domenica 8 novembre 2015

I Saggi di Proust

Marcel Proust: Saggi, a cura di Mariolina Bongiovanni Bertini e Marco Piazza, Il saggiatore, Milano, pagg 974, € 75.00

Risvolto
Autore centrale del canone letterario novecentesco, ricordato per quella fluviale opera-mondo e insuperabile costruzione romanzesca che è Alla ricerca del tempo perduto, Marcel Proust ha accompagnato, lungo tutto l’arco della sua vita, l’attività narrativa a quella saggistica, consegnando alla posterità un’impressionante messe di recensioni, articoli, interventi di critica letteraria e del gusto, riflessioni teoriche legate al signifi cato dell’arte, alla sua permanenza, alla sua possibilità di offrire – a chi legge come a chi, rapito, osserva una statua antica in cima a una colonna o una guglia contro il cielo del mattino – specchi in cui vedere e capire se stessi. Padrone di una lingua dalle risorse inesauribili e dotato di un’erudizione mai fi ne a se stessa e sempre impiegata per leggere in profondità il libro del mondo, Marcel Proust fonde in questi Saggi – che il Saggiatore presenta nell’edizione integrale curata da Mariolina Bongiovanni Bertini e Marco Piazza – cronaca e racconto, analisi e divagazione, engagement e divertissement, minando le tradizionali distinzioni di genere e registro. Una recensione di John Ruskin è allora l’occasione per un’evocazione immaginifica di Venezia, e la ricusa di uno dei critici più importanti dell’Ottocento francese – il famoso Contro Sainte-Beuve, qui arricchito di materiali finora inediti in Italia – si trasforma in uno dei più lucidi documenti di teoria letteraria del ventesimo secolo. Questa raccolta, che dai primi componimenti scolastici arriva fi no alle più compiute elaborazioni critiche della maturità – come quella, rimasta celebre, sullo stile di Gustave Flaubert –, è un prisma privilegiato attraverso cui guardare a Marcel Proust e, nel suo tracciarne la chiara parabola umana e artistica, si rivela uno strumento imprescindibile a chi ne voglia avvicinare con piena consapevolezza l’opera letteraria.

Proust come non lo avete mai letto


Nei saggi tracce di «Recherche»
Giuseppe Scaraffia
Nel febbraio 1908 un’amica aveva regalato a Marcel Proust cinque quaderni lunghi e stretti dalle copertine liberty. «Devo farne un romanzo, uno studio filosofico?... Sono un romanziere?» Anche quando ne parlava agli amici restava indeciso. «Ho in cantiere: / uno studio sulla nobiltà / un romanzo parigino / un saggio su Sainte-Beuve e Flaubert / un saggio sulle donne / un saggio sulla pederastia (non sarà facile pubblicarlo) / uno studio sulle vetrate / uno studio sulle pietre tombali / uno studio sul romanzo». 
L’intricata pista avrebbe portato al Contro Sainte-Beuve e alla Ricerca del tempo perduto. Questa edizione a cura dell’esperta Mariolina Bongiovanni Bertini raccoglie tra tutti i saggi anche questi primi passi. Leggerli è come curiosare nell’atelier abbandonato da un artista, trovando gli oggetti che l’hanno ispirato, gli schizzi preparatori, dei frammenti già all’altezza dell’opera suprema. Ognuno di essi, persino il ritratto lievemente pompier del gladiatore morente o qualche passo delle opere giovanili ha in sé il germe della Ricerca del tempo perduto che splende come una piccola vena d’oro. 

Proust pensava di non essere d’accordo con l’importanza attribuita dal grande critico dell’800, Sainte-Beuve, alla biografia di un autore. Nelle sue esperienze mondane aveva misurato «l’abisso che divide lo scrittore dall’uomo di mondo», un abisso che aveva tentato invano di colmare stringendo intense amicizie con quelli che gli sembravano gli elementi più illuminati dell’aristocrazia. Amicizie sempre deluse, come testimonia il sarcastico ritratto del principe Radziwill, una rara testimonianza dell’ironia profonda che si nascondeva come un pugnale tra le pieghe sontuose della sua gentilezza. «Scrivere un romanzo o viverne uno non è la stessa cosa, e tuttavia la nostra vita non è separata dalle nostre opere» e nessuno più di lui ha impastato la sua opera con la sostanza ancora tiepida della sua vita.

