domenica 15 novembre 2015

Jaspers e la gelosia

Delirio di gelosia
Karl Jaspers: Delirio di gelosia, Raffaello Cortina

Risvolto
Il delirio di gelosia mette a nudo un soggetto ferito, che ha perso il controllo di sé e del mondo che lo circonda. A tale fenomeno patologico è dedicato questo scritto di Jaspers, pubblicato qui per la prima volta in italiano. Concentrando la propria attenzione sulla vita dei pazienti, attraverso analisi lunghe e minuziose, Jaspers ci consente di entrare nella vita di soggetti deliranti, uomini e donne presi in scacco dalla propria ossessione. La domanda che attraversa il saggio riguarda la possibilità o meno di “comprendere” questi mondi, queste vite, questi deliri. Cercando di distinguere tra la gelosia generata nello sviluppo della personalità e quella connessa a un mutamento fisiologico del cervello, obiettivo di Jaspers è capire fin dove, quando è vittima di spettri spaventosi che ne offuscano la ragione, l’uomo agisce ancora come soggetto libero e dove diventa mera espressione di un corpo malato. - See more at: http://www.raffaellocortina.it/delirio-di-gelosia#sthash.5dW95Q1M.dpuf
Il delirio di gelosia mette a nudo un soggetto ferito, che ha perso il controllo di sé e del mondo che lo circonda. A tale fenomeno patologico è dedicato questo scritto di Jaspers, pubblicato qui per la prima volta in italiano. Concentrando la propria attenzione sulla vita dei pazienti, attraverso analisi lunghe e minuziose, Jaspers ci consente di entrare nella vita di soggetti deliranti, uomini e donne presi in scacco dalla propria ossessione. La domanda che attraversa il saggio riguarda la possibilità o meno di “comprendere” questi mondi, queste vite, questi deliri. Cercando di distinguere tra la gelosia generata nello sviluppo della personalità e quella connessa a un mutamento fisiologico del cervello, obiettivo di Jaspers è capire fin dove, quando è vittima di spettri spaventosi che ne offuscano la ragione, l’uomo agisce ancora come soggetto libero e dove diventa mera espressione di un corpo malato.

Quando la gelosia diventa delirio

di Francesca Bolino Repubblica 15.11.15
Delirio di gelosia di Karl Jaspers Raffaello Cortina, a cura di S. Achella pagg. 154, euro 12
Se nell’antichità la gelosia era uno slancio appassionato verso qualcosa o qualcuno che si teme di perdere, con l’avvento della modernità qualcosa peggiora. Si trasforma in male di vivere, in impossibilità di dominare se stessi e gli altri. In breve: in delirio. Con il Novecento, il delirio diventa annichilimento di ogni dialettica possibile tra pensiero ed essere. Proprio in questo quadro si inserisce il lavoro di Karl Jaspers. In questo prezioso testo per la prima volta tradotto in italiano, attraverso la descrizione della vita di pazienti, il filosofo tedesco mette in luce come il delirio diventi metafora delle contraddizioni inscritte nell’uomo. L’essere geloso mette in gioco l’integrità della soggettività. L’esperienza delirante distorce il giudizio di realtà e la capacità di agire e reagire. E dunque viene meno la possibilità di condividere il mondo con gli altri. Così il mondo diventa abnorme. Nel delirio, afferma Jasper «urtiamo contro ciò che è irrimediabilmente perduto nella non verità». 

Sulla zattera della gelosia inevitabile è il naufragio 

Uno studio finora inedito in Italia del filosofo e psichiatra: la sindrome di Otello tra indagine culturale ed esame clinico 

