Giorgio Fabre:
Lo scambio, Sellerio pagg. 536 euro 24
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Risvolto
L’accurata e ineccepibile ricostruzione della
detenzione di Gramsci e soprattutto dei ripetuti tentativi di liberarlo
(a lungo ignorati o negati). Pagine di storia investigativa e politica
piene di sorprendenti illuminazioni su uno dei più opachi casi politici
italiani.
È quasi automatico immaginare la prigionia di
Antonio Gramsci come un monotono decennio di isolamento intransigente e
intellettualmente operoso. Una condizione movimentata soltanto da
difficili e rarefatti contatti con l’esterno e da una assai controversa
partecipazione al dibattito politico. A render ancor meno esatte certe
correnti rappresentazioni ha contribuito la continua polemica su colpe,
responsabilità o tradimenti. Lo scambio è l’accurata e
ineccepibile ricostruzione della detenzione di Gramsci e soprattutto dei
ripetuti tentativi di liberarlo (a lungo ignorati o negati). Una
ricostruzione che aiuta a caratterizzare meglio la vera immagine di un
grande pensatore e leader politico, prigioniero del fascismo e di tempi
terribili. L’obiettivo è quello di fare chiarezza di visioni mitiche o,
all’opposto, di dietrologie complottarde. Ma non è la polemica il suo
obiettivo, bensì riuscire a districare l’ingarbugliata matassa dei fatti
che condussero alla fine a «come Gramsci non fu liberato». I tentativi
furono un certo numero, operati da più parti (Gramsci per primo),
condotti da diversi agenti, con vari intermediari e per via di
trattative sotterranee che si intersecavano con affari diplomatici e
questioni di politica internazionale; tutti naufragati a causa di errori
e di illusioni (di Gramsci stesso in primo luogo), per l’invincibile
avversità di Mussolini, per l’indifferenza sostanziale di potenze
politiche (quali il Vaticano e la Chiesa), ed inoltre per il convergere
di circostanze ostili, piccoli calcoli politici contrari, ingenuità. E
di fatto, alla medesima storia di una liberazione fallita appartengono
vicende emerse a scoppio ritardato decenni dopo: sia le polemiche
storiografiche che hanno ricamato le prime rivelazioni sulle trattative,
sia i depistaggi, gli occultamenti e le falsificazioni con cui si cercò
di mascherare «segreti» imbarazzanti per molte parti.
Su ognuno di
questi momenti, soprattutto quelli poco noti o ignoti, si china la lente
d’ingrandimento di Fabre: sui pezzi interessanti delle biografie di
ciascuno degli agenti e degli attori alcuni dei quali finora
sconosciuti, su tutte le carte che si incrociavano compresi biglietti
apparentemente innocui o messaggi ritenuti indecifrabili, su tutte le
coincidenze a prima vista irrilevanti, sui molti misteri, su certi
inspiegabili comportamenti, mezze ammissioni, silenzi. Ne risultano
pagine di storia investigativa e politica piene di sorprendenti
illuminazioni su uno dei più opachi casi politici italiani. La loro
lettura risulta avvincente anche nel metodo: il lavoro interpretativo di
scoprire nuove fonti archivistiche e di incrociarle con altri dati.
Gramsci prigioniero e le sue esili speranze
Un libro getta nuova luce sull’intricata vicenda dei tentativi di liberare il capo del Pci attraverso una trattativa diplomaticaRoberto Roscani Unità 13 novembre 2015
Quando Gramsci non fu liberato storia politica di un fallimento
Il nuovo saggio di Fabre ricostruisce le trattative “vaticane” per far uscire dal carcere il leader comunista
ADRIANO PROSPERI Repubblica 2 10 2015
Uno dice: Antonio Gramsci. E quel nome gli apre agli occhi della mente un grande paesaggio, come accade con pochi altri nomi dell’intera storia civile e vita intellettuale italiana. Di Gramsci si legge e su Gramsci si riflette nel mondo intero. E c’è almeno una cosa che tutti sanno di lui: che, chiuso in una prigione fascista e impedito di agire nella lotta politica e nei conflitti sociali del ‘900 europeo di cui era uno dei protagonisti, si dedicò a un’opera di pensiero
destinata al futuro: fece insomma, si direbbe coi versi di Dante che Benedetto Crocededicò a Palmiro Togliatti, «come quei che va di notte che porta il lume dietro e sé non giova, ma dopo sé fa le persone dotte». Di quell’opera si impadronì un esecutore testamentario, il Partito comunista di Togliatti, che ebbe il merito di conservarla ma ne fece un uso strumentale più o meno simile a quello che fece della figura dell’autore. C’è un rivolo di devozione che ha veicolato l’immagine di quel giovane uomo occhialuto con la grande testa incassata nelle spalle aureolandola della corona del martirio. Immagine adatta a un «santo leader morto in carcere», come scrive con amara ironia Giorgio Fabre nel suo nuovo e densissimolibro Lo scambio.