Dopo la scomparsa dei genitori si era trasferito in un nuovo appartamento, in boulevard Haussmann per allontanarsi dalla casa paterna che per lui era «il vero e caro camposanto». L’aveva scelto malgrado i suoi difetti – i rumori della strada, la polvere sollevata dal traffico e la prossimità, dannosa per la sua asma, degli alberi – per un motivo particolare: «Non avrei il coraggio di vivere in una casa che mia madre non avesse mai visto». 
Quando aveva fatto foderare di sughero la sua stanza in un primo tempo aveva pensato di farla affrescare da Fantin-Latour, poi aveva desistito. Gli arredi provenivano per lo più dalla camera da letto della madre. Proust non badava all’estetica, gli bastava che fossero impregnati di memoria, come la scrivania di noce degli avi materni, «un vecchio amico molto brutto, ma che ha conosciuto cosi?bene tutto quello che ho amato di più».
Si svegliava lentamente verso le 22,30. Prendeva due tazze di un caffè di una marca particolare, macinato finissimo. Se il campanello suonava due volte la cameriera gli portava un croissant comprato in una rinomata pasticceria, ma spesso il dolce restava intatto.
«Sono giunto a un momento della mia vita o, se si preferisce, mi trovo in quelle circostanze in cui si può temere che le cose che più desideravamo dire […] ma che non abbiamo letto da nessuna parte, che si può presumere non verranno mai dette se non lo diciamo noi […] non si possa più, improvvisamente, dirle. Noi ci consideriamo come i depositari, soggetti a scomparire da un momento all’altro, di segreti intellettuali esposti a scomparire con noi. E vorremmo vincere la forza d’inerzia della nostra pigrizia anteriore, obbedendo al bel comandamento del Cristo nel Vangelo di san Giovanni: Lavorate finché avete ancora la luce».
Nel 1907 Proust aveva assunto, malgrado i loro difetti, una coppia di coniugi perché erano stati al servizio dei genitori che continuava a rimpiangere. Non sapeva che in privato la coppia come commentava il suo lavoro: «Le sue frasi sono noiose come lui, ma vedrai che quando sarà morto avrà successo».
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Nel cantiere del giovane Proust 
Un volume diSaggicon diversi inediti: consentono di seguire il generarsi di quella “terza forma” di scrittura che si realizzerà nellaRecherche 
Gabriella Bosco Stampa 13 11 2015
Un migliaio di pagine di  Saggi proustiani, con una importante sezione finora inedita in Italia: appena giunto in libreria a cura di Mariolina Bongiovanni Bertini, autorità assoluta in materia, e di Marco Piazza, con la collaborazione di Giovanni Girimonti Greco, questo grosso volume è una miniera, per chiunque ami la 
Recherche e desideri entrare nel cuore di quello che fu il suo lungo, complesso cantiere. 
Sulla copertina candida campeggia, scontornata, l’immagine di Marcel giovinetto, tratta da una delle celebri fotografie che gli scattò Nadar. La scelta non poteva essere più felice. L’espressione del volto, ancora bambino eppure già uomo per il tono dello sguardo, il grembiule, il collettone bianco, il fiocco sul davanti e però anche la catena d’orologio che dall’asola raggiunge il taschino sul cuore, sono un efficace ritratto di ciò che il volume contiene. 
Il soggetto molteplice
Le tantissime pagine infatti, nel loro insieme, propongono una carrellata straordinaria attraverso le mille sfaccettature della personalità di Proust che ne emergono una dopo l’altra. Dal giovane che ammira le toilettes delle attrici e delle dame aristocratiche nei salotti più eleganti di Parigi all’erudito traduttore di Ruskin che si appassiona per il cristianesimo medievale, mettendo insieme le tessere del mosaico che da uno all’altro dei testi raccolti si compone, emerge poco alla volta il soggetto molteplice che si nasconde dietro alla voce narrante della Recherche la quale non si identifica pienamente con quella dello scrittore, ma certo le assomiglia in modo impressionante.
In questo punto cruciale consiste il nodo che gli inediti aiutano a capire. Nell’oscillazione tra io profondo e io superficiale, personaggio del narratore e persona dell’autore, si elabora via via il progetto. A lungo però Proust esita sulla forma da dare a questa grande creazione che è già tutta - infanzia, vita mondana, mondo di Sodoma, riflessioni sull’arte - dentro alla sua mente, mentre ancora è incerto se debba essere un romanzo o un saggio. 
Romanzo e testo critico
Ed ecco che i «frammenti narrativi» ora pubblicati per la prima volta, con chiarezza introdotti da Marco Piazza e da lui stesso tradotti, svelano ciò che fino a oggi per il pubblico italiano era rimasto oscuro: si è sempre detto che all’origine della Recherche c’era l’abbozzo di quello che avrebbe dovuto essere un testo contro uno dei critici più influenti dell’Ottocento in Francia, Sainte-Beuve. Contro il suo metodo, che si basava su un approccio interpretativo secondo Proust troppo biografico. 


