Sappiamo che troveremo tante macerie, soggettive – eredità di
sconfitte, arretramenti, traversie e divisioni che hanno creato
sfiducia e lacerato relazioni – e macerie oggettive – analisi
della società e dell’economia inadeguate rispetto ai cambiamenti
intervenuti con globalizzazione e finanziarizzazione,
sradicamento dai territori.
Ma sappiamo anche che guardandoci bene intorno troveremo
piccole case sparse costruite da singoli e gruppi, nuclei di una
società e di un modello di sviluppo nuovi, sogni e sperimentazioni
di un’altra agricoltura e di un’altra economia, sedi di incontro
e di pratiche di solidarietà tra gli esseri umani, di accoglienza
e convivenza, germi di un nuovo localismo che vuole ricostruire
partecipazione, autogestione e democrazia dal basso.
Tutto questo fa parte del nostro mondo anche se non sempre ama
definirsi di sinistra o fare politica come la intendiamo noi.
Da quelle macerie dobbiamo saper estrarre quanto è valido ed
utilizzabile, dalle sperimentazioni quanto è generalizzabile
per costruire il nuovo.
L’operazione non sarà certo facile perché da diversi anni
arretriamo e, soprattutto, perché negli ultimi tempi abbiamo subito
duri colpi proprio da chi veniva dalla sinistra che conoscevamo.
Questo ci ha colpiti ancor più profondamente.
Ma attenzione, Renzi ha vinto una battaglia, non la guerra. Ha
scalato un partito democratico che si era predisposto ad essere
scalato, lo ha fatto con una spregiudicatezza alla quale non
eravamo abituati, ha preso il potere con una rapidità ed una potenza
espansiva inedite nella nostra storia, lo esercita ricattando
e minacciando, eliminando gli avversari e premiando i neo fedeli.
Colpiti dall’avanzare di questo ciclone, stampa e media, sono
diventati il suo megafono. Adesso vanta il fatto che anche l’Italia,
rimasta insieme a Cipro e Finlandia tra i tre paesi europei ancora
col segno negativo nel Pil, esce dalla crisi (ma adesso nessun paese
europeo è rimasto col segno meno) e cerca di sfruttare il clima di
fiducia che ha contribuito a creare alternando mance elettorali in
moneta sonante ed iniezioni di fiducia che agiscono
sull’immaginario.
Ma, c’è un ma.
Adesso che gli effetti si stanno manifestando nella loro interezza
appare, ed ancor più apparirà nei prossimi mesi, che i risultati
sono ben magri. Il dialogo con una Confindustria mendicante, che
sa solo chiedere contributi per galleggiare riducendo costo del
lavoro e tasse senza innovare, costa diversi miliardi, ma non crea
sviluppo. Punta all’oggi, al consenso ed al contingente, ma non ha
respiro strategico. E’ una alleanza a perdere perché incapace di
pensare ad un progetto industriale per il futuro.
La “bolla lavoro”, alimentata dal bombardamento di interventi
e dal nuovo dinamismo del rottamatore, si sta fermando sulla
soglia stabile di 200.000 occupati. Tanto rumore e tanti soldi per
tanto poco. In parallelo, si sta sgonfiando anche la bolla
elettorale: il Pd gira e rigira è sempre fermo attorno al 30% (da
destra arrivano simpatie interessate, ma pochi voti appena
sufficienti a compensare le fughe verso l’astensione), ricomincia
a sentire il fiato sul collo del M5S ed il malessere serpeggia
sempre di più nei territori.
Il linguaggio renziano del bullismo, che all’inizio poteva
persino apparire simpatico di fronte alla noia della politica,
adesso comincia a stancare, ad apparire poco dignitoso ed
a riportare alla memoria il ridicolo in cui alla fine era caduto
Berlusconi. Non pochi cominciano a rimpiangere qualità e figure
politiche del passato delle quali si potevano non condividere le
posizioni, ma dalle quali c’era da imparare.
Forse non siamo destinati a morire demorenziani.
Da qui possiamo e dobbiamo partire per costruire la sinistra nuova, dalla convinzione che il renzismo non è invincibile.
