domenica 4 ottobre 2015

Il terzo volume del Pound di Moody. Ripubblicato il saggio sulle affinità tra americanismo e fascismo

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David A. Moody: Ezra Pound: Poet. III. Tragic Years 1939-1972, (Oxford University Press, pagg. 680, £ 30

Risvolto
This third and final volume of A. David Moody's critical life of Ezra Pound presents Pound's personal tragedy in a tragic time. The first volumes of Moody's biography have been acclaimed as 'masterly' (Daily Telegraph), 'exceptional' (Literary Review), and 'invaluable' (New York Times Book Review). In this concluding volume, we experience the 1939-1945 World War, and Pound's hubristic involvement in Fascist Italy's part in it; we encounter the grave moral and intellectual error of Pound holding the Jewish race responsible for the war; and his consequent downfall, being charged with treason, condemned as an anti-Semite, and shut up for twelve years in an institution for the insane. Further, we see Pound stripped for life, by his own counsel and wife, of his civil and human rights. 

Pound endured what was inflicted upon him, justly and unjustly, without complaint; and continued his lifetime's effort to promote, in and through his Cantos and his translations, a consciousness of a possible humane and just social order. The contradictions run deep and compel, as tragedy does, a steady and unprejudiced contemplation and an answering depth of comprehension.


Ezra Pound: Jefferson e Mussolini, Bietti, pagg. 130, euro 14

Risvolto
«Questo manoscritto fu da me completato e lasciò le mie mani nel febbraio 1933. 40 editori l’hanno rifiutato. Nessun mio dattiloscritto è stato letto da tante persone, né mai mi procurò una corrispon­denza tanto interessante. Viene qui stampato ver­batim, inalterato. Non ho più visto il manoscritto da quando lasciò Rapallo, finché mi ritornò sotto forma di bozze di stampa. Viene edito come testi­monianza di ciò che vidi nel 1933.

La prefazione di settembre (1933) segnalava una eccitante attesa, che è diventata gradatamente più palpitante e meno promettente.»

Una lotta spericolata contro le oligarchieNel Fascismo Ezra Pound vide una forza capace di rompere i poteri consolidati. In manicomio riprese le sue battaglie. Sempre anticonvenzionaliLuca Gallesi - il Giornale Dom, 04/10/2015

Jefferson e Mussolini? Si assomiglianoNel 1933 Pound scrive il pamphlet Jefferson and/or Mussolini che faticherà a trovare un editore inglese. Pound lo tradurrà in italiano nel 1944 col titolo Jefferson e Mussolini


Repubblica 

Personaggi Tradotto per la prima volta in italiano un commento sulla rivoluzione americana: il volto inedito del poeta
Scambiò Mussolini per Jefferson. Ma il suo era un Canto contro i tiranni Generazioni future. Mai sacrificare l' autonomia e la responsabilità dei singoli individui al sogno dirigista e burocratico della centralizzazione e della sorveglianza totale, fosse pure in nome dell' efficienza o della sicurezzaGiorello Giulio Corriere 18 febbraio 2009


Hélène Aji Transatlantica



"Assolvete l’imputato Pound Non tradì l’America” 
È la tesi, forse troppo indulgente, dell’ultimo volume della biografia scritta da David Moody. Il poeta finì in manicomio per aver collaborato con il fascismo 