L’edizione di quel testo, postuma, cui venne dato il titolo inventato di Contro Sainte-Beuve, era però conosciuta da noi nella versione fornita da Pierre Clarac (quella presente negli Scritti mondani e letterari editi da Einaudi nel 1984, curati e tradotti già allora da Mariolina Bertini, e di cui il presente volume è, con l’aggiunta degli inediti, ripresa): una versione, quella di Clarac, che - con l’intento di presentare un’opera critica coerente - aveva espunto i brani di racconto, spesso autobiografico, scritti da Proust in quella fase. Poterli leggere, adesso, consente di seguire il progressivo generarsi di quella terza forma di scrittura che si realizza a pieno nel capolavoro: romanzo indubbiamente, ma insieme discorso critico, teorico ed estetico.

Mamma, il mioarticolosul Figaro!” 

Marcel Proust  stampa 13 11 2015

Pensavo a un articolo che avevo inviato già da molto tempo al Figaro, e di cui avevo pure corretto le bozze; in seguito ogni mattina avevo sperato di trovarlo sul giornale, poi avevo smesso di sperarlo. E mi domandavo a quel punto se valesse la pena scriverne altri. Quando riaprii gli occhi, il giorno aveva fatto la sua comparsa. Subito dopo udii che in casa tutti si stavano alzando. Le otto era l’ora in cui la mamma sarebbe entrata per darmi la buonasera (avevo già preso l’abitudine di non dormire che di giorno, mi addormentavo dopo l’arrivo della prima posta della giornata).
Ben presto entrò anche la mamma. Non c’era bisogno di esitare quando si voleva capire che cosa stava facendo. Siccome durante tutta la sua vita non ha mai pensato una sola volta a sé stessa, e siccome il solo fine delle sue più piccole azioni come di quelle più grandi è sempre stato il nostro bene, e, a partire dal momento in cui mi sono ammalato, e in cui si è dovuto rinunciare al mio bene, a quel punto il suo fine è diventato il mio piacere e il mio sollievo, era abbastanza facile, con questa chiave che ho posseduto fin dal primo giorno, indovinare le intenzioni dei suoi gesti e scorgermi in cima a esse. 
Quando vidi, dopo che lei mi ebbe dato il buongiorno, il suo viso assumere un’aria di distrazione, d’indifferenza, mentre posava Le Figaro vicino a me - ma così vicino che non potevo fare un movimento senza vederlo -, quando la vidi, subito dopo averlo fatto, uscire precipitosamente dalla camera con una foga inconsueta, come l’anarchico che ha piazzato una bomba, e spingere via nel corridoio la mia vecchia governante che stava entrando proprio in quel momento e che non comprese che cosa stava accadendo di così prodigioso nella camera, a cui non doveva assistere, capii immediatamente ciò che la mamma aveva espressamente voluto nascondermi, e cioè che l’articolo era uscito, che non mi aveva detto niente per non rovinarmi la sorpresa, e che non voleva che nessuno fosse là a turbare la mia gioia con la sua presenza, o solamente obbligarmi a dissimularla per pudore. […]