E’un punto importante per il nuovo cantiere e ci può aiutare ad
affrontarlo il guardare non solo vicino a noi, ma anche fuori, in
Europa e nel mondo. Le mutazioni profonde – migrazioni, mutamenti
climatici, riassetto geopolitico in particolare nel
Mediterraneo – preparano un futuro che è tutto da scrivere.
Questo futuro potrebbe anche riportarci indietro ed a destra. In
Europa pensavamo di esserci messi alle spalle questi pericoli
grazie allo sviluppo delle esperienze socialdemocratiche e del
welfare, grazie alla riduzione delle disuguaglianze prodotta dai
trenta gloriosi anni del dopoguerra.
Adesso i “trenta gloriosi” sono alle spalle, stiamo vivendo i
“trenta terribili” della controffensiva del capitale
finanziarizzato ed in questa fase le socialdemocrazie hanno poco
da dire perché si sono trasformate in strumenti accessori
e subordinati.
Per fortuna, dove le conseguenze di quelle politiche si
manifestano nelle forme più feroci stanno nascendo anche le uniche
esperienze di contrasto e di cambiamento da sinistra.
Così mentre nell’area progressista le forze
socialdemocratiche ristagnano ed arretrano, le speranze di
futuro si stanno incarnando nelle nuove forze che nascono. Non sempre
portano il segno di sinistra, ma quello della novità, dell’entusiasmo,
della radicalità delle politiche di giustizia sociale che
propongono. La nuova forza dovrà collocarsi in questo scenario.
Possiamo farlo con i nostri problemi e la nostra storia, da qui
e dall’oggi, senza pensare di tornare indietro per ripartire da dove
eravamo.
Possiamo farlo anche avendo una grande ambizione: per la storia
della sinistra italiana e per la nostra stessa collocazione
geografica potremmo essere il punto di congiunzione tra le
esperienze della Grecia, della Spagna, del Portogallo e quella
della Germania per produrre, da sinistra, una crisi delle
socialdemocrazie e generare una spinta alla costruzione, in
Europa, di una sinistra ampia e capace di invertire la rotta.
Raggiunto accordo al tavolo della 'cosa rossa'
La piattaforma c’è. A gennaio la prima assemblea comune Domani Sel ed ex Pd presentano il nuovo gruppo a Montecitorio, si chiamerà Sinistra italiana
di Daniela Preziosi il manifesto 6.11.15
Un po’ di suspence c’è stata fino all’ultimo, almeno per gli amanti del
genere, ma alla fine tutto è filato liscio. Al documento intitolato «Noi
ci siamo, lanciamo la sfida» (di cui il manifesto ha dato notizia il 4
novembre) ieri hanno detto sì tutte le ’anime’ della ’costituente di
sinistra’ (la definizione ’cosa rossa’ ormai è respinta da tutti). Il
testo annuncia «l’avvio di una fase costituente» del «nuovo soggetto
politico di sinistra». L’ok arriva da sei sigle: Sel, Prc, Altra Europa
con Tsipras, Possibile (quella di Pippo Civati), Futuro a Sinistra
(l’associazione di Stefano Fassina), Act; ma alla discussione hanno
partecipato in molti di più, fra personalità e associazioni, da Sergio
Cofferati a Sinistra e Lavoro.
La corsa parte, dunque. Presto partirà anche la «Carovana
dell’alternativa» per «innervare il processo nei territori, per portare
in tutte le città i nostri contenuti, con una logica capillare», come
spiega il professore Marco Revelli a nome dell’Altra Europa. Il primo
passo è fatto. Anche se non tutte le tessere del mosaico sono già al
loro posto. Su come si presenterà quest’area alle amministrative del
2016, per esempio, c’è ancora un pezzo di strada da fare. Secondo il
testo approvato ci sarà una «valutazione in comune» e «ovunque» della
«possibilità di individuare candidati, di costruire e di sostenere liste
nuove e partecipate in grado di raccogliere le migliori esperienze
civiche e dal basso e di rappresentare una forte proposta di governo
locale in esplicita discontinuità con le politiche dell’attuale
esecutivo». Non è detto però che in tutte le città questa valutazione
comune porti a candidati unitari: ma ogni giorno ha la sua pena, si
vedrà più avanti.
