giovedì 29 ottobre 2015

La semicolonia italiana tra Stati Uniti e Inghilterra

Colonia Italia. Giornali, radio e tv: così gli Inglesi ci controllano. Le prove nei documenti top secret di Londra
L'impressione è che vada sfrondato dagli eccessi complottardi. E comunque la contrapposizione tra Inghilterra e Usa fa ridere. Semmai è come nelle barzellette dei due carabinieri [SGA].

Mario José Cereghino e Giovanni Fasanella: Colonia Italia. Giornali, radio e tv: così gli inglesi ci controllano, Chiarelettere, pp. 484, euro18,60

Risvolto
L'Italia colonia dell'impero britannico. Ecco le prove della guerra senza quartiere condotta per tutto il Novecento dalla diplomazia di Sua Maestà per controllare l'opinione pubblica italiana in funzione degli interessi economici e politici inglesi. Una guerra segreta perché combattuta con mezzi non convenzionali tra nazioni amiche e, per una lunga fase della loro storia, persino alleate. Invisibile ma non meno dura delle altre. E nella quale la stampa, la radio, la televisione, l'industria editoriale e dello spettacolo hanno avuto un ruolo preponderante. Il libro di Cereghino e Fasanella lo dimostra, prove (inedite) alla mano: la loro ricostruzione si basa su documenti del governo, della diplomazia e dell'intelligence del Regno Unito, rapporti confidential, secret e top secret declassificati in tempi recenti e a disposizione di giornalisti e studiosi. Basta consultarli, e le scoperte non mancano. Come lo schedario annualmente aggiornato dei ?clienti? italiani (almeno mille negli anni Settanta) utili alla causa inglese e che viene in parte presentato in Appendice. Ma, al di là dei nomi coinvolti, ciò che è importante è rileggere la storia recente italiana dalla parte degli inglesi, il cui ruolo è sempre stato considerato secondario rispetto agli americani. Un grosso sbaglio. Se questi ultimi agivano esclusivamente in funzione anticomunista, gli inglesi combattevano anche ?contro? quegli italiani ? i De Gasperi, i Mattei, i Moro, solo per citarne alcuni ? che mal sopportavano il ruolo di ?protettorato? britannico. Una vera guerra che qui viene offerta, per la prima volta in tutta la sua portata politica, all'attenzione dell'opinione pubblica.

