mercoledì 14 ottobre 2015

L'ebreicidio nazista strumentalizzato

Svilito nella sua dimensione tragica universale e ridotto a Religione di Stato, fondazione simbolica del suprematismo occidentale, sigillo mistico dell'ordine neoliberale. E tutto questo a prescindere dalla questione, non meno rilevante, della libertà di ricerca ecc. ecc. [SGA].

Un reato contro la democraziaAlla Camera è da tempo in discussione una legge che punisce chi non ammette l’esistenza della Shoah. La libertà d’espressione è un diritto fondamentale ma non bisogna fare sconti a chi incita all’odio negazionismo
di Donatella Di Cesare Corriere 14.10.15
«Negare l’esistenza delle camere a gas è un reato o una opinione?». Gli studenti e i ricercatori del Cest (Centro per l’eccellenza e gli studi transdisciplinari) hanno discusso a lungo, lo scorso anno accademico, intorno alla questione complessa che solleva il fenomeno, sempre più diffuso, del negazionismo. Gli iscritti all’associazione, soprattutto storici e studiosi di filosofia provenienti da diverse università — da Alberto Martinengo a Tommaso Portaluri — hanno deciso di promuovere il primo di una serie di dibattiti, che si terrà a Milano presso la Fondazione Corriere della Sera (con la partecipazione dell’Università Statale e di Judaica), domani, 15 ottobre, alle 17. L’intento è duplice: per un verso presentare i risultati della loro riflessione, per l’altro coinvolgere l’opinione pubblica in un confronto aperto su un tema che tocca direttamente sia la ricerca che la formazione.
In Italia il negazionismo non è ancora riconosciuto come reato. La legge è stata approvata al Senato lo scorso 11 febbraio 2015 ed è in discussione alla Camera.

Con una Decisione Quadro del 28 novembre 2008 l’Unione Europea ha chiesto agli Stati membri di contrastare penalmente la negazione. Il negazionismo è già reato in Austria, Belgio, Germania, Portogallo, Francia, Spagna, Svezia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Romania, Ungheria, Liechtenstein, Lussemburgo e Svizzera. I Paesi Bassi hanno incluso il negazionismo nella categoria dei crimini di odio.

La libertà di espressione, protetta dall’articolo 21 della Costituzione, è indispensabile in una società democratica. Ma altrettanto indispensabile è la difesa della dignità umana e la lotta contro ogni discriminazione. Si tratta, dunque, di trovare il giusto equilibrio fra diritti fondamentali che finiscono talvolta per collidere.
Non sembra più accettabile invocare la libertà di espressione, come valore assoluto, per difendere chi nega che la Shoah abbia avuto luogo, chi accusa addirittura le vittime di aver «inventato» il «mito» delle «camere a gas», chi vuole diffondere l’idea che gli ebrei siano «falsari». I negazionisti non possono essere legittimati come ricercatori, perché, al contrario, il loro fine ultimo è destabilizzare la società democratica.
In una sentenza, molto significativa, emessa nel 2003 contro Roger Garaudy, autore francese che ha inaugurato il negazionismo islamico, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato: «Contestare la veridicità di fatti storici accertati, quali l’Olocausto, che non sono oggetto di dispute tra gli storici, non può essere in nessun modo ritenuto un lavoro assimilabile alla ricerca della verità storica. I negazionisti perseguono un evidente obiettivo razzista, xenofobo, antisemita: riabilitare il regime nazionalsocialista e accusare le vittime di falsificare la storia. Questo crimine contro l’umanità è una delle forme più sottili di diffamazione razzista e incitazione all’odio».
Il fenomeno assume aspetti tanto più inquietanti nell’ambito della formazione. Non si tratta dei casi, relativamente esigui, di docenti che negano la Shoah, quanto della enorme circolazione di propaganda negazionista nel Web, lo spazio pubblico più frequentato dalle giovani generazioni. Qui i problemi si moltiplicano.
La novità del negazionismo più recente sta non già nei contenuti, bensì nelle modalità di diffusione. Mentre sfugge a ogni criterio di dibattito scientifico e democratico, e oltrepassa i confini nazionali, il nuovo negazionismo spaccia per reale ciò che è virtuale, contrabbanda per verità nascosta la più turpe falsificazione.
Qual è allora il confine tra opinione e comportamento, dove termina l’esposizione di un’idea e comincia invece l’incitamento concreto all’odio? Su questi interrogativi, ancora inesplorati, occorre una riflessione più approfondita.