Ieri il tavolo ha anche deciso che la prima assemblea unitaria si
svolgerà dal 15 al 17 gennaio. Sulle data si registra la perplessità del
civatiano Gianni Principe: il periodo coincide con la campagna per le
primarie del centrosinistra in alcune importanti città. Come Milano,
sulla quale fin qui gli orientamenti di Sel non coincidono con quelli
del Prc e di Civati. Scaramucce fra Possibile e Sel anche sul nuovo
gruppo parlametare «Sinistra italiana», che domani sarà presentato al
Teatro Quirino di Roma. Un’esperienza spiegata da alcuni come il braccio
parlamentare del nuovo soggetto della sinistra; un’equivalenza invece
«micidiale» per i civatiani, che non ci stanno. Nicola Fratoianni (Sel)
li ha rassicurati: «I nuovi gruppi non si sostituiscono al processo
politico né da loro nasce il nuovo soggetto. Proveranno ad essere
piuttosto un ’terminale sociale’ (la definizione è di Stefano Rodotà,
ndr) che si mette a disposizione della sinistra». Per Civati si tratta
comunque di «un’operazione di palazzo». Anche se da Montecitorio filtra
un’altra imminente «operazione», la nascita di un sottogruppo fra
civatiani ed ex M5S, oggi nel misto.
«Una nuova sinistra, non una cosa rossa»
Ufficializzato
l'addio di D’Attorre, Galli, Folino: «Pd di centro, da dentro non si
incide più. La minoranza dem è d’accordo anche sui tagli alla sanità.
Gruppi alla camera e al senato, è una ripartenza»
di Daniela Preziosi il manifesto 5.11.15
Rimanere non ha più senso, non si ha più la possibilità di incidere. La
decisione di lasciare viene dopo un lungo tormento ma mi è sembrato che
non ci fossero alternative per la piega che ha preso il Pd con Renzi».
Nella saletta stampa di Montecitorio affollata per l’occasione, Alfredo
D’Attorre ufficializza il suo lento addio al Pd. Con lui lasciano anche
il politologo bolognese Carlo Galli e il deputato lucano Vincenzo
Folino. Dal Pd altri seguiranno, ne sono convinti. Perché, scrivono nel
documento «Ricostruire la sinistra» inviato ai circoli Pd a caccia di
consensi, «restare significherebbe sostenere il progetto renziano nei
tre appuntamenti cruciali dei prossimi mesi: le amministrative, il
referendum costituzionale e le politiche che vi faranno seguito. Il
rischio è che l’Italia diventi l’unico grande paese europeo in cui la
sinistra viene cancellata».
D’Attorre ha il viso tirato, la decisione non è stata un pranzo di gala
per lui, allievo diletto di Bersani. «Pier Luigi ha espresso rispetto
per la mia scelta pur non condividendola. Lui più di tutti vuole bene al
Pd e sarà l’ultimo a rassegnarsi». Dal Transatlantico l’ex segretario
lo ricambierà con affetto: i tre che se ne vanno, dice ai cronisti,
«sono tutti bravissimi». Vogliono dar vita a un soggetto di
centrosinistra «che affondi le radici nell’ulivismo»? «Io — risponde —
lavoro per la stessa cosa ma dentro il Pd. Se poi il Pd diventa un’altra
cosa…».
