima in vari lager del Reich: Himmler, il potente ministro dell'Interno e capo delle SS e Kaltenbrunner, responsabile dei Servizi segreti tedeschi, in previsione della sconfitta vorrebbero utilizzarli nelle trattative di pace con gli Alleati... 



Da un lager all’altro prigionieri speciali di Hitler 

Esce oggiGli invisibilidi Mirella Serri: racconta la storia segreta degli ostaggi di rango del Führer, nella cornice tragica dell’amore di Mafalda di Savoia per il marito Filippo d’Assia, gay e nazista 
Francesca Sforza Stampa 30 10 2015
Chissà cosa hanno pensato gli abitanti di Villabassa, una località dell’Alta Pusteria, in quel 28 aprile del 1945, quando hanno visto scendere dagli autobus del trasporto speciale, 139 prigionieri - uomini, donne, persino una bambina - scortati dalle SS naziste. E’ molto difficile che dietro quegli occhi stanchi, quelle andature allucinate, quegli abiti logori e in alcuni casi a strisce bianche e nere verticali come si usava nei lager, qualcuno potesse riconoscere principi, gerarchi, capi di Stato, funzionari di mezza Europa. La mesta processione faceva presumibilmente poco rumore, provata come era nel corpo e nello spirito, e ci volle un po’ perché un valligiano osasse porre a una SS della scorta la domanda che tutti si stavano in cuor loro facendo. «Chi sono?» «Sonderhaeftlinge!», si sentì rispondere senza garbo alcuno, «prigionieri speciali». 
A Villabassa
Comincia con la vivida ricostruzione di quella mattina Gli invisibili, il libro di Mirella Serri pubblicato da Longanesi sulla storia di quel manipolo di prigionieri, che fino all’ultimo i tedeschi avevano cercato di salvaguardare dalla morte – pur senza risparmiare loro la permanenza a Dachau, Flossenburg, Buchenwald – nella speranza di poterli usare come ostaggi alla fine di una guerra i cui esiti avevano immaginato molto diversi da quelli che invece furono. Con la pazienza della storica e il gusto della scrittrice, Serri ci porta ad esplorare un capitolo di storia finora confinato in pubblicazioni di nicchia o in esposizioni locali, dando anche la misura di quante cose, ancora oggi, ha da dirci la Seconda Guerra Mondiale. Proprio quando ci sembra che tutto sia stato detto e moltissimo sia stato scritto, ecco un elenco di nomi – quello dei prigionieri speciali – che ci fa sobbalzare, e ammettere: «Non lo sapevamo».
Non sapevamo che quella mattina scesero a Villabassa, dai pullman provenienti da Dachau, uomini come Leon Blum, ex primo ministro francese del Fronte Popolare; Kurt Alois von Schuschnigg, l’ultimo cancelliere austriaco antinazista prima dell’Anschluss con la Germania, di cui si erano perse le tracce dal 1938; Alexandros Papagos, il ministro greco della Guerra che aveva fermato e respinto l’esercito italiano oltre i confini dell’Albania; Fritz Thyssen, l’industriale che era stato ribattezzato «prigioniero personale del Fuehrer»; Vassilij Kokorin nipote del ministro degli Esteri sovietico Molotov; Mario Badoglio, figlio di Pietro; Sante Garibaldi, nipote dell’eroe dei due mondi. E ancora: i gerarchi fascisti Tullio Tamburini e Eugenio Apollonio, rispettivamente ex capo della polizia di Stato di Salò e il suo fidato braccio destro, il partigiano di Savona Enrico Ferrero, diversi congiurati dell’attentato contro Hitler del 20 luglio 1944, Filippo d’Assia, genero del re d’Italia. Ci sono poi capitani, sindaci, agenti segreti britannici, contesse, giornalisti, teologi, cabarettiste e professori provenienti da sedici diversi Paesi, che Serri non solo elenca, ma racconta, tirando i fili delle storie personali e regalandoci così la fine tessitura di un pezzo di storia, con il respiro di un’opera piena.
Una donna minuta
C’è una persona che però doveva scendere da quell’autobus quella mattina e invece non scese. Era Mafalda di Savoia, la figlia del re Vittorio Emanuele III, e la moglie di Filippo d’Assia. Una donna esile, minuta, di una bellezza fragile, che non resse alla brutalità di Buchenwald: rimase ferita da un bombardamento alleato nell’agosto del 1944 durante la prigionia «speciale» nel lager, a cui era giunta così, senza sapere bene dove sarebbe finita, portata di macchina in macchina, di stanza in stanza, sempre scortata da un nazista, col miraggio di poter rivedere quel marito teneramente amato, malgrado lui l’avesse tradita con ragazzi occasionali, malgrado non amasse il jazz e fosse troppo mondano per i suoi gusti, e che comunque aveva per lei una devozione e un affetto che Serri ci aiuta a pensare autentici. 
Furono due operai romeni a estrarre «Frau Abeba» – così la chiamavano a Buchenwald, in omaggio all’Etiopia, conquista italiana – dalle macerie della sua baracca crollata. Fu portata nell’ospedale da campo con gravi ustioni e con un inizio di cancrena all’avambraccio: la sua morte, secondo le testimonianze portate da Serri, fu provocata da un’operazione «condotta in modo impeccabile», ma tale da ucciderla.
La scelta di accendere una luce particolare sui prigionieri speciali Mafalda e Filippo, fa degli Invisibili qualcosa di più di un resoconto intelligente e documentato su un aspetto trascurato della Seconda Guerra Mondiale. Lei italiana, lui tedesco, lei rigorosa, lui debole, lei però donna - senza poteri, senza voce in capitolo – e lui invece uomo – con responsabilità, amicizie, mezzi di cui disporre – i due aristocratici sono il precipitato esistenziale di una generazione di «speciali» fragilità, di debolezze colpevoli, di ingenuità disarmanti.
La nuova Europa