Aprii il giornale, e guarda! Ecco un articolo sul mio medesimo argomento: ma no, è inammissibile, proprio le stesse parole! Dovrò protestare. Ma come! Ancora le medesime parole, la mia firma… È il mio articolo! Per un secondo, tuttavia, il mio pensiero, sviato dalla velocità acquisita e forse già un po’ affaticato a quest’ora, continua a credere che non sia lui, come i vecchi che continuano un movimento già iniziato, ma velocemente ritorno all’idea, è il mio articolo. […]
Prima di andare a letto, desideravo sapere come era parso il mio articolo alla mamma:
«Félicie, dov’è la signora?».
«La signora è nel suo stanzino da toilette, la stavo pettinando. La signora credeva che il signore stesse dormendo».
Approfitto del fatto che sono ancora alzato per entrare nella stanza della mamma, dove il mio arrivo, a un’ora simile (l’ora in cui abitualmente sono appena andato a letto e mi sono addormentato) è del tutto imprevisto. La mamma è seduta davanti alla sua toilette, con una gran vestaglia bianca, i bei capelli neri sciolti sulle spalle. 
«Chi vedo, il mio ragazzo a quest’ora?».
«Bisogna che il mio padrone abbia preso la sera per la mattina».
«No, ma il mio ragazzo non avrà voluto andare a letto senza aver parlato del suo articolo con la sua mamma».
«Come lo trovi?».
«La tua mamma, che non ha studiato nel Grand Cyre, lo trova molto bello».
«Vero che il passo sul telefono non è male?».
«È bellissimo, come avrebbe detto la tua vecchia Louise, non so dove questo bambino va a trovare tutte queste cose, di cui non ho ancora sentito parlare, io che sono arrivata alla mia età».
«No, ma seriamente, se tu lo avessi letto senza sapere che era mio, lo avresti trovato bello?».
«Lo avrei trovato bellissimo, e avrei creduto che fosse di qualcuno molto più intelligente del mio pappagallino, che non è in grado di dormire come fanno tutti e che a quest’ora se ne sta nella stanza della sua mamma in camicia da notte. Félicie, fate attenzione, mi state tirando i capelli…».
«Aspetta, ancora una cosa; supponiamo che tu non mi conosca, che tu non abbia saputo che in questi giorni doveva esserci un mio articolo; credi che lo avresti visto? A me pare che quella parte lì del giornale non la legga nessuno».
«Ma tonterello mio, come vuoi che non la vedano? È la prima cosa che si vede aprendo il giornale. Ed è un articolo di cinque colonne!». © Il Saggiatore Traduzione di Marco Piazza