C’è chi la interpreta come una crepa nel granitico muro
dell’appartenenza dem. Per D’Attorre il dissenso nel Pd «non è neppure
preso in considerazione» e «se la minoranza è d’accordo anche con i
tagli alla sanità» — allude al governatore della Toscana Rossi che si è
autocandidato alle primarie contro Renzi — «vuol dire che la dialettica
interna ormai è ridotta a una finzione». Ora «un nuovo inizio». Sabato 7
novembre al teatro Quirino di Roma verrà presentato il nuovo gruppo
alla camera: i 25 di Sel, i 5 ex Pd (oltre ai tre usciti ieri ci saranno
anche Stefano Fassina e Monica Gregori), Claudio Fava di ritorno a
casa. Civati non sarà della partita: resta nel misto a cercare di
attirare gli ex grillini di sinistra. Ma in realtà il fondatore di
Possibile avrebbe ancora molte perplessità sul percorso comune in atto a
sinistra, spiegano i suoi. Di qua invece lo aspettano a braccia aperte
convinti «che i nostri percorsi si riunificheranno». Per ora il nome del
gruppo resta coperto. Potrebbe essere «Sinistra italiana» o «La
sinistra». Nascerà anche una nuova componente del gruppo misto del
senato: con i sette di Sel, due ex M5S (Campanella e Bocchino),
Corradino Mineo. «Mettiamo il nuovo gruppo a disposizione di una nuova
forza non residuale, larga, plurale, non identitaria o settaria», dice
D’Attorre. Ma mai dire ’cosa rossa’: «Invitiamo i giornalisti a superare
questo cliché. Noi pensiamo a una forza della sinistra di governo, che
possa essere un riferimento per quelli che sono usciti o che intendono
uscire dal Pd». «Il termine ’cosa rossa’ è folklore», rincara Galli, «è
velleitarismo, avventurismo. Noi avremo un nome e un cognome». E
un’analisi: Renzi per il professore «non è di sinistra, il suo modello è
una democrazia plebiscitaria e priva di contrappesi». I nuovi gruppi
debutteranno alle camere la prossima settimana, poi verranno presentati
nelle città come il braccio parlamentare di un nuovo soggetto. Che sarà
ispirato anche alle «radici uliviste». Citazione non casuale: la prima
creatura di Prodi non è nel dna di tutta la sinistra fuori dal Pd, non
tutti gradiranno.
Infine c’è il nodo delle amministrative, altro punto delicato sul quale
il tavolo della ’cosa rossa’ ha trovato una quadra che dovrebbe — il
condizionale è d’obbligo — essere siglata proprio oggi. Nelle città sono
in corso grandi scossoni. A Bologna l’alleanza Pd-Sel è agli sgoccioli,
così come a Torino; a Milano incombe la candidatura di Giuseppe Sala,
impotabile a sinistra. «Cercheremo un rapporto positivo con la minoranza
Pd e lavoreremo ovunque per spostare la barra più a sinistra»,
annunciano gli ex dem. «A Roma per esempio si può mettere insieme una
candidatura da offrire all’intero campo delle forze sane di sinistra,
democratiche e progressiste». Circola già il nome di Stefano Fassina.
Ma anche in questo caso le opinioni in famiglia sono variegate. Proprio
ieri Civati ha ’endorsato’ l’ex sindaco Ignazio Marino. «Se dovesse
chiederci una mano, anche in una sua nuova corsa a sindaco di Roma,
sicuramente la troverebbe tesa».
«Un elettorato esiste il premier si contraddice»
intervista di I. Lomb. La Stampa 5.11.15 Carlo Galli
Professor Carlo Galli, Renzi ha detto a sinistra del Pd non ci sono spazi.
«Vedremo chi ha ragione. Noto però una contraddizione in Renzi, perché è
lui stesso a sostenere che il suo Pd non sarà come il Pci che non
voleva avere nemici a sinistra. Se non gli interessa una sfida da
sinistra, vuol dire allora che uno spazio esiste. Uno spazio che è
innanzitutto sociale e che starà a noi tradurre in soggetto politico,
evitando le rissosità tipica delle sinistre».
Cosa l’ha convinta a lasciare il Pd?
«Un’accumulazione di cose. La Stabilità è solo la classica goccia che fa
traboccare il vaso. Ma è il modello di partito di Renzi che non mi
piace, come la sua idea di democrazia, che non ho definito autoritaria,
ma ipermaggioritaria e plebiscitaria».
Perché, secondo lei, Bersani e Cuperlo non vi seguono?
«Perché loro ragionano giustamente da politici. Restano perché dicono di
non voler lasciare il Pd a Renzi, cercando di condizionarlo
dall’interno. Il mio è un profilo diverso, sono un intellettuale, non
posso venir meno troppo a lungo alla coerenza del mio pensiero».
