martedì 3 novembre 2015

Con i Maestri perderete ancora. Il Professor Golpe Democratico vuole Marino candidato della Grande (?) SEL

di Ilvo Diamanti Repubblica 3.11.15

Da Milano a Roma. La classe dirigente attuale rincorre personaggi che sono estranei agli schieramenti tradizionali È una dichiarazione di impotenza. Il centrodestra e il centrosinistra non riescono a fronteggiare l’ondata di sfiducia che è montata di Antonio Polito Corriere 3.11.15

Termometro Politico 2.11.15

Essere comunisti 2.11.15


“A Roma serve un uomo di sinistra”

Renzi è convinto che la nascente Cosa Rossa lancerà la corsa di Fassina per il Campidoglio e si prepara a testare nel dream team per il Giubileo, Fuortes e Sabella La grande paura del premier: non arrivare nemmeno al ballottaggio Oggi nei gruppi la resa dei conti con la minoranza

di Goffredo De Marchis Repubblica 3.11.15

ROMA Bisognerà tenere gli occhi bene aperti sul dream team che Matteo Renzi si prepara a varare per gestire il Giubileo e aiutare l’amministrazione commissariale di Roma. Perché l’intenzione del premier è usare quella squadra come un laboratorio politico, per testare la figura del prossimo candidato del Partito democratico al Campidoglio. I nomi sui quali accendere i riflettori sono soprattutto due, quando ancora la lista dei papabili non è stata ancora definita e lo sarà probabilmente la prossima settimana al momento in cui il consiglio dei ministri varerà il decreto straordinario per le risorse (300 milioni) e la norma che insedierà la cabina di regia a Palazzo Chigi. Quei nomi sono Carlo Fuortes e Alfonso Sabella, due tecnici, due uomini della società civile ma con un profilo dichiaratamente di sinistra. Che secondo il segretario dem è necessario per riconquistare i voti nella Capitale e per tenere unito il Pd per la sfida decisiva delle amministrative di giugno.
Renzi deve lavorare su due binari nel confronto con la minoranza. Roma e la stabilità. Un primo assaggio della discussione o di una resa dei conti se le cose dovessero andare male si avrà oggi alla riunione dei gruppi parlamentari con il premier. Riunione annunciata da Renzi durante il viaggio in Sudamerica per mettere fine alle polemiche e non avere un percorso accidentato in aula. Qualche intreccio tra manovra e Roma sembra evidente. L’identikit di sinistra diventa necessario nel momento in cui a Largo del Nazareno viene dato per scontato che il candidato sindaco della nuova Cosa rossa sarà l’ex bersaniano e feroce critico della Finanziaria di Renzi, Stefano Fassina. Un osso per niente facile, già votatissimo alla parlamentarie del Pd nel 2012 proprio a Roma, sempre vicino alla causa dei lavoratori e dei sindacati nelle mille vertenze che li contrappongono alle aziende municipalizzate romane. Fassina quindi può togliere voti al Pd e inverare lo spettro più temuto da Renzi, ovvero che il partito non sia capace di portare il suo concorrente nemmeno al ballottaggio, superato dai grillini e da Alfio Marchini, probabile competitor per il centrodestra.
Il dream team dunque come test, come cartina di tornasole delle capacità dei suoi componenti di entrare «in sintonia con la città», il deficit che Renzi rimproverava a Marino. Sabella ha un tratto umano che è stato molto apprezzato da Matteo Orfini. E ha già fatto lo scudo umano durante Mafia capitale con il suo curriculum da magistrato anti-criminalità, di paladino della legalità. Argomenti buoni per contrastare l’avanzata del Movimento 5stelle. L’altra scommessa, più difficile perché poco conosciuta dall’opinione pubblica, è quella di Fuortes. Renzi lo vuole nella squadra a tutti i costi, sebbene alla Cultura si rischi un conflitto di interessi visto che il manager gestisce sia l’auditorium Parco della Musica sia il Teatro dell’Opera. Ma la norma potrebbe essere cucita addosso a Fuortes ed è possibile che alla fine lasci uno dei incarichi per non aver fianchi scoperti. Alle capacità di Fuortes è affidato il compito di dimostrare che la sua candidatura possa essere simile a quella di Giulio Carlo Argan, lo storico dell’arte che inaugurò le giunte di sinistra nella capitale. Argan ovviamente era più un intelletuale mentre Fuortes è in particolare un manager della cultura, con una serie di clamorosi successi alle spalle. L’Auditorium è uno dei pochi fiori all’occhiello della Capitale, il Costanzi è stato salvato dal disastro, è stato recuperato il rapporto con l’orchestra e oggi i conti sono in attivo. Ecco, sebbene meno visibile, l’attività di Fuortes richiama il ruolo svolto all’Expo da Giuseppe Sala, non a caso favorito per la corsa Pd a Milano. 