Così gli inglesi controllavano imedia italiani 
Sulla base di documenti desecretati Cereghino e Fasanella ricostruiscono l’ingerenza britannica negli affari dell’alleato tricolore. Grazie a intellettuali come Croce e a giornali come il «Corriere» 
9 ott 2015  Libero SIMONEPALIAGA 
«L’Italia è l'obiettivo primariodellenostrenuove strategie propagandistiche». Quanto maiperentoria ladirettiva fornita all’inizio del 1948 dall’Information Reserach Department, l’ente britannico che sovraintende alle tattiche diguerrapsicologica. Dapocofondato, l’istituto con sede nei pressi di Trafalgar Square avverte l’esigenza di intervenire direttamente nella politica della penisola. L’obiettivo è di salvaguardare gli interessi di Sua Maestà nel Mediterraneo, spazio vitale per i traffici che passano da Suez.  
Proprio dell’ingerenza britannica sulla politica italiana tratta il saggio Colonia Italia. Giornali, radio e tv: così gli inglesi ci controllano di Mario José Cereghino e Giovanni Fasanella, daoggi inlibreria perChiarelettere ( pp. 484, euro18,60). Peril secondocapitolo dell’inchiesta storica cominciata con il Golpe inglese, pubblicato sempredalla stesso editore quattro anni fa, gli autori ricavano la gran parte delle informazionidagli scaffalidelPublic Record Office di Kew Garden che raccolgono documentidesecretatidi recentedall’amministrazione inglese. Le carte consultate gettano una luce sinistra sulle vicende italiane a partire dalla sua unificazione. Da questo dittico viene fuori uno scenario inquietante che dovrebbe far riflettere non poco gli storici accademici: sembra che l’Italia del secondoDopoguerra combatta non solo sul fronte della Guerra fredda. Suo malgrado, infatti, si trova coinvolta in un conflitto, talvolta anche caldo e con strascichi di sangue, contro un suo alleato da cui è considerata una nazione a sovranità limitata. Acquistano peso così le parole di Francesco Cossiga, riportate in esergo al volume, per cui non sarebbeimprobabileche «spezzoni dei servizi dei paesi alleati abbiano potuto avere interesse amantenere alta la tensione in Italia per tenere basso il profilo geopolitico del nostro paese». 
Al centro di Colonia Italia si trovano gli sforzi del soft power». della Corona per orientare l’opinione pubblica italiana e poi la classe dirigente in direzioni a loro favorevoli. E per farlo il mezzomigliore è agire su intellettuali e giornalisti anche di grande statura intellettuale e di specchiata moralità, forse «nemmeno al corrente della fontedeimateriali chericevevano 
Da Benedetto Croce a Indro Montanelli, nemico giurato di Enrico Mattei, è lunga la lista di intellettuali che l’Inghilterra considera amici. A testimoniarlo bastano queste righe di un dispaccio inedito di sir Ashley Clarke: «Se al dipartimento informativo dell’ambasciataviene chiestodidareampio risalto a un determinato argomento, èconsuetudine stabilire un contatto con giornalisti amici per enfatizzarne i punti più importanti». 
Al setacciodiCereghinoeFasanella passanotuttigli scandali dell’Italia repubblicana. Dall’attacco di Guareschi contro De Gasperi al caso Montesi, che porta alla crisi delle Dc di De Gasperi e Piccioni, fino all’affaire EnricoMattei e giù giù lungotutta la strategiadella tensione per arrivare ad AldoMoro, si passa in rassegna tutta la storia italiana dal 1945 in poi. Solo che invece di complotti Cereghino e Fasanella portano alla luce la Realpolitik dei funzionari di SuaMaestà. La posta in gioco, secondo i documenti di Kew Garden, è il tentativo di indebolire tramite imedia tutti gli uomini politici che non smarrisconoogninozionediinteresse nazionale. Corriere della Sera, La Stampa, l’agenzia Kronoseranogliorgani di informazionepiù sensibiliadadottare prese di posizioni non invise agli inglesi. 
E lo si vede su una delle questioni dimaggior attrito tra Roma e Londra, dal 1969 al 2011: la Libia. Quando nel settembre del 1969 Gheddafi con un colpo di stato depone l’erede filoinglese di re Idris Senussi, come conferma Giovanni Pellegrino a lungo presidente della Commissione stragi, lo fa probabilmente col sostegno dell’Italia. In gioco c’è ovviamente il petrolio libico. E quanto accade il 12 dicembre dello stesso anno, giorno della bomba di Piazza Fontana ma anche della chiusura delle basi aeree inglesi inCirenaica, è forse anche unavvertimentolanciatoalministro degli EsteriMoro ben favorevole insieme a Fanfani alla politica mediterranea tricolore. Nel1975 poi, quandoTripoli e Eni siglano un ulteriore accordo petrolifero, la situazione precipita e Londradecidedi intensificare, come riporta un altro documento, «i contatti personalicongiornalisti, funzionaridella radio edella televisione, agenzie di stampa, esponenti del governo e via dicendo per assicurarci il sostegno dei medianelmomento del bisogno». Forse forse De Gasperi, Fanfani eMoro avevano visto giusto. Meglioungrandeamico lontanocome gliUsa che un piccolo e rancoroso amico vicino con i nostri stessi interessi geopolitici.