Ex Pd e Sel lanciano “Sinistra Italiana” La Cosa rossa sarà battezzata sabato
Renzi: “Non vedo spazi fuori dal partito”, ma apre a modifiche dell’Italicum
L’addio di D’Attorre, Galli e Folino agita la minoranza
Bersani: “Lavoro perché i dem restino di centrosinistra”
di Giovanna Casadio Repubblica 5.11.15
ROMA. L’esodo dei democratici continua. Ma Matteo Renzi avverte che una
diaspora non conviene: «Fuori dal Pd non vedo spazi, mentre nel partito
c’è un grande spazio ideologico e culturale per la sinistra. Gli
esponenti della minoranza però si devono liberare dalla logica di
parlare male gli uni degli altri». Una bacchettata, l’ennesima, alla
sinistra interna. E una stretta di mano martedì sera, alla fine
dell’assemblea dei parlamentari del Pd, agli ultimi tre fuoriusciti:
Alfredo D’Attorre, Carlo Galli, Enzo Folino. I tre hanno tenuto ieri una
conferenza stampa e in un documento hanno spiegato che lasciano perché
«il partito è un’appendice inerte del leader ». Che non condividono più
né il merito né il metodo. «Siamo fuori dalla cultura istituzionale
dell’Ulivo e del centrosinistra», i provvedimenti del governo ne sono la
prova mostrando che «il Pd vive con fastidio il modello di società
disegnato dalla Costituzione ». Insomma, il Pd è un’esperienza da
lasciarsi alle spalle per andare verso la “Sinistra italiana”, il gruppo
parlamentare che nascerà sabato e che unisce i vendoliani di Sel,
Stefano Fassina e parte degli ex dem. Non tutti.
Si smarca Pippo Civati, che ieri ha avuto un colloquio con Alessandra
Cattoi per sondare le intenzioni di Ignazio Marino, il sindaco
capitolino dimissionato, in vista delle prossime amministrative.
Frammentata è la sinistra, discussioni persino sul nome se è meglio
“Sinistra democratica”, “Sinistra per il lavoro e il cambiamento”. Ma
infine sembra “Sinistra italiana” quello che raccoglie maggiori
consensi. Sarà un gruppo di 31 deputati; 7 senatori per ora.
Traumatizzato è il Pd. «Non basta una semplice scrollata di spalle, c’è
da correggere una rotta politica che rischia di allontanare iscritti e
militanti, provo amarezza, non è un bel giorno per i dem», commenta su
Facebook Roberto Speranza. La falla a sinistra ha provocato in questi
mesi nove addii al Pd. Pierluigi Bersani, di cui D’Attorre è stato uno
dei “delfini” invita a combattere dentro il partito. «Sono tutti
bravissimi - dice l’ex segretario a proposito dei tre fuoriusciti - io
lavoro per la stessa cosa, per il centrosinistra ma dentro il Pd. Poi se
diventa un’altra cosa...». La frase resta sospesa. D’Attorre prevede
che Bersani non lascerà la “ditta”, ma altri sono pronti a uscire anche
alcuni cattolici democratici. Franco Monaco potrebbe essere fra questi.
Renzi difende le sue scelte politiche: «Sono un uomo di sinistra...»,
ribadisce in assemblea dem e ironizza sulla lunghezza del suo intervento
sulla legge di Stabilità: «Sono castrista...». Sembra aprire
sull’Italicum come gli chiede la sinistra dem: «Non ci sto ripensando,
preferisco il premio alla lista però non ci sono totem ideologici». Di
certo il ballottaggio non si tocca. E il premier-segretario torna sulle
primarie che devono essere «vere oppure il candidato lo sceglie il
partito, con regole chiare e chi perde aiuta».
È iniziata la scissione dal Pd Renzi: fuori non avete spazio
Il premier a Vespa: grande margine per la sinistra, ma solo dentro D’Attorre però apre l’uscita dei bersaniani: partito ormai appendice del leader
di Ilario Lombardo La Stampa 5.11.15
Perfettamente sintonizzato con i palazzi, l’ufficio stampa Mondadori
consegna alle agenzie i passaggi dell’ultimo libro di Bruno Vespa, in
cui Matteo Renzi parla dei malumori della minoranza e delle ragioni di
una possibile scissione: «Fuori di qui non vedo spazi» dice Renzi,
perché «un grande spazio ideologico e culturale per la sinistra» c’è, ma
«all’interno del Pd».
Profezia a cui non crede chi una scissione la sta mettendo già in atto,
pezzo dopo pezzo. L’ultimo addio è triplice, ma Alfredo D’Attorre, Carlo
Galli e Vincenzo Folino consumano una fine per celebrare un inizio.
