sabato 7 novembre 2015

Sinistra Boldrina Sinistra Brioscina, Sinistra Carina Sinistra Tachipirina: quaglia dopo 7 anni il Grande Sogno di Fausto Bertinotti


Sono entrati nel gruppo
Democrack. Nasce «Sinistra italiana». Per il momento in parlamento. Dal Pd scatta l’accusa di intelligenza con la destra. Che però è alleata di Renzi. Oggi a Roma la presentazione del «primo passo». Con Fassina, D’Attorre, Galli. Ma senza Civati, che pensa a unire una componente nel «misto». 

Daniela Preziosi Manifest 7.11.2015
Le uscite a sini­stra spesso hanno por­tato come risul­tato di favo­rire gli avver­sari, e loro così stanno facendo il gioco della destra». L’accusa di intel­li­genza con il nemico, grande clas­sico delle scis­sioni, ieri è arri­vata. Anche se in que­sto caso il para­dosso è che il nemico, almeno un pezzo del nemico, è un alleato di governo. Ieri Lorenzo Gue­rini, vice­se­gre­ta­rio Pd, ha attac­cato quelli che escono dal suo par­tito. Alfredo D’Attorre, dal banco degli impu­tati, respinge l’accusa al mit­tente: «Se deve tro­vare chi fa più il gioco della destra non a parole ma con le scelte con­crete, non ha che da rivol­gersi al segre­ta­rio di cui è vice». 

Pro­ba­bil­mente è solo un assag­gio delle pole­mi­che dei pros­simi giorni. Per­ché gli anti ren­ziani del par­la­mento da ora ten­te­ranno l’opera di ero­sione del Pd. Oggi al Tea­tro Qui­rino di Roma va in scena la pre­sen­ta­zione del nuovo gruppo di Mon­te­ci­to­rio, «Sini­stra ita­liana», nome che ha il pre­gio della chia­rezza. La coin­ci­denza con l’anniversario della Rivo­lu­zione sovie­tica è casuale: la mag­gior parte dei pre­senti non l’ha mai festeg­giata per età e per con­vin­zione. Del «Sì» faranno parte i depu­tati eletti con Sel, gli ex Pd Fas­sina, Gre­gori, D’Attorre, Folino e Galli, l’ex Sel Clau­dio Fava. Ma «altri arri­ve­ranno pre­sto», giura D’Attorre, che a un appello ai suoi ex com­pa­gni di par­tito: «A chi è ancora nel Pd voglio dire che pur­troppo biso­gna guar­dare in fac­cia la realtà, anche se è dolo­roso, come lo è stato per me. In que­sto Pd per la sini­stra non c’è pos­si­bi­lità di inci­dere. E que­sto apre ancora più il campo al M5S». 
La chia­mata non è rivolta solo ai par­la­men­tari. In alcune città saranno pro­mosse ini­zia­tive per pre­sen­tare i nuovi gruppi, «ter­mi­nali sociali», come li ha defi­niti Ste­fano Rodotà. Un docu­mento inti­to­lato «Rico­struire la sini­stra per il lavoro e per l’Italia» cir­cola nella ’base’ Pd insof­fe­rente al par­tito della nazione. Nei pros­simi mesi si vedrà con quali effetti. Vuole essere «un «nuovo ini­zio, non una cosa rossa», sot­to­li­nea D’Attorre. Certo una nuova for­ma­zione di sini­stra (o di recu­pero delle cul­ture del cen­tro­si­ni­stra, a seconda di chi parla) a cui da tempo si lavora anche nella sini­stra radi­cale. I per­corsi non sono sem­pre con­ver­genti, fin qui. Negli negli scorsi giorni è stato appro­vato un docu­mento comune fra Sel, Prc, Altra Europa con Tsi­pras, Act, Pos­si­bile (Civati) e Futuro a sini­stra (Fas­sina) per l’avvio della fase costi­tuente di un «nuovo sog­getto». L’unità della com­pa­gnia è la scom­messa dei pros­simi mesi, dalle ammi­ni­stra­tive di giugno. 
«La sini­stra è in crisi eppure di una sini­stra si sente, oggi più che mai, il biso­gno», è l’appello un gruppo di docenti uni­ver­si­tari, eco­no­mi­sti, intel­let­tuali rivolto alla pla­tea romana. Aprirà le danze un mes­sag­gio della pre­si­dente della Camera Laura Bol­drini, poi il vero cal­cio di ini­zio sarà di Ste­fano Fas­sina, l’ex mini­stro del governo Letta, primo ad abban­do­nare il Pd ren­ziano insieme alla depu­tata romana Monica Gre­gori. Nel pome­rig­gio chiu­derà l’assemblea Arturo Scotto, capo­gruppo di Sel e ora di «Sì». In mezzo, oltre ai com­pa­gni di par­tito, par­le­ranno stu­denti, lavo­ra­tori, eso­dati e altre realtà di cui il nuovo gruppo vuole essere appunto «ter­mi­nale sociale». Ci sarà anche Fran­ce­sca Chia­vacci dell’Arci. Man­derà un mes­sag­gio Ser­gio Cof­fe­rati, ex Pd doc, che bene­dice l’iniziativa. C’è chi annun­cia una com­po­nente di «Sini­stra ita­liana» anche nel gruppo misto del senato. Ma non subito: a fre­nare sono i due sena­tori ex M5S Boc­chino e Cam­pa­nella, oggi dell’Altra Europa: «Siamo coin­volti nel per­corso costi­tuente di una nuova forza della sini­stra. Ma l’atto di iscri­zione al gruppo avverrà in un secondo momento», spiega il primo. E Cam­pa­nella: «Vogliamo fare da ponte fra Sel e le altre realtà che si muo­vono nella stessa dire­zione. Mi auguro che pre­sto saremo tutti insieme, anche con Civati». In realtà Civati lavora a una com­po­nente auto­noma nel gruppo misto della camera. «Uni­remo insieme espe­rienze finora divise per offrire al Paese un’agenda cre­di­bile di cam­bia­mento», assi­cura Nichi Ven­dola. Per D’Attorre «la novità è che chi usciva dal Pd rima­neva disperso. Da domani parte un grande pro­cesso uni­ta­rio, c’è un rife­ri­mento che adesso è par­la­men­tare e poi si strut­tu­rerà nei ter­ri­tori e l’anno pros­simo ci sarà il pro­cesso di costru­zione del par­tito vero e proprio».