Diego Fusaro Tuttolibri 21 11 2015

Si è soliti pensare che la gelosia rimandi naturalmente all’amore, di cui sarebbe, per così dire, un eccesso che si traduce in patologia del possesso.
Forse, però, a ben vedere, il delirio della gelosia andrebbe posto in relazione con l’egoismo più che con l’autentica passione amorosa. È quanto, nelle sue massime, ci suggerisce La Rochefoucauld: «nella gelosia c’è più egoismo che amore».
Si pensi anche solo alle memorabili pagine della Recherche di Proust dedicate ad Albertine, che altro non sono se non una variazione sul tema del solipsismo amoroso, accompagnata da considerazioni sul tema della gelosia.
A suffragare questo aspetto, in fondo, è il fatto stesso che il lemma «gelosia» (zhlos) rinvii al desiderio bramoso di preservare e custodire ciò che appartiene al singolo io, per ciò stesso sorgendo da un istinto tutt’altro che legato all’altruismo amoroso del donarsi all’amata. Sarà, forse, per questa ragione che nel nostro tempo dell’«amore liquido» e della precarietà affettiva, in cui la stabilità della passione amorosa è sostituita dalla fugacità del godimento autistico dell’io isolato, la gelosia si conserva, coerente con la cifra dell’epoca dell’egoismo rapace e dell’individualismo possessivo. Si rivela prossima al narcisismo più che al sentimento, all’egoismo calcolatorio che all’altruismo donativo. 
Non che nel mondo premoderno la gelosia fosse sconosciuta. Tutt’altro. Le tragedie greche ce ne restituiscono un affresco grandioso. È, tuttavia, con il teatro della modernità che essa diventa passione dominante, a partire da quello che resta, in fondo, il più noto volto di questa patologia nell’evo moderno: l’Otello di Shakespeare, tragicamente in preda a quel «mostro dagli occhi verdi che dileggia la carne di cui si nutre».
L’individualismo radicale e lo spazio dell’interiorità disegnano tanto l’orizzonte di senso del moderno, quanto, a maggior ragione, della gelosia: la quale induce il soggetto ad agire non sulla base di elementi concreti e di effettivi tradimenti, bensì a causa di paure e di fantasmi che si agitano negli antri della sua interiorità, facendolo da ultimo prigioniero di se stesso. 
Già l’Etica di Spinoza distingue tra effetti passivi, nei quali l’uomo è in balia degli eventi, ed effetti attivi, dei quali invece è artefice. La gelosia, proprio come l’ambizione, è una passione triste, che espropria l’uomo della facoltà del controllo di sé e lo rende vittima dei propri fantasmi. E ne dirotta l’intelligenza verso obiettivi di per sé inconsistenti, facendo della gelosia – come notava Nietzsche – la passione più intelligente e, insieme, la massima sciocchezza. 
Intrecciando virtuosamente le proprie competenze culturali e filosofiche con quelle mediche, nel Novecento anche Karl Jaspers si soffermò su questa passione triste: e lo fece dedicandovi, nel 1910, uno studio che ora viene per la prima volta tradotto e pubblicato in lingua italiana, Delirio di gelosia. Un contributo alla questione: «sviluppo di una personalità» o «processo»? 
L’opera di Jaspers è dedicata a un’esplorazione del «delirio di gelosia», studiato tramite l’esame – frutto di lunghe e minuziose analisi – dei vissuti di alcuni pazienti da esso affetti.
A cavaliere tra indagine culturale ed esame clinico, il lavoro di Jaspers si addentra nella vita dei pazienti, uomini e donne deliranti, in balia della passione triste della gelosia, nel tentativo di comprenderne le radici e le conseguenze. 
La domanda che guida e orienta l’analisi di Jaspers potrebbe così essere formulata: fino a che punto il soggetto in preda al delirio di gelosia è ancora in grado di agire come soggetto libero e responsabile e quando, invece, diventa mera espressione di un corpo malato, vittima degli spettri che ne ottundono la mente e ne offuscano la ragione? La sindrome di Otello, come anche potremmo qualificarla, comporta il precipitare del paziente in uno stato di totale passività o resta, nel suo agire, un barlume di libertà? 
Che cosa accomuna il caso dell’orologiaio Julius Klug all’insegnante Max Mohr e agli altri casi esplorati nel testo di Jaspers, tutti vittime del delirio di gelosia? Paure di avvelenamenti, soggettività eccentriche e personalità ipomaniacali, rapidità del costituirsi del «sistema delirante», molteplicità dei sintomi e delle cause: sono questi i principali elementi in comune rinvenuti da Jaspers nel suo studio; dal quale traspare nitidamente un’attenzione focalizzata soprattutto sul prodursi della rottura e della discontinuità nell’esperienza esistenziale dei soggetti che, in una sorta di analogon psicopatologico della «situazione limite», improvvisamente precipitano nel delirio di gelosia. Che è, poi, la prova, dal punto di vista clinico, che la gelosia nasce da un amore esasperato del proprio io che porta alla perdita dell’altro e, alla fine, anche di se stessi.