Shoah e genocidio armeno: negare può essere un reato
di Giuseppa Laras Corriere 15.10.15Caro direttore, personalmente dissento con vibrante energia contro le censure e il fatto che alcuni «pensieri», effettivamente falsi, pericolosi ed osceni, vengano in qualche modo sanzionati per legge. Ovviamente mi riferisco al negazionismo in relazione alla Shoah.
Dovrebbero essere lo studio, la ricerca e l’evidenza storica, assieme a criteri e sentimenti di verità e di dignità, a espungere tutto ciò, arginando i negazionismi, svelandone le falsità e, infine, dissolvendone gli inquieti spettri.
Viviamo, tuttavia, in un’epoca di mediocrità e di diffusa ignoranza, di arbitrio deresponsabilizzato e di coscienze erose e spesso dissolute. Viviamo in un’epoca in cui l’antisemitismo sta raggiungendo i suoi massimi livelli di floridità e di pervasività dai giorni del nazismo. E so bene di che cosa si tratta perché li ho vissuti.
Anche in relazione ai rapidi e non governati cambiamenti delle demografie religiose in Occidente, tutto ciò non andrà che peggiorando ineluttabilmente. In siffatto scenario un qualche provvedimento legale, inteso a voler tutelare una «verità storica» scomoda, drammatica e luttuosa, forse non è peregrino. Resta il fatto che si tratta, almeno secondo me, di un clamoroso fallimento culturale, sociale e normativo. E bisognerebbe molto riflettere sui fallimenti. Tuttavia, visto che ormai l’iter parlamentare è avviato, (ne ha scritto sul Corriere del 14 ottobre Donatella Di Cesare) sarebbe assai nocivo e pernicioso che fallisse.
La questione, allora, è come rendere il più possibile «efficace» e «sensato» un tale provvedimento, sì che non alimenti in maniera polverosa — e schizofrenica rispetto al reale — un rapporto feticistico con la Shoah e la sua storia e non riduca, falsamente e odiosamente, l’ebraismo a «shoaismo», con le sue stantie — ed inutili— liturgie e i suoi sacerdoti, siano essi ebrei o meno. Come fare? Come salvare la storia e il senso di realtà? Ad esempio, pur riconoscendo con chiarezza l’unicità della Shoah, chiedendo a gran voce che la norma legale insista sia sulla condanna del negazionismo della Shoah sia sulla condanna del negazionismo del Genocidio Armeno.
Il Genocidio Armeno, assieme alla Shoah, costituisce per la coscienza occidentale una dolorosa e scomoda spina nel fianco. Esso rappresenta emblematicamente l’irenica cattiva coscienza di non pochi cristiani di Occidente, «distratti», impassibili o persino conniventi con il massacro dei loro fratelli di Oriente, spesso — come in epoche recenti o contemporanee — ritenuti «parenti poveri» o «sacrificabili» da parte di una maggioranza (oggi tanto sofisticata quanto debilitata) — mai abituata a vivere e a pensare da minoranza che deve e vuole sopravvivere — che si relazionava e si relaziona con un’altra maggioranza oggi probabilmente destinata a divenire maggioritaria (l’Islam). Forse è anche per questo motivo che per decenni ci siamo trovati di fronte a una colossale «rimozione» in Occidente del Genocidio Armeno.
E chi nega il Genocidio Armeno, come buona parte di chi nega la Shoah — fatte salve le loro distanze e le loro irriducibili differenze — , spesso appartiene precisamente a quest’ultima maggioranza, che non ha fatto i conti con i propri spettri e i propri incubi, né tantomeno questo le viene richiesto dalla politica e dalla cultura occidentale per malinteso senso di inclusione e di tolleranza. Ed è un dramma! Ed è qui precisamente che si saldano — come infatti accadde all’epoca — jihadismo e nazismo.
Se si vuole promulgare un qualche provvedimento legislativo contro il negazionismo, dovrebbe necessariamente comparire, assieme alla Shoah, il Genocidio Armeno; pena uno strumento nuovo ma già «spuntato». La «buona coscienza» di certi occidentali, sia come singoli sia come istituzioni, risulterà comunque credibile non per tali provvedimenti legislativi, bensì quando ci si schiererà con convinzione e chiarezza nei confronti di un’Armenia libera, sicura e sovrana, come pure di uno Stato di Israele altrettanto libero di esistere in sicurezza e pace.
Presidente del Tribunale Rabbinico Centro Nord Italia