Andrea Colombo Stampa 13 10 2015

Ezra Pound non era un traditore e se fosse stato sottoposto a un giusto processo sarebbe sicuramente risultato innocente. È la tesi, che farà molto discutere, sostenuta da David Moody, professore emerito all’università britannica di York, nel suo ultimo volume della monumentale biografia del poeta americano, appena pubblicato dalla Oxford University Press. Come si sa l’autore dei Cantos, uno dei giganti della poesia contemporanea, simpatizzava per il regime fascista e nella seconda guerra mondiale ebbe l’imprudenza di trasmettere vari discorsi dai microfoni dell’Eiar. 
Accusato di tradimento e arrestato, nel 1945 trascorse un mese in una gabbia all’aperto in un campo di detenzione nei dintorni di Pisa e quindi venne trasferito negli Usa dove, per salvarlo dalla sedia elettrica, il suo avvocato difensore giocò la carta della malattia mentale. Ritenuto incapace di intendere e volere, senza andare a processo, venne rinchiuso per 13 anni in un carcere criminale giudiziario a Washington Dc. Tornato libero nel 1958 decise di stabilirsi in Italia: morirà a Venezia nel 1972.
Ora Moody nel terzo volume dedicato a Ezra Pound poet e intitolato The Tragic Years 1939-1972, riapre il doloroso capitolo della detenzione del Miglior Fabbro (come lo chiamò T.S. Eliot) e lo fa da un’angolazione prettamente innocentista. Se finora i poundiani di stretta osservanza, come il suo editore James Laughlin, considerarono giusta la strategia difensiva che, a loro dire, evitò la pena di morte per il loro amico e maestro, Moody ribalta la questione e ritiene, carte alla mano, che al contrario solo un processo avrebbe permesso a Pound di riabilitare la sua immagine davanti al mondo. Avrebbe così ottenuto in tempi brevi la libertà, senza passare dal «buco infernale» («Hell Hole») del penitenziario psichiatrico. Il poeta «venne considerato un traditore e un fascista, ma non era né l’uno né l’altro», sostiene Moody. «La legge - continua - se avesse seguito il suo corso, l’avrebbe proclamato innocente; e la legge avrebbe dovuto seguire il suo corso perché non era pazzo». Il suo «coinvolgimento con il fascismo» era «un’adesione a principi economici e sociali più che politici, una spinta riformista con una buona dose di confucianesimo». 
Il biografo arriva a dire che se proprio vogliamo etichettare Pound bisognerebbe considerarlo «confuciano più che fascista». Nonostante avesse trasmesso da una radio nemica in tempo di guerra, per Moody il poeta era un sincero patriota che aveva prima di tutto a cuore la costituzione e i «principi democratici» statunitensi. Il professore di origine neozelandese scrive senza mezzi termini che Pound nei suoi radio-discorsi «non suggerì mai al suo Paese di adottare il fascismo». Per la legge americana il concetto di tradimento implica «rendere al nemico aiuto e sostegno» e inoltre il reato necessita di almeno due testimoni. Moody intende dimostrare che il procuratore non solo non riuscì a trovare due testimoni attendibili, ma che per il dipartimento della Giustizia non si poteva sostenere che nei suoi radio-discorsi volesse fornire un appoggio concreto al nemico. Al contrario, «per quanto possa essere stato fuori strada, l’intenzione di Pound era quella di salvare gli Usa dall’errore, non di tradirli». 
La questione è complessa. Moody stesso elenca dettagliatamente i pagamenti che il regime fascista elargì al poeta, anche nel periodo della Rsi. Il Minculpop gli passava infatti ottomila lire al mese, che all’epoca non erano poche, sia per le collaborazioni radiofoniche, sia per gli articoli e le pubblicazioni di propaganda. Perché di questo in molti casi si trattava: anche se ovviamente era una propaganda del tutto particolare. Alla fine però i risultati potevano apparire a dir poco imbarazzanti per un poeta di fama internazionale. Come nel Canto 73, scritto in italiano e pubblicato su una rivista della Rsi La Marina Repubblicana l’1 febbraio 1945, dove Pound si lascia andare all’esaltazione di una ragazza fascista che si sarebbe fatta esplodere in mezzo alle truppe canadesi per vendicare uno stupro «da lor canaglia»: «Nel settentrion rinasce la patria/ Ma che ragazza! Che ragazze,/ che ragazzi, / portan il nero!». 
Come faceva Pound a non accorgersi che in quell’ultimo inverno di guerra tutto stava crollando, che nei gesti disperati dei repubblichini di Salò non c’era nessun «rinascimento» in vista, rimane un mistero. Di lì a poco i partigiani lo preleveranno dalla sua casa di Rapallo, mitra in pugno. Il suo destino era segnato. Lo stesso Moody è costretto ad ammettere che in questo periodo della guerra Pound aveva «dato la sua voce al fascismo». La propaganda aveva sostituito la poesia. 
E la poesia appunto, che fine aveva fatto? Moody non esita a sottolineare come i versi migliori di Pound, i Canti Pisani, siano stati scritti proprio nel periodo più doloroso, quando il poeta era incatenato nella gabbia del campo di concentramento alleato in Toscana. Quelle visioni paradisiache, successivamente limate e perfezionate nell’ambiente cupo del manicomio criminale, rimangono il capolavoro più celebrato di Pound. Che sognava, nel «buco infernale» della sua cella, «la città di Dioce /dai terrazzi color di stelle».