Come Gramsci non fu liberato (Sellerio editore); un’opera importante che affronta con decisione e con robusta ricerca un tema da tempo presente nelle discussioni intorno alla vita e all’opera di Gramsci: i tentativi di liberarlo dal carcere.
La vicenda fece la sua comparsa notevolmente tardi arrivando non proprio dal centro degli studi gramsciani legati al Pci: fu nel 1966 che un bel libro di Giuseppe Fiori raccontò del tentativo di Gramsci di ottenere la liberazione elaborando il piano di uno scambio di prigionieri e affidandolo alla mediazione della Chiesa cattolica. Ci vollero altri undici anni perché una storiografia di partito in cauteloso avvicinamento alle regole della pratica storiografica accademica e agli angoli oscuri del proprio passato partorisse il libro di Paolo Spriano su
Gramsci in carcere e il partito . Da allora si è aperta una discussione spesso vivacemente polemica che ha investito in modo speciale il nodo dei rapporti tra il partito comunista e il suo leader. Allora non si diceva “leader” ma “capo”: una parola molto più forte, osserva giustamente Giorgio Fabre. È una precisazione che nasce dallo scrupolo di aderire alla verità delle fonti frenando quel «furibondo cavallo ideologico» (come diceva Delio Cantimori) che nel campo degli studi su Gramsci e il Partito comunista ha avuto molte occasioni per far avvertire il suo furioso scalpitio. Giorgio Fabre dichiara subito in apertura di libro la passione che lo lega al suo tema. Il suo è un forte sentimento d’ammirazione per l’uomo Gramsci, per il modo in cui riuscì a «bucare le pareti del suo carcere» e a guardare a ciò che si faceva e si pensava nel mondo intorno allo scontro politico in atto in Europa, col risultato di dare ai suoi Quaderni quel respiro di straordinaria curiosità e libertà intellettuale che tutti conoscono. Ma chi fu che gli permise di conoscere e di sapere? Forse non ne sappiamo abbastanza: e Giorgio Fabre suggerisce piste e nomi per altre ricerche segnalando ad esempio il rapporto che si instaurò a un certo punto tra Gramsci e il presidente della Cassazione Mariano D’Amelio. Dunque questo libro non intende chiudere la ricerca, semmai per certi aspetti la riapre. Forse la più importante novità sulla questione dello scambio riguarda il rapporto tra Gramsci e la Chiesa. Questa pista si apre con una esplorazione tra le carte dell’archivio Andreotti. Qui si conservano le copie di documenti provenienti da due diversissime direzioni e relativi alla questione della proposta di scambio tra Gramsci ed ecclesiastici cattolici prigionieri in Unione Sovietica: ci sono quelli tratti dagli archivi russi che Alessandro Natta, segretario del Pci, riportò dalla sua visita a Mosca del 1988 e quelli di origine vaticana che Andreotti, dietro richiesta di Paolo Spriano, si fece riprodurre pubblicandone poi una parte.