La capitale immorale


Defenestrazione dall’alto di un sindaco inviso al potere. Marino, ostacolo democraticamente rappresentativo, viene sostituito con la figura del commissario
E il Vaticano scarica sulla città la sua forza. Senza misericordia

di Alberto Asor Rosa il manifesto 3.11.15

Adesso basta. Roma ha più del doppio degli abitanti di Milano (2.869.169 contro 1.342.385). Quanto ad estensione, il confronto non è neanche pensabile (1.287,36 kmq contro 181,67; se si parla delle due città metropolitane, il divario si allarga a dismisura: 5.363,28 kmq, contro 1.575). Se caliamo la mappa di Milano su quella di Roma, Milano parte dal Quarticciolo e arriva a Porta San Giovanni: non entra neanche nella porzione storica e monumentale della Capitale. Non si capisce quale senso abbia la vana chiacchiera di trasferire il modello dell’una (se c’è) sull’altra.
Naturalmente, si può governare bene una città di medie dimensioni (come Milano) e male una metropoli (come Roma), come anche viceversa. Le dimensioni e i rapporti, però, sono incommensurabili. Roma è al quarto posto fra le grandi città europee, dopo Londra, Berlino e Madrid, non a caso tutte capitali dei rispettivi Stati. Milano si colloca nel campo delle città di medie dimensioni (al tredicesimo posto al livello europeo, credo). Se si deve ipotizzare un rapporto a livello mondiale, l’unica città italiana degna d’esser presa in considerazione è Roma (per questi, e soprattutto per altri motivi, sui quali tornerò più avanti).
Milano “capitale morale”? Qualche anno fa apparve un bel libro, Il mito della capitale morale, forse recentemente ristampato, di Giovanna Rosa (non ci sono parentele, neanche a metà, fra me e l’autrice): libro che nessuno cita, e nessuno mostra di aver letto. Il “mito”, appunto: non “la capitale morale”. Un lungo percorso dal Risorgimento a oggi, fatto di fatti, illusioni e disillusioni, cadute e riprese, riprese e cadute.
Del resto, se prendessimo alla lettera per Milano la definizione di “capitale morale”, dovremmo chiederci sul piano storico come sia stato possibile che da siffatta realtà politico-urbanistico-civile siano precipitate sull’Italia le due sciagure politico-istituzionali ed etico-politiche più terrificanti dell’ultimo secolo e mezzo, Benito Mussolini e Silvio Berlusconi. Che Torino, culla della nostra unità nazionale, per questo e per altri motivi, sia più degna di tale definizione?
Su Roma, la Capitale, l’unica città italiana in grado di entrare in una competizione e classificazione internazionale, sono precipitate nel tempo tutte le contraddizioni e tutto il degrado di cui è stato capace (o incapace) questo disgraziato paese, — l’Italia.
Roma è, ahimè, il luogo del potere e dei Palazzi: la Presidenza della Repubblica, la Presidenza del Consiglio e il Governo, il Senato, la Camera dei Deputati, i Ministeri, gli organismi dirigenti della Magistratura, della scuola, dell’Università, dei corpi separati dello Stato, ecc. ecc. Tutti, ovviamente, gestiti al novanta per cento da non romani: tutti orientati a difendere interessi che con Roma non avevano niente a che fare.
Roma, per quanto mi concerne, è se mai vittima, non carnefice.
Quando ha preso democraticamente la parola, lo ha fatto poco e male. Con Alemanno ha dato il peggio di sé, sul piano etico, civile e amministrativo. Anche questo oggi è ampiamente e vistosamente dimenticato e accantonato, per non interferire neanche mentalmente con le procedure di esecuzione sommaria dell’ultimo Sindaco.