E ora al passo con le sinistre europee
Per non morire demorenziani. L'ambizione di costruire il "nuovo" per invertire la rotta in Italia e in Europa. Non è che l'iniziio
Aldo Carra il Manifesto 7.11.2015, 10:46
La nascita del gruppo par­la­men­tare uni­fi­cato mi piace pen­sarla come il taglio del nastro per inau­gu­rare il can­tiere della sini­stra nuova.
Sap­piamo che tro­ve­remo tante mace­rie, sog­get­tive – ere­dità di scon­fitte, arre­tra­menti, tra­ver­sie e divi­sioni che hanno creato sfi­du­cia e lace­rato rela­zioni – e mace­rie ogget­tive – ana­lisi della società e dell’economia ina­de­guate rispetto ai cam­bia­menti inter­ve­nuti con glo­ba­liz­za­zione e finan­zia­riz­za­zione, sra­di­ca­mento dai territori.
Ma sap­piamo anche che guar­dan­doci bene intorno tro­ve­remo pic­cole case sparse costruite da sin­goli e gruppi, nuclei di una società e di un modello di svi­luppo nuovi, sogni e spe­ri­men­ta­zioni di un’altra agri­col­tura e di un’altra eco­no­mia, sedi di incon­tro e di pra­ti­che di soli­da­rietà tra gli esseri umani, di acco­glienza e con­vi­venza, germi di un nuovo loca­li­smo che vuole rico­struire par­te­ci­pa­zione, auto­ge­stione e demo­cra­zia dal basso.
Tutto que­sto fa parte del nostro mondo anche se non sem­pre ama defi­nirsi di sini­stra o fare poli­tica come la inten­diamo noi.
Da quelle mace­rie dob­biamo saper estrarre quanto è valido ed uti­liz­za­bile, dalle spe­ri­men­ta­zioni quanto è gene­ra­liz­za­bile per costruire il nuovo.
L’operazione non sarà certo facile per­ché da diversi anni arre­triamo e, soprat­tutto, per­ché negli ultimi tempi abbiamo subito duri colpi pro­prio da chi veniva dalla sini­stra che cono­sce­vamo. Que­sto ci ha col­piti ancor più profondamente.
Ma atten­zione, Renzi ha vinto una bat­ta­glia, non la guerra. Ha sca­lato un par­tito demo­cra­tico che si era pre­di­spo­sto ad essere sca­lato, lo ha fatto con una spre­giu­di­ca­tezza alla quale non era­vamo abi­tuati, ha preso il potere con una rapi­dità ed una potenza espan­siva ine­dite nella nostra sto­ria, lo eser­cita ricat­tando e minac­ciando, eli­mi­nando gli avver­sari e pre­miando i neo fedeli.
Col­piti dall’avanzare di que­sto ciclone, stampa e media, sono diven­tati il suo mega­fono. Adesso vanta il fatto che anche l’Italia, rima­sta insieme a Cipro e Fin­lan­dia tra i tre paesi euro­pei ancora col segno nega­tivo nel Pil, esce dalla crisi (ma adesso nes­sun paese euro­peo è rima­sto col segno meno) e cerca di sfrut­tare il clima di fidu­cia che ha con­tri­buito a creare alter­nando mance elet­to­rali in moneta sonante ed inie­zioni di fidu­cia che agi­scono sull’immaginario.
Ma, c’è un ma.
Adesso che gli effetti si stanno mani­fe­stando nella loro inte­rezza appare, ed ancor più appa­rirà nei pros­simi mesi, che i risul­tati sono ben magri. Il dia­logo con una Con­fin­du­stria men­di­cante, che sa solo chie­dere con­tri­buti per gal­leg­giare ridu­cendo costo del lavoro e tasse senza inno­vare, costa diversi miliardi, ma non crea svi­luppo. Punta all’oggi, al con­senso ed al con­tin­gente, ma non ha respiro stra­te­gico. E’ una alleanza a per­dere per­ché inca­pace di pen­sare ad un pro­getto indu­striale per il futuro.
La “bolla lavoro”, ali­men­tata dal bom­bar­da­mento di inter­venti e dal nuovo dina­mi­smo del rot­ta­ma­tore, si sta fer­mando sulla soglia sta­bile di 200.000 occu­pati. Tanto rumore e tanti soldi per tanto poco. In paral­lelo, si sta sgon­fiando anche la bolla elet­to­rale: il Pd gira e rigira è sem­pre fermo attorno al 30% (da destra arri­vano sim­pa­tie inte­res­sate, ma pochi voti appena suf­fi­cienti a com­pen­sare le fughe verso l’astensione), rico­min­cia a sen­tire il fiato sul collo del M5S ed il males­sere ser­peg­gia sem­pre di più nei territori.

