domenica 15 novembre 2015

Blow Jobs Act: prendi i soldi e scappa



Primo assunto col Jobs Act e licenziato: “Altro che tutele crescenti”
Mario, 31 anni, operaio, con contratto a tempo indeterminato alla cartiera Pigna
L’azienda ci ha sempre detto che potevamo stare tranquilli, almeno per i primi tre anni
Aveva ragione chi difendeva l’articolo 18, la riforma del lavoro è una falsa promessa di miglioramento

di Matteo Pucciarelli Repubblica 14.11.15
MILANO «Preferivo finire sul giornale per una storia migliore eh», scherza Mario B., operaio trentunenne, due figli di 12 e 3 anni. È il primo licenziato con il contratto a tempo indeterminato versione “Jobs Act” — questa la denuncia dal sindacalista della Cisl Massimo Albanesi raccolta dal Messaggero Veneto.
Dopo soli otto mesi dalla firma della lettera di assunzione. Per paura di ritorsioni («non è che poi non mi assume più nessuno?») aveva preferito non esporsi. Ma alla fine questo lavoratore della Pigna Envelopes (quella dei bloc-notes) di Tolmezzo, in provincia di Udine, decide di raccontarsi, «dopotutto di cosa dovrei vergognarmi?».
Partiamo dall’inizio: quando e come viene assunto?
«Allora, io facevo il camionista e stavo molto tempo all’estero. Vedevo poco la mia famiglia. Dopo quattro anni di questa vita, decido di provare ad avvicinarmi a casa».
E com’è entrato in contatto con l’azienda?
«Sapevo che cercavano operai e io avevo già fatto esperienza anni fa in una cartiera. Presentai domanda nell’estate del 2014. A inizio 2015 mi chiamano per dirmi “ci siamo, venga lunedì”. Ma poi rimandano di qualche settimana, perché aspettavano il varo della nuova riforma del lavoro. Così il 16 marzo ho firmato il contratto».
Era felice?
«Di più, felicissimo. Fabbrica a 200 metri da casa, ci andavo a piedi. Due mesi di prova e poi l’indeterminato. Lo stipendio, facendo anche i turni di notte e con gli assegni familiari, era di 1.400 euro».
Ma non sapeva che il contratto a tutele crescenti prevede la possibilità di un più facile licenziamento?
«No, l’azienda ci aveva sempre detto di stare tranquilli, e che per tre anni stavamo sicuri. Poi non sono un tipo politicizzato, mai fatto uno sciopero in vita mia, non sono di sinistra. Vedevo Renzi in tv, parlavano tutti di “tutele crescenti”... Ecco sulla mie pelle ho visto che quella dizione è una barzelletta».
Come le hanno detto che restava a casa?
«Mercoledì, erano le 17,30. Stavo facendo il turno pomeridiano, dalle 14 alle 22. Mi hanno chiamato i superiori: “Mario, c’è un calo di lavoro, non possiamo più tenerti, quindi da venerdì il contratto è risolto”».
E lei?
«Non ci credevo. Se sei precario, te lo puoi aspettare. Se sai di essere a tempo indeterminato, no. E invece ho scoperto così che ero precario lo stesso. Da un momento all’altro a casa, l’ho trovato ingiusto, una mancanza di rispetto dal punto di vista umano. E ho ripensato all’articolo 18...».
Cioè?
«Aveva ragione chi lo difendeva. Qui è finito tutto, la riforma è
una falsa promessa di miglioramento ».
Non aveva avuto neanche delle avvisaglie che qualcosa non stesse andando bene? «Sapevamo che c’erano difficoltà, sì, ci eravamo consumati le ferie apposta. Ma da qui a vederti lasciato così...».
Non è che per caso l’hanno licenziata per altre ragioni legate al suo operato?
«No, oggi (ieri, ndr) hanno fatto lo stesso con altri due tempi indeterminati a tutele crescenti, forse non è finita qui».
Senta, quando è tornato a casa con la lettera di licenziamento cosa le ha detto la sua compagna?
«È rimasta senza parole anche lei. Un fulmine a ciel sereno. Se ti parlano di “tutele crescenti” e firmi un indeterminato, vivi con una certa tranquillità. Ti fidi no? Invece scopri che era tutto frutto della tua immaginazione, o della propaganda».
E adesso?
«Avrò la disoccupazione per qualche mese e intanto cerco un nuovo impiego; ma se lo avessi saputo prima che andava a finire così non avrei mai lasciato il lavoro di camionista. Mi ero anche fatto licenziare dal vecchio datore di lavoro, così risultando disoccupato l’azienda ha potuto usufruire degli sgravi fiscali assumendomi...».