A Roma, poi (anche questo avete dimenticato?), c’è il Vaticano. Il Vaticano è al tempo stesso una grande potenza religiosa e una grande potenza temporale, terrena. E, — lo dico con assoluta persuasione, — non può essere che così. Non può essere che così, nessuno, né dal basso né dall’alto, potrebbe impedirlo (Gesù, unico, per volerlo fare, è finito nell’orto di Getsemani e poi sulla croce).
La proclamazione del presente Giubileo ne è la più vicina e lampante testimonianza.
Esprimo il mio stupore: non c’è commentatore di qualche portata che si sia soffermato come meritava su questo passaggio. Un bel giorno Papa Francesco proclama un Giubileo straordinario della Misericordia. E’ l’ultima mazzata: trenta milioni di pellegrini e migliaia di cerimonie nella Capitale, molto immorale forse, ma di certo molto, molto strapazzata. Siccome è improbabile che il Giubileo si svolga dentro le mura dello Stato Vaticano, che del resto non accoglie quasi nulla di quanto lo riguarda, la città intiera ne sarà travolta.
Ci sono state consultazioni preventive in proposito? Qualcuno, al di qua del Tevere, ha risposto che andava tutto bene? Improbabile. Dunque, il Vaticano dispone di Roma come fosse cosa sua (è già accaduto altre volte nella storia, anche dopo il 1870). I poteri democratico-rappresentativi a quel punto sono spinti inevitabilmente in un angolo. Cosa potrebbe dire o fare di fronte a un messaggio universalistico-religioso di tale portata? Ma il messaggio universalistico-religioso si trasforma  rapidamente in una serie di Ukase politico-temporali sempre più assillanti e persino da un certo momento in poi anche violenti: avete chiuso le buche? Avete rattoppato le metropolitane? A che punto siete con l’accoglienza? Siete in grado di garantire il ristoro? E la sicurezza, la sicurezza, come va?
Il grande evento di Misericordia vale dunque per tutto il mondo (così almeno si dice): ma non vale per Roma, né per i suoi cittadini, né per i suoi amministratori, che infatti, in tutte le occasioni possibili, sono trattati a pesci in faccia, cooperando inevitabilmente (e diciamo consapevolmente) alla distruzione della loro credibilità e del loro prestigio.
A Roma non ci sono gli “anticorpi”? Sì, questo è un po’ vero. Infatti, a Roma, nelle scorse settimane, e con accelerazione crescente negli ultimi giorni, si è consumata la più imponente e capillare distruzione di anticorpi che si sia mai vista in Italia dalla Liberazione a oggi.
Anche qui esprimo il mio stupore: osservatori, avete colto davvero quel che è accaduto a Roma nelle scorse settimane e con accelerazione crescente negli ultimi giorni? Il giudizio sul comportamento e le attitudini dirigenziali del sindaco Marino, — un “marziano”, un inetto, un incapace, un supponente, da un certo momento in poi anche uno poco corretto, — non ha niente a che fare con lo svolgimento e la conclusione della faccenda.
Se si dovessero rimuovere dai loro incarichi Sindaci, Presidenti delle Regioni, Ministri, Direttori Generali, Rettori, ecc. ecc., — perché “marziani”, inetti, incapaci, supponenti, poco corretti, ecc. ecc, — assisteremmo in poco tempo al crollo verticale dell’intera macchina politico-istituzionale italiana (sarebbe comunque affare della magistratura, come talvolta già accade, non dei politici).
Quel che invece è accaduto a Roma è la defenestrazione dall’alto, — per vie politiche, non legali, intendo, — di un uomo politico che non era in grado (e probabilmente non voleva) garantire le attese dei principali poteri interessati alla vicenda: la nuova forma della politica oggi dominante in Italia, il Vaticano, i poteri economici all’arrembaggio della nuova torta.