Il lin­guag­gio ren­ziano del bul­li­smo, che all’inizio poteva per­sino appa­rire sim­pa­tico di fronte alla noia della poli­tica, adesso comin­cia a stan­care, ad appa­rire poco digni­toso ed a ripor­tare alla memo­ria il ridi­colo in cui alla fine era caduto Ber­lu­sconi. Non pochi comin­ciano a rim­pian­gere qua­lità e figure poli­ti­che del pas­sato delle quali si pote­vano non con­di­vi­dere le posi­zioni, ma dalle quali c’era da imparare.
Forse non siamo destinati a morire demorenziani.

Da qui pos­siamo e dob­biamo par­tire per costruire la sini­stra nuova, dalla con­vin­zione che il ren­zi­smo non è invincibile.
E’un punto impor­tante per il nuovo can­tiere e ci può aiu­tare ad affron­tarlo il guar­dare non solo vicino a noi, ma anche fuori, in Europa e nel mondo. Le muta­zioni pro­fonde – migra­zioni, muta­menti cli­ma­tici, rias­setto geo­po­li­tico in par­ti­co­lare nel Medi­ter­ra­neo – pre­pa­rano un futuro che è tutto da scrivere.
Que­sto futuro potrebbe anche ripor­tarci indie­tro ed a destra. In Europa pen­sa­vamo di esserci messi alle spalle que­sti peri­coli gra­zie allo svi­luppo delle espe­rienze social­de­mo­cra­ti­che e del wel­fare, gra­zie alla ridu­zione delle disu­gua­glianze pro­dotta dai trenta glo­riosi anni del dopoguerra.
Adesso i “trenta glo­riosi” sono alle spalle, stiamo vivendo i “trenta ter­ri­bili” della con­trof­fen­siva del capi­tale finan­zia­riz­zato ed in que­sta fase le social­de­mo­cra­zie hanno poco da dire per­ché si sono tra­sfor­mate in stru­menti acces­sori e subordinati.
Per for­tuna, dove le con­se­guenze di quelle poli­ti­che si mani­fe­stano nelle forme più feroci stanno nascendo anche le uni­che espe­rienze di con­tra­sto e di cam­bia­mento da sinistra.
Così men­tre nell’area pro­gres­si­sta le forze social­de­mo­cra­ti­che rista­gnano ed arre­trano, le spe­ranze di futuro si stanno incar­nando nelle nuove forze che nascono. Non sem­pre por­tano il segno di sini­stra, ma quello della novità, dell’entusiasmo, della radi­ca­lità delle poli­ti­che di giu­sti­zia sociale che pro­pon­gono. La nuova forza dovrà col­lo­carsi in que­sto scenario.
Pos­siamo farlo con i nostri pro­blemi e la nostra sto­ria, da qui e dall’oggi, senza pen­sare di tor­nare indie­tro per ripar­tire da dove eravamo.
Pos­siamo farlo anche avendo una grande ambi­zione: per la sto­ria della sini­stra ita­liana e per la nostra stessa col­lo­ca­zione geo­gra­fica potremmo essere il punto di con­giun­zione tra le espe­rienze della Gre­cia, della Spa­gna, del Por­to­gallo e quella della Ger­ma­nia per pro­durre, da sini­stra, una crisi delle social­de­mo­cra­zie e gene­rare una spinta alla costru­zione, in Europa, di una sini­stra ampia e capace di inver­tire la rotta.