L’esito catastrofico di queste peculiarità ci viene mostrato da Serri proprio nella condivisione di un destino che in quei pullman vide seduti fianco a fianco delatori e gentiluomini, avventurieri, fascisti gaglioffi, idealisti impenitenti e feroci assassini. «La storia dei prigionieri speciali che si proietta sul dopoguerra – scrive Mirella Serri – è la primavera della nuova Europa, perché nessun rapporto umano è più intenso di quello che si instaura nella sofferenza e nella comunanza della sorte nei tempi oscuri».

Statisti, industriali, aristocratici Ostaggi di lusso nelle mani di Hitler 
Un caso particolare Tra i reclusi c’era anche il georgiano Jakov afflitto da accessi d’ira Era il figlio di Stalin 

5 nov 2015  Corriere della Sera Di Aldo Cazzullo © RIPRODUZIONE RISERVATA 
 Il mattino del 28 aprile 1945, verso le nove, gli abitanti di Villabassa, paesino della valle di Bries, a trenta chilometri da Cortina d’Ampezzo, rimasero stupefatti di fronte a un piccolo gruppo di persone, alcune delle quali avevano tratti familiari. Erano poco più di cento, ma avevano una scorta imponente: un’ottantina di SS con i mitra spianati. Erano personalità dell’Europa d’anteguerra: generali, capi di governo, ministri, figli di regnanti e di dittatori. Ma i soldati tedeschi non erano lì per proteggerli, bensì per custodirli. Si trattava infatti di prigionieri, sia pure ancora per poco. Mafalda di Savoia il giorno del matrimonio con Philipp von Hessen Kassel 