La proposta dello scambio era stata avanzata dall’incaricato d’affari sovietico a Berlino Stefan Bratman-Brodowski al nunzio vaticano a Berlino Eugenio Pacelli il 1° ottobre 1927. Giorgio Fabre ha approfondito questa pista con ottimi frutti e ha potuto raccontare per intero l’andamento e l’esito fallimentare di quel tentativo. Si approfondisce così come nel gioco della trattativa intervenissero diversi personaggi: tra gli altri il gesuita Pietro Tacchi Venturi, allora il tramite del papato con Mussolini. E si capisce come e perché la trattativa si chiudesse in maniera doppiamente negativa per Gramsci. Di fatto il Vaticano decise di lasciar cadere l’offerta in ragione di un diverso orientamento della sua politica verso l’Unione Sovietica. Ma intanto l’occhio attento del carceriere di Gramsci, Benito Mussolini, colse l’occasione per imprimere una svolta al processo in corso che aggravò le imputazioni a carico di Gramsci e ne chiuse a doppia mandata le porte del carcere.
Il giudizio di Fabre è che qui si coglie un primo errore di Gramsci: un errore legato in qualche modo a quella sua speciale considerazione della Chiesa di Roma che ha lasciato tracce anche nei Quaderni . Altri errori sono rilevati nella sua strategia successiva, soprattutto nel tentativo “grande”, quello del 1933 per ottenere la libertà condizionale. E ci furono anche le iniziative — non richieste né desiderate — del gruppo dirigente del Pci che mandarono a vuoto i progetti di un Gramsci sempre più sospettoso dopo la celebre vicenda della lettera di Ruggero Grieco, fino a fargli nascere il dubbio che i compagni avessero deciso di sacrificarlo. Molte le verità amare che Giorgio Fabre racconta in questo libro, molti e tenaci i silenzi, le mezze verità e le deformazioni del gruppo dirigente del Partito comunista.
Va detto tuttavia, a scanso di equivoci, che questa non è la rancorosa revisione di una vicenda interna a un partito. Le limpide e robuste pagine di Fabre non mandano mai i rancidi sapori del reducismo. La storia che qui emerge ha le robuste fondamenta di nuove conoscenze documentarie ma anche l’ampiezza di respiro che si conviene a una vicenda di dimensioni pienamente europee. Un solo esempio: per capire quello che avvenne col primo tentativo di scambio del 1927 Fabre ricostruisce l’intero quadro della situazione religiosa della Russia sovietica e della conseguente strategia vaticana in materia: il che ci permette di situare nel contesto grande la strategia di Gramsci e di capire quante e quali contraddizioni ne ostacolassero il successo. È una bella lezione di quale dovrebbe essere la pratica della ricerca storica sull’età contemporanea.
Al centro del libro resta lui, l’uomo Gramsci, il suo stile intellettuale e politico. L’indagine sui pensieri e comportamenti suoi in questi tentativi ne rivela le doti straordinarie: di pazienza, di lettura del mondo, di conoscenza degli uomini. E da parte dello storico c’è anche, inutile dirlo, un sentimento di perdita, un rimpianto di quello che la storia avrebbe potuto essere e non è stata: la possibile storia di un Gramsci che lascia l’Italia da uomo libero e in Italia torna con la Liberazione da grande e riconosciuto capo della sinistra comunista per agire nella nuova realtà del nostro paese. Una storia che non c’è stata, una perdita di cui noi italiani siamo stati tutti vittime. ©RIPRODUZIONE RISERVATA
Le rivelazioni nel libro di Giorgio Fabre (Sellerio)
Liberare
Gramsci: i tentativi sovietici e tutti gli errori del Partito comunista
I compagni italiani dimostrarono in questa vicenda leggerezza e cinismo
20 ott 2015 Corriere della Sera Di Luciano Canfora RIPRODUZIONE RISERVATA
E' uscito un libro che dice finalmente come andarono le cose quando si
tentò di tirar fuori Antonio Gramsci dal carcere. Si tratta di un volume
edito nei giorni scorsi da Sellerio, intitolato Lo scambio. Come
Gramsci non fu liberato, di uno storico italiano tra i più esperti di
ricerche in archivio, Giorgio Fabre, curiosamente escluso dal mondo
universitario, ad opera di docenti non di rado quasi digiuni della
ricerca archivistica. D’altra parte è noto che ormai molte forze
intellettuali valide non si trovano dentro l’istituzione universitaria,
ma fuori.