Qualche isola narrativa in un mare di interventi per orientare il gusto 
Classici francesi . Una nuova edizione dei "Saggi" di Proust: unica novità di rilievo, rispetto alla edizione Einaudi del 1984, alcuni «frammenti narrativi» recuperati dai «Cahiers Sainte-Beuve»: la serie dei quaderni che l'autore della "Recherche" elaborò attorno al 1909Ivan Tassi  Alias Manifesto 20.12.2015, 6:00
Interrogandosi sulle caratteristiche del Saggio moderno, Virginia Woolf osservava nel 1925 che, in quanto genere letterario, il saggio può prendersi la libertà di essere «corto o lungo, serio o scherzoso», e può decidere di parlare di «Dio e Spinoza», così come delle «tartarughe». Non sappiamo se Proust sarebbe stato disposto ad approvare margini di manovra tanto ampi, certo è che il titolo del volume che ripropone oggi i suoi Saggi (a cura di Mariolina Bongiovanni Bertini e Marco Piazza, Il Saggiatore, pp. 974, euro 75,00) rischia di costituire la fonte di un possibile equivoco. Non tutti i testi presenti nella raccolta hanno infatti il diritto di essere catalogati come saggi: accanto a prove di più ampio respiro – come il Contro Sainte-Beuve – sfilano nel libro anche articoli, recensioni, prefazioni, cronache mondane e scritti d’occasione; e ancora studi sull’arte, preziose interviste, risposte a inchieste di varia natura, assieme a note di letteratura, costume e pittura. Se da un lato questi brani ci consentono di pedinare Proust lungo l’arco della sua carriera, dall’altro, nella loro varietà, finiscono per trascinare alla deriva chiunque non conosca lo scrittore o non abbia mai affrontato il gigantesco romanzo – la Recherche – che assorbì l’ultimo quindicennio della sua esistenza.
Più proficuo sarebbe stato, probabilmente, mantenere il titolo Scritti mondani e letterari, con cui la raccolta uscì nel 1984 presso Einaudi e di cui questa edizione è, per più di nove decimi delle sue mille pagine, una ristampa, che porta invariate tanto l’introduzione generale quanto la scelta, le note e le traduzioni dei testi. La novità di rilievo è invece costituita dalla sezione che presenta per la prima volta al lettore italiano, con l’introduzione e la cura di Marco Piazza, alcuni «frammenti narrativi» recuperati dai cosiddetti Cahiers Sainte-Beuve: una serie di quaderni che Proust elaborò attorno al 1909, in concomitanza a uno studio critico su Sainte-Beuve.
Fino ad ora, siamo stati abituati a considerare il Contro Sainte-Beuve come un insieme di prose di natura saggistica, incompiute ma funzionali alla Recherche: una sorta di «anticamera» – suggeriva Francesco Orlando – dove Proust, mentre denuncia gli errori del metodo critico di Sainte-Beuve, getta le fondamenta teoriche di un’estetica che poi ritroveremo a sostenere l’immenso edificio del suo romanzo.
Attraverso i frammenti inediti dei Cahiers, vediamo invece affiorare nel cuore del progetto saggistico una serie di isole narrative, pronte innanzitutto a testimoniarci come la forma saggio, a una certa altezza, debba essersi rivelata a Proust uno strumento inadeguato, limitante e incapace di non lasciarsi sommergere dalla portata invasiva della scrittura romanzesca.
Tuttavia, il laboratorio di quella stessa scrittura si spalanca davanti a noi sotto una luce imprevista, alla stregua di un cantiere ancora percorso da tensioni divergenti.A stupirci non è soltanto la presenza, nei frammenti inediti, di temi come «il risveglio nella camera buia», che poi, una volta rimaneggiati, andranno a costituire alcune pietre miliari della Recherche. Fanno la loro comparsa in questi passi anche elementi di carattere autobiografico che lo scrittore si sforzerà di manipolare, sopprimere o nascondere con cura quando giungerà al romanzo. Basti pensare che il narratore dei frammenti, oltre ad avere in comune con il romanziere della Recherche un fratello chiamato Robert, non mostra nessuna difficoltà ad attribuirsi il nome e il cognome di Marcel Proust, come se stesse architettando stralci di un’autobiografia a venire, o di una singolare, provvisoria auto-fiction.
«Che la Recherche non sia un’autobiografia (e soprattutto non debba essere letta come un’autobiografia) – ha avvertito Mario Lavagetto fin dal 1991 – è un risultato ormai acquisito». E dal momento che il romanzo, affrettandosi a neutralizzare spie di plateale identificazione con la vita del proprio autore, metterà in scena un narratore figlio unico, da non confondere con Proust per nessun motivo, ci troviamo al cospetto di una fase del tutto particolare della scrittura. Se il saggio ha ormai mostrato la sua inadeguatezza, i legami di parentela con la vita dell’artista non sono ancora stati travolti dalle esigenze dell’opera letteraria, che solo in un secondo momento – ha osservato Roland Barthes – si incaricherà di spezzarli, confonderli e «disorganizzarli».