Il Jobs Act ha il suo primo licenziato
Udine. Messo alla porta dalla cartiera Pigna: lettera di 11 righe, subito fuori. L’azienda aveva usufruito degli incentivi. La Cisl punta al reintegro, ma non sarà facile. E intanto il governo chiude a fine anno i sussidi destinati ai collaboratoridi Antonio Sciotto il manifesto 14.11.15
«Riorganizzazione della turnistica dovuta a un persistente calo di lavoro». Basta questa scarna motivazione, annegata dentro una lettera di appena 11 righe, per poter licenziare una persona al tempo del Jobs Act. Il dipendente è a tempo indeterminato, ma senza articolo 18 e protetto solo dalle «tutele crescenti», quindi avrà diritto solo a un piccolo indennizzo monetario, mentre l’azienda ha goduto ampiamente degli sgravi contributivi concessi dal governo. Soldi pubblici ben investiti, se non creano posti stabili? Devono esserselo chiesto alla cartiera Pigna Envelopes srl di Tolmezzo (Udine), dove — come spiegava ieri il Messaggero veneto — si è registrato il primo licenziamento di un lavoratore assunto con le norme “made in Renzi”.
Assunto 8 mesi fa — quindi tra i primi in assoluto in Italia (il Jobs Act è entrato in vigore il 7 marzo) — il dipendente della Pigna ha ottenuto un benservito lampo: l’amministratore delegato della cartiera, infatti, gli ha scritto che la decadenza del suo posto era da intendersi «con decorrenza dal ricevimento della presente lettera». Un trauma che — almeno in questi termini — viene risparmiato perfino ai precari, visto che con tutti i problemi che hanno, conoscono pur sempre la scadenza naturale del contratto.
Lo spiega bene Massimo Albanesi, segretario regionale della Fistel Cisl, intervistato dal quotidiano veneto: «I lavoratori “a tutele crescenti” — dice — vengono trattati allo stesso modo dei precari. Anzi, direi anche peggio: nei contratti a tempo determinato le regole sono chiare, il lavoro c’è ed è a tempo, condizionato all’attività dell’impresa. Non ci sono illusioni, né si alimentano».
In questo caso, invece, prosegue il sindacalista Cisl, «assistiamo a un licenziamento che lascia a casa un lavoratore che, per essere assunto alla Pigna e avvicinarsi alla famiglia, una moglie e due figli piccoli, aveva lasciato un’altra occupazione. Dall’altra parte abbiamo un’azienda che ha beneficiato della decontribuzione prevista dalla legge per aver assunto un lavoratore a tempo indeterminato (e non sarà nemmeno costretta a restituire il vantaggio contributivo incamerato per i mesi di assunzione), e che oggi scarica sulla collettività lo stesso lavoratore che dovrà fare domanda per accedere agli ammortizzatori sociali. Per l’azienda nessun conto da pagare; per il sistema Paese un doppio costo sociale».
Il sindacato annuncia che ricorrerà alle vie legali per un reintegro del lavoratore, anche se il Jobs Act — per come è scritto, e avendo come caratteristica proprio lo “smontaggio” dell’articolo 18 — lascia pochi margini.
La Cisl teme anche per gli altri dipendenti della Pigna di Tolmezzo, circa 90, perché la cartiera è inserita in un percorso di ristrutturazione, in vista di una probabile cessione a un gruppo tedesco. E se pure i licenziamenti non arrivassero adesso, si chiedono al sindacato, non è che gli assunti con il Jobs Act rischiano di essere messi alla porta una volta che si saranno esauriti gli incentivi triennali legati alle tutele crescenti?
Crudele Naspi, addio Dis-coll
E proprio in fase di discussione della legge di Stabilità, ci accorgiamo che i già risicati ammortizzatori renziani (la riforma del governo ne ha ridotto la copertura) rischiano di essere ulteriormente tagliati. La denuncia viene dalla Cgil, e riguarda Naspi e Dis-coll.
Quanto alla Naspi, si è aperto un problema per i lavoratori stagionali e discontinui del turismo, dell’industria alimentare e dello spettacolo. Diverse centinaia di migliaia di addetti penalizzati dalla nuova indennità di disoccupazione che non riconosce la strutturalità della loro condizione lavorativa, non a loro imputabile. La Cgil e la Filcams chiedono quindi un correttivo alla legge, che permetta loro di usufruirne.
E poi c’è la mancata proroga della Dis-coll (il sostegno ai collaboratori), che scadrà il 31 dicembre. La Commissione bilancio del Senato ha bocciato l’emendamento che prolungava la copertura anche per il prossimo anno.
«Si tratta di una marcia indietro grave — sostiene Serena Sorrentino, segretaria confederale Cgil — soprattutto considerando che a molti collaboratori, come assegnisti di ricerca e dottorandi, la tutela prevista dalla Dis-Coll non è stata mai riconosciuta, come abbiamo denunciato nella campagna #perchenoino di Cgil, Inca, Flc Cgil e Adi». Per il Nidil Cgil «nella lotta alla precarietà si dimostra la distanza tra gli annunci del governo e i fatti». 

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