«Non era più possibile restare in un partito dove non esiste la
dialettica interna». Un partito, scrivono in un documento firmato anche
da Corradino Mineo, «ridotto a inerte appendice del leader, comitato
elettorale e ufficio stampa». I tre deputati raggiungono Stefano Fassina
e Monica Gregori che sabato con i ritrovati compagni di Sel terranno a
battesimo la nascita dei nuovi gruppi parlamentare alla Camera e al
Senato, dove ai sette vendoliani e a Mineo si aggiungono anche gli ex
grillini Francesco Campanella e Fabrizio Bocchino. E’ l’embrione di un
partito che sarà. «Ma non chiamatela Cosa Rossa» chiede D’Attorre.
Perché un film che si ripete sempre uguale, può annoiare prima che
partano i titoli di testa. E la storia recente, dalla Bolognina in poi,
quando la Cosa era un film di Nanni Moretti, racconta di tante scissioni
e liti e nuove nascite.
Il nome dovrebbe essere semplicemente «La Sinistra-Sel», col riferimento
a Sel aggiunto per motivi legali, perché Nichi Vendola metterà a
disposizione struttura e corpo, ma non la testa. L’ex governatore della
Puglia si ritaglierà il ruolo di padre nobile assieme a Sergio
Cofferati. Un passo indietro per non offuscare il sol dell’avvenire
affidato a chi ha volti spendibili ma non un leader. C’è ancora tanto da
fare. Al Teatro Quirino, sabato, sarà ricucita solo una parte della
diaspora che ha saldato vecchie divisioni con le recenti delusioni
dell’era-Renzi. Pierluigi Bersani e Gianni Cuperlo restano dove sono,
dentro il Pd, ad assaporare il gusto amaro di altri addii. Non ci sarà
Pippo Civati che continua a lavorare per Possibile, il movimento che il
21 novembre a Napoli diventerà partito assieme a quei mondi che hanno
voltato le spalle al M5S. «Sono sicuro che ci ritroveremo» dice
D’Attorre. Per adesso molto li unisce, ma quel poco che li divide resta
fondamentale. «Civati ragiona in termini troppo personalistici» accusano
da Sel. «Loro vogliono allearsi con il Pd» risponde Luca Pastorino, il
civatiano che in Liguria per primo ha formalizzato una rottura che si è
tradotta in sconfitta per Renzi. «Sarebbe quello il modello» spiega
Nicola Fratoianni di Sel. Uniti a sinistra, contro l’offerta renziana. I
conti prematuri e fatti in casa dicono che il nuovo soggetto, coeso,
varrebbe il 10%. Si spera. Perché Renzi, sempre nel libro di Vespa,
lascia intendere che l’Italicum non è «un totem ideologico» e il premio
alla coalizione, invece che alla lista, non è escluso. Ma se dovesse
essere ritoccato anche lo sbarramento, magari alzando la soglia all’8%,
le cose a sinistra potrebbero complicarsi. Prima, però, ci sono le
amministrative, dove si testeranno nuove alleanze e nuove sfide. Stefano
Fassina ragiona su una sua probabile candidatura a Roma, «una figura
che può parlare anche alla parte sana del Pd» dice D’Attorre senza fare
nomi. A Torino è quasi certo che Giorgio Airaudo di Sel sfiderà Piero
Fassino. A Cagliari i dem dovrebbero assicurare il sostegno al
vendoliano uscente Massimo Zedda. A Milano, Napoli e Bologna, si vedrà.
Perché ha ancora senso parlare di destra e sinistra
Rinunciare a queste due categorie politiche è indice di strategica ambiguitàdi Nadia Urbinati Repubblica 5.11.15
GIUDICARE in politica è tenere una parte o prendere parte, scriveva
Hannah Arendt commentando Aristotele. Non si può giudicare senza stare
da una qualche parte o schierarsi. Questo vale soprattutto per i
cittadini nelle loro considerazioni ordinarie sulle cose relative alla
loro città o al loro Paese; anche quando dichiarano di volersi astenere
dal giudicare o si professano indifferenti alle parti politiche. È a
partire dalla natura fallibile del giudizio politico che i governi
liberi vantano di essere quelli nei quali la ricerca del giudizio
migliore trova la propria sede, poiché garantiscono le libertà civili
grazie alle quali il giudicare pro e contro si dipana in un clima di
tranquillità e rispetto. Giudizio e politica stanno in stretta
connessione. Un narratore della condizione politica, Thomas Mann, diceva
che, per questo, la democrazia è tra tutti i regimi quello più
compiutamente politico, perché qui anche chi vuole tirarsi fuori da ogni
giudizio politico deve fatalmente schierarsi, facendo della propria
posizione impolitica un giudizio di parte.