Gli inglesi dicano la verità su Piazza Fontana
È ora che i nostri alleati-nemici vuotino il sacco sulle «operazioni sporche» dei loro 007 nel nostro Paese Una guerra non dichiarata all’Italia per il controllo del Mediterraneo che si è servita anche delle stragi
30 ott 2015 Libero PIERANGELO MAURIZIO SOTTO CONTROLLO di PAOLO NORI
«Le armi da noi fornite hanno un effetto pari ad una pallina di ping pong scagliata contro Golia. Se vogliamo raggiungere qualche risultato, dobbiamo usare altri metodi, e sta a noi architettarli…». Basterebbero queste 32 parole per giustificare il tomo di quasi 500 pagine scritto da Mario Josè Cereghino e Giovanni Fasanella (Colonia Italia, Chiarelettere) da ieri in libreria. È dedicato alla propaganda occulta e alle operazioni sporche condotte nel nostro Paese in nome di Sua maestà britannica nel Dopoguerra e fino agli Anni ’70. Passando per la strage di Piazza Fontana fino al sequestro Moro.
       Il documento citato, uno delle centinaia di file desecretati e custoditi al Public Record Office di Kew Gardens, è la nota inviata nel gennaio del ’69 da Colin MacLaren, alto funzionario dell’Ird (Information Research Department). Più che un allarme è l’annuncio di una guerra non dichiarata all’Italia. Le righe successive sono state cancellate. Ieri nel recensire il libro nelle pagine della Cultura Simone Paliaga ha riassunto al meglio la mappa dell’influenza e del controllo di Londra sui media italiani, addirittura dall’Unità d’Italia. Ma in questo secondo lavoro, dopo Il golpe inglese, Cereghino e Fasanella illuminano anche le grey ele black operations, il lavoro sporco. Il movente? Una questione di vita e di morte. Il ruolo egemone nel Mediterraneo, il controllo del Medio Oriente - toh, tutti temi di attualità - e la via del petrolio. Dalla Persia (Iraq) alla Libia e Malta l’ex impero britannico in declino stava perdendo le posizioni chiave. Sotto la spinta di Enrico Mattei, il padre-padrone dell’Eni, prima e poi dell’azione ancora più spregiudicata dell’allora ministro degli Esteri, di nome Aldo Moro.
E veniamo alla strage alla Banca dell’agricoltura a Milano, 12 dicembre 1969. Nel 2001 - chiedo scusa per l’autocitazione - in un mio libro (Piazza Fontana: tutto quello che non ci hanno detto) concludevo che a Londra, come minimo, sapevano in anticipo. Poco più di un’intuizione. Il 7 dicembre sul settimanale inglese The Observer il corrispondente da Atene Leslie Finer pubblica il progetto dei colonnelli greci di estendere il golpe fascista anche in Italia. Il 14 dicembre ’69, boom. Appena due giorni dopo la strage - che tempismo - sempre The Observer, a firma Neal Ascherson, Michael Davie e Francis Cairncross da Roma, conia un neologismo che sarà un tormentone: «Nessuno è così pazzo da accusare il presidente Saragat per le bombe. Ma oggi l’intera sinistra afferma che la sua “strategia della tensione” incoraggia indirettamente l’estrema destra nel proseguire con il terrorismo». È la madre di tutte le bufale, la matrice cui da noi si abbeverano per decenni la vulgata e perfino le inchieste giudiziarie.
Cereghino e Fasanella hanno fatto di più. Hanno trovato le carte. Leslie Finer era anche corrispondente della Bbc da Atene, nutrito dalle veline dell’Ird: lo scoop, più che probabilmente, glielo hanno passato i servizi britannici. Quanto agli inventori della “strategia della tensione”, Neal Ascherson è un ex Royal marines, il Mi6 voleva arruolarlo. Francis Cairncross è la nipotina di John Cairncross. Zio John, per 30 anni corrispondente da Roma, è uno dei superagenti inglesi che fa parte del celeberrimo L’atrio della Banca dell’Agricoltura dopo l’attentato del 12 dicembre 1979. A sinistra, la copertina del libro «Colonia Italia» di Cereghino e Fasanella, pubblicato da Chiarelettere
“Ring of five”, “il gruppo di Cambridge” che lavora anche per Mosca. Che altro? Il 12 dicembre ’69 è il giorno della chiusura della basi aeree inglesi in Cirenaica. E la Banca nazionale dell’agricoltura è l’istituto utilizzato per le transazioni commerciali tra l’Italia e la Libia di Gheddafi. Ma com’è stato possibile, perché tanta acquiescenza acritica verso la propaganda d’Oltremanica? I documenti di Kew Gardens forniscono una risposta. È semplicemente impressionante la capacità inglese, che i due autori ricostruiscono, di infiltrazione e di condizionamento su giornalisti, sindacalisti, politici, giuristi, “opinion maker” italiani. Le parti più preziose del libro sono gli elenchi in appendice. I nomi. C’è la lista delle personalità in contatto con l’ambasciata inglese fino al ’40 e degli agenti e dei collaboratori del Soe (Special operations executive) durante la guerra: tutto lo stato maggiore del partito d’azione, buona parte di quello repubblicano e liberale, diversi democristiani, qualche comunista o ex comunista. Poi ci sono i “clienti” o “contatti” (coloro ritenuti fidati che ricevono regolarmente i materiali informativi dell’Ird e tenuti a non rivelare le fonti). Tra i nomi citati tratti dalle carte inglesi, per fare qualche esempio, si va da Gaetano Afeltra, direttore del Corriere della sera, a Ettore Bernabei, il superpresidente Rai. Ci sono gli “avvicinati” (con i quali è stato stabilito un contatto) e gli “attenzionati” (quelli su cui vengono redatte note e schede). Dopo un incontro con Luciana Castellina nel ’71 un funzionario dell’ambasciata di Porta Pia è entusiasta: «La gente del Manifesto è civile. Dobbiamo senz’altro mantenere i contatti con loro. Il clima qui non è deprimente come quello che si respira a Botteghe Oscure». Gli elogi per Pierleone Mignanego, più noto come Piero Ottone, un altro direttore del Corriere e opinionista del gruppo Repubblica-L’Espresso si sprecano: «Uno dei più influenti corrispondenti italiani» (1948), l’ultima nota del ’78 lo definisce «un solido amico del Regno Unito. Ha l’hobby della vela e dimostra meno dei suoi 52 anni»… Sul Dossier Mitrokhyn, ovvero la (presunta) rete sovietica di spie e di intossicazione dell’informazione e della politica italiane, ci abbiamo fatto una commissione parlamentare. I nomi a volte sono gli stessi. Nel caso delle talpe inglesi nel Belpaese sarebbe auspicabile perlomeno un’ampia riflessione. Il Regno Unito è un Paese amico-rivale, il governo inglese potrebbe fare un bel gesto: togliere gli omissis alla nota di Mr. MacLaren. Cari amici inglesi, ora diteci la verità su Piazza Fontana (almeno). Solo tra 30-50 anni saranno consultabili i documenti su quello che è successo nel e contro il nostro Paese dal ’92…

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