Comincia così, con un’immagine evocativa di grande potenza letteraria, il nuovo libro di Mirella Serri, Gli invisibili. La storia segreta dei prigionieri illustri di Hitler in Italia, appena pubblicato da Longanesi. L’espressione «prigionieri illustri», in tedesco Sonderhaeftlinge, non è casuale; è la denominazione che il gergo del Terzo Reich coniò per definire i protagonisti del libro. 
Quel mattino di primavera apparvero nel villaggio del Sud Tirolo uomini e donne che sembravano usciti da un nascondiglio della storia, come nella poesia di Montale. Alcuni erano relitti d’uomo e avevano l’aspetto smagrito e smunto tipico dei deportati; altri invece erano riusciti a conservare l’allure e pure l’eleganza di un tempo, e sfoggiavano vestiti e panciotti «impataccati ma in buono stato». Altri ancora avevano «l’aspetto da clochard ». Scrive Mirella Serri che il primo a essere individuato fu l’ex cancelliere austriaco Kurt Alois von Schuschnigg, strenuo difensore dell’indipendenza della patria dalle mire di Hitler e inghiottito dall’Anschluss del 1938. I valligiani lo interrogarono timorosi, e accanto a lui riconobbero anche l’ex borgomastro di Vienna, Richard Schmitz, «ingoffato in un’ampia casacca». Qualcuno che leggeva i giornali riconobbe 
Léon Blum, il primo ministro che aveva governato la Francia del Fronte popolare, in compagnia della moglie. Il pastore e teologo Martin Niemöller fu salutato da un applauso: fin dal 1934 la sua voce era stata tra le più critiche e coraggiose nei confronti della dittatura nazista. C’erano poi Alexandros Papagos, il ministro greco della Guerra che con i suoi euzones aveva respinto gli invasori italiani in Albania prima dell’arrivo dei carri armati tedeschi; il ricchissimo industriale Fritz Thyssen; l’ex presidente della Reichsbank e ministro dell’Economia Hjalmar Schacht, che aveva rotto con Hitler nel 1937; il principe Saverio di Borbone, fratello dell’imperatrice Zita, moglie dell’imperatore d’Austria Carlo I; il nipote di Vjaceslav Molotov, ministro degli Esteri sovietico; il figlio di Miklós Horthy, già reggente dell’Ungheria. 
Poi c’erano gli italiani. Mario Badoglio, il figlio del maresciallo. Sante Garibaldi, il nipote dell’eroe dei due mondi. L’ex capo della polizia di Salò Tullio Tamburini. Il capo partigiano Enrico Ferrero, tenente colonnello che aveva combattuto sulle Langhe. E c’erano prigionieri tedeschi molto legati all’Italia. Come Fey von Hassel, «moglie dell’ufficiale antifascista Detalmo Pirzio Biroli e figlia di Ulrich, appeso a un gancio da macellaio l’8 settembre 1944, poco dopo aver partecipato alla congiura contro Hitler». E come il principe Philipp von Hessen- Kassel und Hessen-Rumperheim, marito della principessa Mafalda di Savoia, figlia del re d’Italia. 
Mafalda però non c’era. «Ricoverata nella baracca delle prostitute a Buchenwald, morta dissanguata a seguito di un lungo intervento chirurgico». La salma della principessa, posta in una bara di legno il 29 agosto 1944, fu calata nella fossa 262 del cimitero di Weimar ed ebbe come epigrafe «Eine unbekannte Frau», una donna sconosciuta. L’autrice riporta la testimonianza di un’altra Savoia, Maria Gabriella: «Zia Mafalda ha pagato per tutti. È stata un capro La sua morte tragica, in un campo di concentramento nazista bombardato dagli alleati angloamericani, dopo un anno di prigionia, è una grande lezione di coraggio e di umiltà. È finita come milioni di altri poveri innocenti, umiliata e uccisa. A nulla le è servito essere la figlia di un re, Vittorio Emanuele III». 

La storia degli Invisibili rappresenta un nuovo capitolo del lungo percorso che Mirella Serri ha compiuto nel Novecento italiano, indagando «i redenti», gli intellettuali passati dal Duce a Togliatti, «i sorvegliati speciali», lo spionaggio di regime a danno di scrittori e giornalisti, il «breve viaggio» di Giaime Pintor nella Germania nazista, e «un amore partigiano»: il legame tra Gianna e Neri, giustiziati dai loro compagni di lotta, sullo sfondo delle ultime ore di Claretta Petacci. 
Ora la vicenda dei «prigionieri illustri» conferma da una parte la spietatezza di Hitler verso coloro che considerava traditori, dall’altra la spregiudicatezza di un regime che diramava direttive del tipo: «Non uccideteli, possono tornarci utili». 
Esemplare è la storia, decisamente poco nota, di un prigioniero georgiano che la Serri ricostruisce in un capitolo avvincente. «“Il mio compagno di cella... si fa chiamare Jakov”, aveva cominciato a far la spia il detenuto che alloggiava con lui. “È un tipo strano, non parla mai... Ogni tanto piange, ha attacchi di rabbia, picchia con i pugni e sbatte la testa contro le assi della baracca... Però una notte che era in vena di confidenze si è aperto con me. Mi ha rivelato il suo vero nome che peraltro, dice, gli ha portato solo sfortuna: Jakov Josifovic Džugašvili. Sa di chi si tratta?”. “No”. “È il figlio di Stalin”».

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