Le pretese che oggi si levano contro il giudizio politico destano quindi
legittimo sospetto. Un candidato possibile alla poltrona di sindaco del
Comune di Roma, Alfio Marchini, si propone come al di sopra delle parti
politiche — né di destra, né di sinistra.
È un imprenditore, parte della società civile intraprendente, ed è
romano. Due ragioni certo rilevanti, la seconda soprattutto, ma non
sufficienti.
Perché amministrare una città non è lo stesso che amministrare
un’azienda, anche se le città hanno bisogno di buoni amministratori che
sappiano ragionare in termini di prudenza, opportunità ed efficienza. Ma
non basta. Poiché, contrariamente alle aziende private,
l’amministratore di una città deve rendere conto delle sue decisioni,
non ai suoi azionisti ma a tutti i cittadini, residenti che hanno
diversissime condizioni sociali, economiche e culturali, tutte
rappresentate nel voto che esprimono, pro o contro. Solo la politica può
rappresentare questa generalità e insieme partigianeria.
E torniamo così al punto di partenza, al giudizio politico. Presentarsi
come candidato né di destra né di sinistra è una strategia molto
politica, che cerca di capitalizzare a partire dai fallimenti delle
precedenti amministrazioni, di destra e di sinistra, le quali — per
ragioni e con responsabilità molto diverse tra loro — hanno generato i
problemi che portano ora al voto anticipato, dopo essere passati per una
gestione commissariale della città capitale d’Italia. Ma si deve
dubitare di questo ecumenismo poiché se Marchini diventasse sindaco
dovrà pur scegliere dove investire o disinvestire le risorse pubbliche,
se occuparsi delle periferie e come, se occuparsi del malgoverno e come,
se prediligere il trasporto pubblico e come, eccetera. In tutti i casi,
egli dovrà scegliere e si rivolgerà a una parte del consiglio comunale
per avere sostegno e voti.
Destra/sinistra sono distinzioni generali che servono a orientare
elettori ed eletti. Sono sempre più approssimative e sempre più
liminali, ma esistono. La confusione prodotta in questi mesi non aiuta a
distinguerle, è vero: la destra parlamentare spesso alleata del partito
di centro-sinistra che governa, il quale ha una sua sinistra interna, e
un’opposizione grillina che si definisce in ragione di chi contrasta,
senza chiarezza sulle proprie posizioni. Tanta confusione disorienta. Ma
non elimina le distinzioni di giudizio sulle politiche, che esistono.
Rinunciare ad esse o pretendere che non esistano non è indice di
oggettiva chiarezza, ma di strategica ambiguità — la speranza di
capitalizzare dalla memoria vecchia e recente dei fallimenti della
politica.
Scriveva John Stuart Mill — un liberale diffidente verso i partiti—che
il sistema rappresentativo non può evitare divisioni di schieramento
ideale o ideologico: la divisione tra “progressisti” e “conservatori”
(alla quale egli pensava), ovvero tra “sinistra” e “destra”, corrisponde
a due modi di giudicare, relativi a due criteri o principi generali non
identici e nemmeno interscambiabili. Uno di essi orientato direttamente
verso la promozione del benessere della maggioranza con scelte
amministrative volte a risolvere i bisogni più urgenti e a includere
quanti più possibile nel godimento del benessere generale; l’altro
orientato a pensare che favorendo l’interesse dei pochi che hanno
risorse da investire ne verrà giovamento per molti, eventualmente. Si
tratta, come si vede, di divisioni molto meno esplicite di quelle che la
vecchia terminologia ideologica offriva. Ma sono abbastanza chiare
nonostante tutto, e corrispondono a due modi di intendere e di
amministrare il bene pubblico.