Il risultato di tutta la vicenda è che esiste oggi in Italia un Potere Supremo il quale è in grado di sbarazzarsi di qualsiasi ostacolo democraticamente rappresentativo, sostituendolo con la figura fin qui anomala ed eccezionale del Commissario, il quale ovviamente è, e non potrebbe non essere, un delegato al servizio di quel medesimo Potere Superiore. Il quale, essendo anch’esso non determinato dal voto popolare ma, diciamo, da una sorta di autocommissariamento del medesimo (com’è noto, il nostro Presidente del Consiglio non ha goduto di tale investitura), tende a riprodursi per geminazione secondo le medesime modalità.
Roma, se è e resta la Capitale d’Italia, la quarta città europea, una delle più importanti del mondo, dal punto di vista del patrimonio artistico e culturale è senza ombra di dubbio la prima.
Questo suscita da un bel po’ di tempo una corrente d’invidia e di gelosia, nazionale e internazionale, da far spavento. Essa si collega, e strettamente si congiunge, al progetto dell’attuale potere politico italiano di farne da tutti i punti di sta una cosa propria.
A Roma, più che in qualsiasi altra città italiana, abbiamo a che fare con una massa di potere inimmaginabile altrove: Vaticano, poteri economici forti, potere politico di tipo nuovo, incline al commissariamento della Nazione ovunque sia possibile e a suo avviso necessario, procedono affiancati, e nella medesima direzione (non c’è bisogno di pensare a incontri segreti a Via dei Penitenzieri o a Largo Chigi o magari a Palazzo Vecchio a Firenze: basta pensarla nello stesso modo).
Ce la faranno Roma, e i romani, a rovesciare questa mostruosa tendenza? I romani, senza i quali anche il mito di Roma rischia di diventare un’astrazione, sono delusi, confusi, smarriti. Come volete che siano? Avevano votato trionfalmente per Marino esattamente per dare una svoltata alla storia. Ora forze potenti della politica e dell’informazione si affannano quotidianamente a spiegar loro che Marino era semplicemente un “marziano”, un inetto, un incapace, un supponente, uno poco corretto, ecc. ecc., e a spiegarglielo sono esattamente innanzitutto quelli del suo proprio partito, quelli che avevano chiesto loro di votarlo (neanche uno dei consiglieri comunali “dem” che abbia resistito alla sferza del capo, che vergogna!).
Però, al tempo stesso, monta l’indignazione, anzi, una rabbia cupa e violenta, contro tutti quelli che hanno realmente combinato tutto questo, il Potere Superiore e i suoi molteplici alleati.
La Capitale immorale giace così sotto il peso degli errori commessi, quelli suoi, certo, ma soprattutto, soprattutto quelli degli altri.
Come ultimo schiaffo viene inviato a governarla un Prefetto dal nome beneaugurante di Tronca. All’Expo, — per sue dichiarazioni, — si è occupato dell’ordine pubblico; in precedenza, dei Vigili del fuoco. Competenze, queste, indubitabilmente adeguate a governare la metropoli Roma, le sue contraddizioni e lacerazioni, e a suscitare in lei i nuovi anticorpi. Nel frattempo il Potere Superiore garantisce che il Giubileo sarà un successo come l’Expo.
Tutto è money, d’accordo, ma forse qui siamo andati un po’ troppo oltre. Il Vaticano soddisfatto annuisce.
Per sottrarsi a questa nefasta spirale, ed evitare altre cantonate, ci vorrà un lavoro lungo e in profondità, razionale, sì, ma anche rabbioso. Il tempo delle mediazioni è finito, ne comincia un altro, meno disponibile alle prese in giro.
Se ci sono voci disposte a parlare in questo senso, si facciano sentire presto. 

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