Pound, eruzione infinita di contraddizioni
La monumentale biografia «Ezra Pound: poet» di David Moody, dalla Oxford University Press. Senza perdere mai di vista i testi, a cui dedica analisi puntuali, Moody conserva flemma e adesione critica davanti a un’enorme massa di materiale biografico, non di rado sconcertante di Massimo Bacigalupo il manifesto 25.10.15
Alla vigilia del 130° della nascita di Ezra Pound (Hailey, Idaho, 30 ottobre 1885), il critico inglese A. David Moody pubblica il terzo volume della sua poderosa biografia del vate americano, dedicata al periodo complicatissimo della guerra, detenzione eccetera. Il titolo è infatti Ezra Pound: Poet The Tragic Years 1939–1972 (Oxford University Press, pp. XXII+654, £ 25.00). Studioso accreditato, Moody è anche biografo efficace e riesce a restituire tutta la complessità fascinosa e sconcertante dell’argomento, sicché si giustifica la monumentalità dell’impresa, quasi senza confronto per i coetanei innovatori di Pound.
I tre massicci tomi di Moody si intitolano rispettivamente The Young Genius 1885–1920, The Epic Years 1921–1939 e appunto The Tragic Years 1921–1939. Il titolo complessivo Ezra Pound: Poet è significativo perché nonostante tutto il clamore intorno ai fatti e misfatti di Pound, Moody dedica molta attenzione ai testi e non dubita, come annuncia già il titolo The Young Genius, che Pound sia fra i maggiori poeti (non solo personaggi) del Novecento. Volentieri dedica sezioni della biografia ad analisi ravvicinate delle opere più significative e a singoli volumi dei Cantos, che cominciarono a uscire nel 1925 per (non) concludersi solo nel 1968. In questo terzo volume ha il destro di parlare della sezione più memorabile dell’intero poema, i Canti pisani scritti nel 1945 durante la detenzione a Metato presso Pisa in un campo di prigionia dell’esercito Usa per migliaia di reclusi americani che dovevano essere «rieducati» e in taluni casi giustiziati. E le analisi di Moody di questi 11 canti (che portano i numeri 74–84), come anche di quelli successivi, sono convincenti e serrate. Chiaramente l’argomento gli è caro e anche lui ha passato decenni su questi fogli e ha le loro felici battute nell’orecchio e nel cuore.
Una partecipe ricostruzione fra fantasia e realtà dei Canti pisani e della loro genesi si trova anche nel breve romanzo La spia di Justo Navarro (Voland). Qui l’autore-narratore si mette sulle tracce di Pound e delle sue frenetiche attività letterarie e politiche in tempo di guerra, quando registrò le infauste trasmissioni da Roma rivolte a inglesi e americani che gli costarono l’imputazione per tradimento e tutti i guai che ne seguirono, ma che lo costrinsero anche a una decisiva resa dei conti e a scrivere quella confessione-apologia-diario di prigionia che sono appunto i Canti pisani. Navarro si diverte a immaginare che Pound fosse una spia doppiogiochista. Cosa senz’altro non vera, ma ben trovata, visto che fra i discepoli che visitarono Pound a Rapallo era quel James Jesus Angleton che diverrà un dirigente particolarmente delirante della CIA…
Insomma, Moody ha della bella materia di cui occuparsi, e lo fa con pacatezza, senza perdere il filo come si dice facesse Pound. In questi giorni infatti esce anche una ristampa di un volumetto poundiano quantomai sintomatico, Jefferson e Mussolini (a cura di Luca Gallesi, Bietti, pp. 125, sterline 14,00), scritto nel 1933 in inglese dopo che Pound ebbe il suo unico colloquio col Duce, e dallo stesso Pound assai ben tradotto (magari con qualche revisore amichevole) ed edito nel 1944 a Venezia dalla Casa Editrice delle Edizioni Popolari, ovvia emanazione della R.S.I. Sintomatico libretto per il suo vaneggiare ispirato fra letteratura, storia, economia, vita privata, quello che mi capitò a Excideuil, quanto faceva Gigi a due anni, i misfatti dei «mercanti di cannoni»… Perché talvolta Pound vede giusto. «E la vendita d’armi conduce ad ulteriore vendita d’armi, non c’è saturazione» ripeterà nei Pisani. E i banchieri, il credito sociale del maggiore Douglas… Questo diverrà un’ossessione e condurrà Pound alle sue perniciose dichiarazioni antiebraiche, ma evidentemente nasce da saeva indignatio, qui condita ancora da umorismo e distacco. Il tormentone delle banche e del controllo del credito non è certo meno attuale nel 2015 che nel 1932, quando Pound pensava (con qualche riserva) che Mussolini (e Lenin: li cita quasi sempre insieme) avessero trovato una via d’uscita.