Gelosia Può avere risvolti positivi Ma se diventa paranoia sono guai tremendi
La conosciamo, la ritroviamo in noi così come in un quadro di Munch, in «Romanzo criminale» o nelle pagine del filosofo Karl Jaspers. Due le sue radici: il senso di inferiorità e vulnerabilità, e il desiderio di chi non si crede all’altezzadi Giancarlo Dimaggio Corriere La Lettura 22.11.15
Inizia il giorno in cui compilo l’elenco dei gelosi. Il Dandi e Scialoja, il ladro e la guardia, uno dei capi della Banda della Magliana e il commissario che ossessivamente gli dà la caccia in Romanzo criminale , se si guardassero con attenzione allo specchio vedrebbero riflesso il volto dell’altro. Due destini, la stessa persona. Julius Klug, orologiaio di fede ultramontana internato in manicomio a Heidelberg nel 1895, apparirebbe nella stessa immagine. Nel Munchmuseet di Oslo è rinchiuso un altro caso di somiglianza: Edvard Munch. Manca la gelosia femminile. L’esempio perfetto: Medea. Ho dati sufficienti. La scena del crimine si ripete: il triangolo amoroso. L’innesco dell’esplosione è lo stesso: gelosia.
Il Dandi, nella sua arroganza, vuole per sé la mejo mignotta de Roma . Quindi cerca la donna che tradisce, per definizione. Scialoja, quando la interroga, sa che Patrizia è la donna del Dandi. E se ne innamora. Per tutta la serie si rincorreranno in un gioco a sconfiggere il rivale, a rubargli la femmina. Lei sfugge con sistematica freddezza, tradisce uno e inganna l’altro. Nella ricerca di salvezza andrà a rifarsi una vita in provincia, da fioraia. Il Dandi la scoverà, giusto per ricordarle che è sua, e che prostituta resta. Pochi giorni dopo Patrizia gli intima di sposarla, pena rivelazioni a Scialoja. Niente di più eccitante per il Dandi. Non la sicurezza del possesso gli interessa, ma umiliare il rivale. Pagherà cara la sua passione triangolare: Patrizia lo tradirà un’ultima volta, indirizzandolo all’agguato mortale.
Julius Klug, K nel testo di Karl Jaspers Delirio di gelosia (Raffaello Cortina), inizia a credere che la moglie lo tradisca 16 anni dopo avere iniziato a costruire un orologio astronomico. Quella meticolosità nell’inutile che ritrovi nei personaggi di Baricco. Comincia credendo che la moglie treschi con l’orologiaio di una città vicina. Quale rivale peggiore? La picchia, le dà della puttana. Sente rumori nella notte: uomini che insidiano la sua donna. Minaccia con la pistola chi crede esserne l’amante, denuncia chi lo considera pazzo e vuole internarlo ma l’internamento sarà il suo destino. Leggo il resoconto di Jaspers: «Quando incontrava uno degli uomini di cui sospettava scappava». Si sente in pericolo, schiacciato, incompreso, deriso e alla fine mandato in miseria. Ricorda che la moglie era stata definita una composizione floreale che ornava il suo «signor negozio». Nell’autobiografia scritta durante il suo soggiorno in manicomio la definisce «il serpente tra i fiori». Una composizione floreale a disposizione di tutti. Formo connessioni: il Dandi. Lui avrebbe sottoscritto.
Altre connessioni. Un anno fa passeggiavo nel Giardino della Minerva della scuola medica salernitana con il mio collega Giampaolo Salvatore. Mi diceva: «La base della gelosia è il senso di vulnerabilità, di inferiorità. Pensa a Sabato, domenica e lunedì di Eduardo De Filippo. Peppino Priore che si sfoga a tavola, si sente fesso a fronte della tresca di sua moglie. La sua fragilità minacciata è diventata rabbia».