La sinistra si ritrova ma è già divisa
Oggi la
nuova iniziativa con i fuoriusciti del Pd e i vertici di Sel Landini sta
a guardare. I dubbi di Civatidi Alessandro Trocino Corriere 7.11.15
ROMA Si riparte. Ma come nella migliore tradizione della sinistra
italiana, si riparte divisi. E così, oggi, all’appuntamento al Quirino
di Roma che lancerà un nuovo soggetto politico, la «Sinistra italiana»,
mancherà Pippo Civati, poco convinto dall’accelerazione. Ci saranno
invece i fuoriusciti del Pd, recenti e non, a cominciare da Alfredo
D’Attorre. E ci sarà lo stato maggiore di Sel, pronto a battezzare i
nuovi gruppi parlamentari allargati. Nichi Vendola lancia l’appuntamento
e sfida Renzi: «La sinistra che cambia è quella che propone una strada
alternativa, praticabile e concreta, capace di trovare soluzioni ai
grandi problemi del Paese: disuguaglianza, povertà, disoccupazione,
mancanza di innovazione nel sistema d’impresa».
Il legame più forte di questo nuovo rassemblement è l’antirenzismo. Non
va giù, per esempio, a D’Attorre, l’atteggiamento morbido di Pier Luigi
Bersani, che è critico ma resta legato al Pd: «Stimo e sono grato a
Bersani, ma dobbiamo guardare in faccia la realtà: la sinistra interna
nel Pd di Renzi non è riuscita a toccare palla».
I malumori antirenziani nel Pd hanno portato a un piccolo esodo, che va a
confluire ora nel gruppo di Sel (una trentina alla Camera e una decina
al Senato, compresi alcuni ex M5s). Ma che si propone un progetto più
ampio: «Finora — dice D’Attorre — gli orfani del Pd sembravano destinati
alla frammentazione. Ora non è più così e parte un grande processo per
una sinistra plurale, larga, popolare».
Per ora non lo è ancora, larga e popolare, ma presto ci dovrà essere una
costituente che proverà a riunire quel resta della vecchia sinistra,
rivitalizzandola. All’appello per una nuova Sinistra (ma non ai gruppi)
hanno risposto, oltre a Sel, Possibile di Civati, Futuro a sinistra di
Stefano Fassina, Prc di Paolo Ferrero e l’Altra Europa con Tsipras di
Marco Revelli. Mancano all’appello Maurizio Landini, che ieri ha
incontrato Luigi Zanda, il Partito comunista di Marco Rizzo e i Verdi di
Angelo Bonelli.
Civati è scettico: «È sbagliato partire così. Sel ha aderito alle
primarie del Pd e quindi appoggerà il suo candidato. Ma io e il resto
della sinistra, no. Mi pare difficile fare un partito con due candidati
sindaci. E poi hanno confuso il passaggio parlamentare con quello
politico. Vediamo che succederà».
Insomma, per ora non ci siamo. La distanza è di approccio politico,
oltre che di guerra per la leadership. D’Attorre ribadisce che
l’ispirazione del nuovo soggetto dovrà essere «ulivista». E quindi, a
sinistra del Pd, ma potenzialmente suo alleato. Dato che, per Civati, è
anche in contraddizione con una partenza che in sostanza crea una «Sel
allargata». Ribatte D’Attorre: «Vogliono dipingerci come il solito
partitino radicale di sinistra, ma non è così. Vogliamo coprire uno
spazio di centrosinistra ulivista, con un nuovo gruppo dirigente».
Al Quirino chiuderà Arturo Scotto, capogruppo Sel alla Camera. Prima ci
sarà spazio per molti. Ci saranno il saluto inviato da Sergio Cofferati e
dalla presidente della Camera Laura Boldrini. Un messaggio video
dell’economista di sinistra Mariana Mazzucato e interventi di
rappresentanti della società civile. Citatissimo Stefano Rodotà, che non
potrà dare la sua benedizione, perché in Brasile per un ciclo di
conferenze. Così come non dovrebbe esserci Corradino Mineo, dopo la dura
polemica dei giorni scorsi. Ci sarà, invece, Claudio Fava, di rientro
nel gruppo di Sel, dopo esserne uscito insieme a Gennaro Migliore. Non
manca un appello di intellettuali per una nuova sinistra, firmato tra
gli altri da Remo Bodei, Nadia Urbinati e Michele Prospero .
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