Libro divagante, questo Jefferson e Mussolini è tutto sommato un autoritratto appassionato di Pound alle prese col mondo che vuole e non vuole cambiare. I lettori coscienziosi lo apprezzeranno come un commento ai Cantos XXXI-XLI, scritti nello stesso periodo, e che appunto iniziano con citazioni di Jefferson e finiscono con detti di Mussolini. Si possono trovare nel Meridiano I Cantos, curato dalla figlia Mary de Rachewiltz. La quale nel 2015 ha festeggiato 90 anni, spesi in buona parte ad amministrare l’eredità di un padre straordinario e ingombrante, ma anche a scrivere un suo proprio notevole diario poetico, riunito in tutta una serie di volumetti italiani e inglesi: «Ma la tua casa sarà bella e vuota / se abiterai col sole linda e candida, / l’uomo di ghiaccio ti ha donato il seme…» («Monumenti», in Polittico, Scheiwiller 1996).
Di Mary, nata dalla relazione di Pound con la violinista americana Olga Rudge che poi gli fu vicina negli ultimi anni, e di Dorothy Shakespear Pound, l’algida moglie britannica, e del figlio di lei e altro padre che ebbe nome Omar Pound, e dunque risultò a tutti gli effetti legittimo, Moody si occupa a lungo con la necessaria puntualità, fornendo nuovi importanti documenti. Dai quali si apprende per esempio che Pound, pur nella sua abituale scombinatezza, fece di tutto per riconoscere Mary come unica erede ed esecutrice testamentaria, firmando persino un atto notarile durante la guerra e altri documenti successivi. Che però furono ignorati in seguito alla dichiarazione di infermità mentale del 1945, sicché l’eredità rimase contestata fra la figlia di Ezra e Olga e il figlio di Dorothy e «R».
Si sa che, rimpatriato sotto accusa di tradimento, Pound non fu mai processato in quanto gli psichiatri convocati dal giudice Laws furono d’accordo nel ritenerlo incapace di intendere. Da ciò la lunga reclusione a St. Elizabeths, grande ospedale sulle alture di Washington dove Pound scrisse e brigò finché nel 1958 si decise di sanare la faccenda lasciando cadere l’imputazione e rilasciandolo sotto tutela della moglie. Donde poi nuove avventure, il ritorno in Italia, le passeggiate romane al Colle Oppio, la malattia, il decennio di silenzio fino alla morte.
Secondo Moody fu un grave errore della difesa scegliere la soluzione dell’incapacità mentale, e di Pound accettarla, poiché un processo difficilmente avrebbe portato a una pena detentiva o addirittura capitale come Eliot e altri amici temevano (e i nemici auspicavano). Ma è difficile nel 2015 ricostruire gli stati d’animo del 1945. Era tutta ovviamente una questione politica, e questo Pound lo sapeva: «Mi faranno uscire quando vorranno loro». Del resto Moody parla spesso di paranoia a proposito delle affermazioni farneticanti di Pound all’epoca di St. Elizabeths. Gli psichiatri dunque non mentirono, e il loro parere aveva il vantaggio di andare bene a tutti, compreso l’imputato. Le interviste di Pound con gli psichiatri dell’ospedale riportate da Moody offrono uno spettacolo surreale, dove non si sa chi sia più pazzo, Pound che si presenta a torso nudo e fa come stesse morendo di stanchezza, o lo psichiatra che compìto osserva, giudica e manda.
Moody ha raccolto un’enorme massa di materiale ed è straordinario che abbia saputo conservare tanta flemma e partecipazione critica in mezzo a quella che sembra un’eruzione infinita di contraddizioni. 

1 commento:

Necroclerico ha detto...

Un articolo dettagliato, e profondo, che però a mio parere manca di un punto chiave, provo qui a illuminarlo (citandoLa):

Come faceva Pound a non accorgersi che in quell’ultimo inverno di guerra tutto stava crollando, che nei gesti disperati dei repubblichini di Salò non c’era nessun «rinascimento» in vista, rimane un mistero.

Il mistero resta per le menti piccole. Pound non lo era. Tutto qua.

Per il resto la Sua recensione è stata utilissima a consigliarmi per un acquisto. Buon lavoro e buona estate. Con la massima cordialità.