Ritorna tutto. Il Dandi, Scialoja, nessuno vuole soccombere, la misura del loro valore è il possesso dell’oggetto d’amore. Ma nell’animo ognuno di loro si sente inferiore e reagisce attaccando o ricercando il senso di grandiosità. Superiorità morale nel caso di K e Scialoja. Un attico nel centro di Roma è il tempio che il Dandi erige a se stesso.
Poi c’è Munch, il Munchmuseet. Gelosia del 1895, l’anno in cui K fu internato. Inizio oggi a stabilire nessi paranoici? Se volete conoscere la faccia del geloso, è ritratta lì in primo piano. Ed è la faccia dello spavento e della sconfitta. Perplessità, occhi sgranati, smarrimento. Alle spalle la coppia di amanti che esclude il pittore. Il viso è abbattuto, apparirà identico in Gelosia II (non lo cercate al museo, non è lì). Passeggio per le sale, il mio ospite mi fa notare un altro quadro, non ricordo oggi il titolo, dipinto decadi dopo. In primo piano lo stesso viso, ma alle spalle c’è una casa in fiamme. Gli amanti non li vediamo, ma sono chiusi là dentro. Di nuovo torna tutto, prima la vulnerabilità e solo dopo l’aggressione, tentativo fallimentare di restaurare la dignità smarrita.
Infine Medea che, annichilita dal tradimento di Giasone, si vendica uccidendo i propri figli per colpire meglio l’infedele. La rievoca Giulia Sissa nel suo La gelosia (Laterza) : «Furibonda e astuta, viscida e giubilante, la Medea di Seneca è pura crudeltà».
Gli attori sono in scena, i fatti sulla scrivania, ora le deduzioni. La gelosia è il timore che l’oggetto amato sparisca per mano di un rivale. Ha varie gradazioni: quel senso di minaccia e sospetto che almeno una volta ha preso tutti i veri innamorati: perché non ha risposto al telefono? Con chi stava parlando? Che ci va a fare in palestra? Sospetti utili entro un certo grado, un minimo di controllo serve e l’altro si sente amato.
Poi la gelosia della personalità paranoide. La sospettosità è sistematica, fondata o meno che sia, la convinzione non muta: l’altro inganna, umilia, deruba. Stai in guardia, erigi un bunker. Se vieni messo al muro, attacca. Infine la gelosia delirante. Più ferma e invincibile della personalità paranoide, crea fatti che non esistono. K sentiva carezze al piede nella notte, gli amanti della moglie si erano intrufolati nel suo letto.
Le radici della gelosia? Ne identifico due. La prima è il senso di vulnerabilità, inferiorità. Come sangue che si ghiaccia, gambe che si sciolgono come cera. Le azioni del geloso — controllo, investigazioni, aggressioni e vendette nascono da lì, tentativi maldestri di proteggere la lumaca quando il guscio si crepa. Costruire grandi case in mura di orgoglio e intonare inni al proprio valore servono ad allontanare la vulnerabilità. Se c’è qualcuno da accusare, il geloso scaccia l’idea strisciante di appartenere a una genia di reietti. Gode del vigore che dà il combattere il nemico invece di sentirsi una nullità.
La seconda: una forma di relazione oggettuale, il modo in cui nella mente prevede andranno i rapporti. Immaginatela così: bramate l’amato, ma temete di non essere alla sua altezza e qualcuno più potente di voi lo conquisterà. L’angoscia è insostenibile. La vita affettiva si plasma intorno al bisogno di controllare la perdita temuta. Scegliete una persona che vi fa tremare la terra sotto i piedi e passate la vita a prevenirne la fuga. La scelta del Dandi e di Scialoja. L’amore per l’inaffidabile e inafferrabile. La storia finisce sempre allo stesso modo: l’oggetto d’amore si rivela un serpente tra i fiori. 

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