Sono ebreo, ho perso dieci familiari ad Auschwitz, ma trovo avvilente che per affermare una verità debba occorrere una legge
di Roberto Della Seta Il Fatto 17.10.15
Negare “in tutto o in parte” la Shoah e in genere i crimini di genocidio, di guerr a , c o n tr o l’u m a n ità, sta per diventare reato: manca solo il sigillo definitivo del Senato, dopo che martedì la Camera ha approvato in seconda lettura e con minime modifiche un testo “multipartisan" (Pd, sinistra, destra; astenuti i 5Stelle) che sanziona il “negazionismo” come aggravante del reato di istigazione alla violenza e all’odio razziali.
Malgrado il largo consenso r i c e v u t o i n P a r l a m e n t o , l ’i n t r o duzione del reato di negazionismo è un tema controverso, su cui in un recente passato non sono mancate discussioni e polemiche.
IN ITALIA il primo a lanciare l’idea fu nel 2007 l’allora ministro della Giustizia Mastella. Moltissimi approvarono, altri sollevarono dubbi. Stefano Rodotà scrisse che la norma proposta era “una di quelle misure che si rivelano al tempo stesso inefficaci e pericolose”. Alcuni autorevoli storici italiani – da Carlo Ginzburg a Giovanni De Luna, da Sergio Luzzatto a Bruno Bongiovanni – promossero un appello pubblico in cui sostenevano che “ogni verità imposta dall’autorità statale non può che minare la fiducia nel libero confronto di posizioni e nella libera ricerca storiografica e intellettuale”. Punti di vista analoghi espressero nell’occasione intellettuali europei come Paul Ginsborg e Thimoty Garton Ash. Rispetto alla proposta originaria di Mastella, che sul momento cadde nel vuoto, il disegno di legge appena approvato dalla Camera presenta una differenza: non si colpisce il negazionismo quale reato a sé, ma lo si qualifica come aggravante di reati già esistenti. Il punto però non cambia e io trovo che le obiezioni portate a suo tempo da Rodotà, da Ginzburg, da Luzzatto restino totalmente valide. Lo Stato non può e non deve intervenire in tema di libertà del pensiero, della parola, della ricerca storica; non può e non deve nemmeno di fronte ad affermazioni aberranti come la negazione o la minimizzazione di un fatto – lo sterminio pianificato e sistematico di milioni ebrei da parte del nazismo e dei suoi alleati – che solo persone in malafede o incapaci d’intendere possono mettere in discussione.
Peraltro va anche osservato che nei Paesi europei dove il negazionismo è reato da anni – Francia, Germania, Austria, Liuania, Romania, Slovacchia... – questo non ha impedito il progressivo emergere di forze apertamente xenofobe e in più di un caso esplicitamente antisemite. Così, per esempio, il negazionista sedicente storico David Irving è considerato una grottesca macchietta a casa sua, in Inghilterra, dove il reato di negazionismo non esiste ma dove conta, e conta molto, la reputazione pubblica, mentre in Austria, dove è stato processato e condannato per le sue tesi deliranti, può atteggiarsi a vittima ottenendo larga e gratuita pubblicità.
IO SONO EBREO, la mia famiglia ha lasciato dieci corpi nei forni di Auschwitz. Ebbene io trovo avvilente che per affermare una verità di assoluta evidenza quale è il carattere raccapricciante e "unico" della Shoah, si pensi di dover ricorrere a una norma di legge. L’idea di una verità storica di Stato non solo è di per sé inaccettabile, ma in questo caso rischia di offrire un alibi all'incapacità che abbiamo tutti come corpo sociale – nella scuola, nella famiglia – di contrastare il negazionismo sull’unico terreno appropriato: il terreno dell’educazione, dell'informazione, della cultura, il terreno della conservazione e della trasmissione della memoria della Shoah. Insomma della società.

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