A riabilitare il valore e l’importanza della prosa saggistica, ad ogni modo, intervengono a questo punto gli altri testi dei Saggi, che proprio a partire dall’analisi del rapporto fra arte e vita lasciano poco a poco trasparire alcune comuni linee guida. Nella maggior parte delle occasioni, Proust sembra infatti accanirsi a promuovere un’ostinata operazione di ribaltamento delle abitudini di ricezione dell’opera letteraria. Lo vediamo innanzitutto impegnato a dimostrarci, nel saggio sullo «Stile» di Flaubert, che non nella biografia, bensì nella «grammatica» e nella lingua di uno scrittore si annidano le «leggi» di costruzione della sua opera e la sua peculiare «visione» del mondo. La letteratura, leggiamo del resto nella prefazione a Tendres Stocks di Paul Morand, rappresenta il «supremo compimento» della vita, ma deve essere intesa come lo spazio sacro dove è sopravvissuta la musica segreta di «un’anima» profonda, del tutto diversa dalla voce con cui l’artista ha recitato la propria parte nel teatro della società. Inutile allora, ripete Proust in più occasioni, interrogare «l’uomo perituro» che si aggira nei salotti.
I Saggi invitano piuttosto a rimettersi in qualche modo «in ascolto»: come se ad ognuna di queste forme d’intervento, anche a quelle di carattere più occasionale, venisse demandato il compito di ricordare che sotto gli oggetti, e in particolare nei libri, si nasconde una sorta di doppio fondo in grado di comunicare la sua «verità».L’obiettivo è quanto mai arduo, visto che a intralciare le procedure si staglia la minaccia dell’imperizia e dell’incomprensione. «Ho l’impressione che non si sappia più leggere», lamenta Proust a più riprese, inventariando le idiosincrasie e le sviste di un pubblico abulico, sopraffatto dal chiacchiericcio dei luoghi comuni e sempre meno disposto a riconoscere le miracolose rivelazioni della letteratura. È verso un simile uditorio che i testi dei Saggi, in maniera del tutto strategica, si impegnano allora a esercitare una peculiare azione propedeutica e conoscitiva.
Non è un caso se proprio qui – precisa Mariolina Bongiovanni Bertini – vediamo radunarsi temi quasi «ossessivi» che «attraverso incarnazioni diverse» approderanno alla Recherche. Per Proust è decisivo farci ad esempio riconoscere, con una battuta di anticipo sul romanzo, che le opere letterarie sono espressione di «leggi misteriose» e manifestazione della voce un «io profondo» che si annida nell’artista come «Mr Hyde». In questo modo – lo ammette in uno dei saggi su Baudelaire – Proust tenta di «orientare il gusto» e l’educazione letteraria degli eventuali, futuri lettori, fornendo di volta in volta una serie di istruzioni preparatorie che si riveleranno indispensabili al momento di affrontare gli enigmi e le sfide del suo romanzo.

Resta allora da chiedersi in che misura le indicazioni di Proust riescano oggi a raggiungere il lettore di questi Saggi.
Per quanto le osservazioni di Mariolina Bongiovanni Bertini continuino a offrirci una guida eccellente nella ricognizione, la mancanza di una introduzione generale aggiornata lascia interdetti e interrogati sulla evidente svalutazione dei «progressi» compiuti negli ultimi trent’anni dagli «studi proustiani»; studi che, dopo essere stati evocati in una nota al testo, vengono riportati in una bibliografia ragionata alla fine del volume.
La ristampa accresciuta dei Saggi evita tra l’altro di fare i conti con l’attuale crisi della critica letteraria, che rispetto ai tempi della precedente edizione ha assistito a una sconcertante sparizione dei suoi ascoltatori: come tornare a catturare il pubblico riproponendogli gli stessi strumenti di indagine? E perché non farsi invece suggerire dalle folgoranti intuizioni di Proust, o dalle sue lamentele, alcune vie d’uscita per superare l’impasse? All’orizzonte dei Saggi, la Recherche ci attende con le sue incessanti sfide all’interpretazione: ci piace pensare che la critica abbia ancora qualcosa di nuovo da dirci in proposito.

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