Ma veniamo a questo libro per tanti versi decisivo. È talmente ricco che
è difficile darne una descrizione completa. Proverò a darne il senso.
Il risultato della ricerca è il seguente: il governo dell’Unione
Sovietica e l’ambasciata sovietica a Roma operarono a più riprese per
tirar fuori Gramsci dalla galera. Dapprima indirettamente (tramite il
Vaticano: e su ciò Fabre porta molte novità), poi compiendo passi presso
il governo italiano e direttamente presso Mussolini, col quale l’Unione
Sovietica nel settembre 1933 aveva stretto un patto di amicizia e
collaborazione che vigoreggiò fino alla rottura determinata dalla guerra
d’Etiopia.
Alcuni episodi restano ancora passibili di progressi nell’indagine. Ad
esempio, molti anni fa fu pubblicato il verbale di un incontro tra
l’ambasciatore Potëmkin e Mussolini: verbale del quale inizialmente si
disse che non era una cosa seria. In realtà l’incontro comunque ci fu e
molto probabilmente (l’autore su questo punto è prudente), il tema
Gramsci venne fuori nel dialogo tra l’ambasciatore sovietico e
Mussolini. Sta di fatto che l’azione retroscenica dell’interlocutore
sovietico, coordinata
Gli occhiali di Antonio Gramsci appoggiati su una sua lettera al fratello Carlo
— nonostante tutto — con l’iniziativa acuta ed efficace dello
stesso Gramsci, condusse alla concessione della libertà condizionale,
con conseguente ricovero di Gramsci in clinica già alla fine del 1934.
Quello che era rimasto in ombra è che i compagni ostili a Gramsci,
in particolare Athos Lisa, suo accusatore politico in carcere e dopo,
continuarono a godere della piena fiducia del Centro estero del Pcd’I
(almeno fino al momento in cui Mussolini poté, morto Gramsci, utilizzare
su «Il Popolo d’Italia» un ignobile articolo del doppiogiochista
Taddei che chiamava in causa a proprio sostegno Athos Lisa). Gli
interventi giornalistici promossi dal Centro estero del Pcd’I, in
particolare su «Azione popolare» del 29 dicembre 1934 (a titoli
cubitali: Gramsci è stato scarcerato) determinarono l’irrigidimento del
governo italiano e l’arenarsi di ulteriori possibilità, ivi compresa
quella di consentire a Gramsci di ricongiungersi alla famiglia in
Russia. La notizia « sparata » da «Azione popolare» e presentata come
effetto della campagna per la liberazione di Gramsci (cosa non vera) fu
poi ripresa dal quotidiano del Pcf «L’Humanité». Non aveva torto Piero
Sraffa quando, scrivendo a Paolo Spriano nel 1969, parlò di vero e
proprio «disastro», alludendo chiaramente a questa vicenda. Purtroppo
Spriano, per motivi di opportunità partitica, non rese mai pienamente
chiaro il senso di queste parole; e perciò nei suoi libri gramsciani
l’episodio è sbiadito. Cade con ciò la tesi che ha avuto tanta fortuna
nella pubblicistica degli anni Novanta, soprattutto a destra, secondo
cui vendicativamente i sovietici volevano mantenere Gramsci in carcere a
causa della sua presa di posizione dell’ottobre 1926, in merito allo
scontro in atto nel Partito comunista russo. Da parte dei compagni
italiani ci furono leggerezza e cinismo: si volle sfruttare la vicenda
Gramsci per fini agitatorii, giungendo a sostenere una tesi
completamente falsa, che cioè Mussolini avesse ceduto di fronte alle
pressioni della propaganda antifascista all’estero.
Nel volume del Fabre ci sono moltissime altre novità, a partire
dalla prima edizione veramente completa dei documenti che Gorbaciov donò
ad Alessandro Natta, riguardanti il primo tentativo sovietico —
compiuto attraverso il Vaticano — di liberare Gramsci a ridosso
dell’arresto. Anche in questa vicenda l’attenta rilettura, che Fabre
fornisce, dei documenti e delle strane cancellature che li sfigurano si è
rivelata molto istruttiva. Siamo di fronte ad un contributo che segna
un punto fermo nella ricostruzione biografica su Gramsci.
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