mercoledì 14 ottobre 2015

Cesare Bermani laureato

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Una lettura negriera [SGA].


Un intellettuale dai piedi scalzi 

Oggi all’Università di Salerno la laurea ad honorem a Cesare Bermani per le inchieste militanti sulla Resistenza, i «subalterni», i conflitti di classe nel secondo dopoguerra 
Giso Amendola il Manifesto 14.10.2015, 0:25 

Presso l’Aula Magna dell’Università degli Studi di Salerno, si tiene oggi la ceri­mo­nia per il con­fe­ri­mento della lau­rea ad hono­rem in Socio­lo­gia e poli­ti­che per il ter­ri­to­rio a Cesare Ber­mani. Un evento, in fondo, che con­tiene evi­den­te­mente un para­dosso: un rico­no­sci­mento acca­de­mico oggi «cele­bra» un per­corso di vita, di ricerca e di mili­tanza che di acca­de­mico ha dav­vero ben poco, quasi niente. Pro­prio per que­sto, però, l’occasione diventa non rituale: il ten­ta­tivo di inse­rire all’interno di una vita acca­de­mica ripie­gata troppo spesso su se stessa, di un momento di con­fronto con un per­corso, come quello di Cesare Ber­mani, ispi­rato a una con­ce­zione radi­cale e con­flit­tuale della libertà di ricerca. 
Tanto per comin­ciare, libertà dai con­fini disci­pli­nari: la cui forza appunto «disci­pli­nare», ma nel senso che Fou­cault attri­buiva al ter­mine, si sta oggi ripro­po­nendo in modo sem­pre più rigido, gra­zie al tipo di valu­ta­zione che ha preso il con­trollo dell’intera ricerca acca­de­mica. La ricerca di Ber­mani pre­senta, al con­tra­rio, un esem­pio di cri­tica radi­cale all’idolatria delle clas­si­fi­ca­zioni e al para­liz­zante incan­te­simo dei metodi che ne deriva. E forse, il modo migliore per ono­rare que­sta capa­cità di infran­gere i recinti, è pro­prio que­sta lau­rea hono­ris causa in socio­lo­gia, che è appa­ren­te­mente late­rale rispetto al Ber­mani «sto­rico delle tra­di­zioni popo­lari», espo­nente di primo piano della «sto­ria orale», e via clas­si­fi­cando. Ma segna evi­den­te­mente la neces­sità oggi di aprire le scienze sociali non solo e non tanto alla dimen­sione sto­rica, come si direbbe con for­mula abu­sata, ma più pre­ci­sa­mente alla dimen­sione della subal­ter­nità e delle sog­get­ti­vità «altre». Sog­get­ti­vità che, pure can­cel­late dai canoni della sto­rio­gra­fia uffi­ciale, com­presi quelli della sini­stra uffi­ciale, costi­tui­scono la carne e il san­gue di ogni inchie­sta sul sociale che non voglia ridursi a una inge­gne­ria socio­lo­gica che espunge pro­gram­ma­ti­ca­mente la dimen­sione del con­flitto e della sog­get­ti­va­zione politica. 
Sguardo radi­cato nel con­flitto di classe, da un lato; dall’altro lato, con­sa­pe­vo­lezza della ric­chezza e dell’eterogeneità della società, sem­pre striata da sog­get­ti­vità mai ridu­ci­bili sche­ma­ti­ca­mente ad unità com­patte e mag­gio­ri­ta­rie. Come scrive Raf­faele Rauty nella pro­lu­sione che aprirà la ceri­mo­nia di lau­rea, «Cesare Ber­mani è testi­mone di una scelta di classe irre­ver­si­bile, di una tra­di­zione di ricerca soste­nuta da un legame inscin­di­bile con le espres­sioni orali, da una filo­lo­gia infles­si­bile (…), con­sa­pe­vole, come ogni grande ricer­ca­tore che prima di “par­lare” alla società è bene pro­vare ad inter­pre­tarne le espres­sioni, anche le più ripie­gate e appa­ren­te­mente contraddittorie». 
Si leg­gano gli studi sulla Resi­stenza, a par­tire da quelli su La Volante rossa (ultima edi­zione per Coli­brì, 2009), carat­te­riz­zanti dall’inossidabile rigore della rac­colta e della regi­stra­zione delle fonti (il regi­stra­tore, appunto, sim­bolo ben noto delle imprese dello «sto­rico scalzo» Ber­mani), ma anche dalla solida scelta poli­tica di rifiu­tare qual­siasi ridu­zione della Resi­stenza a sola lotta di libe­ra­zione nazio­nale, per difen­derne invece la dimen­sione di guerra civile e di classe; oppure si seguano, nei saggi de Il nemico interno (Odra­dek, 2003), le tracce d di una rivolta infi­nita, che rina­sce in forme sem­pre diverse e non ripor­ta­bili a nes­suna oziosa linea­rità sto­rica, a par­tire dalla guerra di libe­ra­zione, attra­ver­sando l’antifascismo rilan­ciato dalla gene­ra­zione del 1960, per giun­gere alla rot­tura del ’68. Appren­de­remo, da que­sto straor­di­na­rio «archi­vio» delle lotte, la capa­cità di legare insieme, nella rico­stru­zione della ric­chezza del «sociale», sog­get­ti­vità e con­flitto, fino a costruire un lungo, coe­rente attacco alla sto­ria monu­men­tale, e un vero e pro­prio modello di sto­ria delle controcondotte. 
Ber­mani ci ha inse­gnato che, a saper ascol­tare le sto­rie dei sog­getti, si risco­pre con­ti­nua­mente che il sog­getto altro non è che, mar­xia­na­mente, rela­zione sociale; e che, reci­pro­ca­mente, non c’è nes­suna inchie­sta sul sociale, nes­sun lavoro socio­lo­gico, che possa per­met­tersi di can­cel­lare le voci delle sog­get­ti­vità. Per quanto le loro vite siano tenute ai mar­gini dalle con­ce­zioni vin­centi e uffi­ciali della sto­ria, in prima linea quelle segnate dalla visione omo­ge­nea e lineare del «pro­gresso», i subal­terni pos­sono par­lare. Ed è par­ti­co­lar­mente signi­fi­ca­tivo che que­sta lau­rea a Ber­mani e a tutti i ricer­ca­tori scalzi venga da Sud, dal Sud delle inchie­ste di De Mar­tino, e anche dal Sud di quel Gram­sci non uffi­ciale, non «nazio­nal­po­po­lare», ma ricer­ca­tore della ric­chezza delle espe­rienze auto­nome ben­ché subal­terne «ai mar­gini della sto­ria»: un Gram­sci «altro» che è uno dei meriti non minori di Cesare Ber­mani averci aiu­tato a riscoprire.

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