Raggiunto accordo al tavolo della 'cosa rossa'
La piattaforma c’è. A gennaio la prima assemblea comune Domani Sel ed ex Pd presentano il nuovo gruppo a Montecitorio, si chiamerà Sinistra italiana
di Daniela Preziosi il manifesto 6.11.15
Un po’ di suspence c’è stata fino all’ultimo, almeno per gli amanti del genere, ma alla fine tutto è filato liscio. Al documento intitolato «Noi ci siamo, lanciamo la sfida» (di cui il manifesto ha dato notizia il 4 novembre) ieri hanno detto sì tutte le ’anime’ della ’costituente di sinistra’ (la definizione ’cosa rossa’ ormai è respinta da tutti). Il testo annuncia «l’avvio di una fase costituente» del «nuovo soggetto politico di sinistra». L’ok arriva da sei sigle: Sel, Prc, Altra Europa con Tsipras, Possibile (quella di Pippo Civati), Futuro a Sinistra (l’associazione di Stefano Fassina), Act; ma alla discussione hanno partecipato in molti di più, fra personalità e associazioni, da Sergio Cofferati a Sinistra e Lavoro.
La corsa parte, dunque. Presto partirà anche la «Carovana dell’alternativa» per «innervare il processo nei territori, per portare in tutte le città i nostri contenuti, con una logica capillare», come spiega il professore Marco Revelli a nome dell’Altra Europa. Il primo passo è fatto. Anche se non tutte le tessere del mosaico sono già al loro posto. Su come si presenterà quest’area alle amministrative del 2016, per esempio, c’è ancora un pezzo di strada da fare. Secondo il testo approvato ci sarà una «valutazione in comune» e «ovunque» della «possibilità di individuare candidati, di costruire e di sostenere liste nuove e partecipate in grado di raccogliere le migliori esperienze civiche e dal basso e di rappresentare una forte proposta di governo locale in esplicita discontinuità con le politiche dell’attuale esecutivo». Non è detto però che in tutte le città questa valutazione comune porti a candidati unitari: ma ogni giorno ha la sua pena, si vedrà più avanti.
Ieri il tavolo ha anche deciso che la prima assemblea unitaria si svolgerà dal 15 al 17 gennaio. Sulle data si registra la perplessità del civatiano Gianni Principe: il periodo coincide con la campagna per le primarie del centrosinistra in alcune importanti città. Come Milano, sulla quale fin qui gli orientamenti di Sel non coincidono con quelli del Prc e di Civati. Scaramucce fra Possibile e Sel anche sul nuovo gruppo parlametare «Sinistra italiana», che domani sarà presentato al Teatro Quirino di Roma. Un’esperienza spiegata da alcuni come il braccio parlamentare del nuovo soggetto della sinistra; un’equivalenza invece «micidiale» per i civatiani, che non ci stanno. Nicola Fratoianni (Sel) li ha rassicurati: «I nuovi gruppi non si sostituiscono al processo politico né da loro nasce il nuovo soggetto. Proveranno ad essere piuttosto un ’terminale sociale’ (la definizione è di Stefano Rodotà, ndr) che si mette a disposizione della sinistra». Per Civati si tratta comunque di «un’operazione di palazzo». Anche se da Montecitorio filtra un’altra imminente «operazione», la nascita di un sottogruppo fra civatiani ed ex M5S, oggi nel misto.

«Una nuova sinistra, non una cosa rossa»

Ufficializzato l'addio di D’Attorre, Galli, Folino: «Pd di centro, da dentro non si incide più. La minoranza dem è d’accordo anche sui tagli alla sanità. Gruppi alla camera e al senato, è una ripartenza»
di Daniela Preziosi il manifesto 5.11.15

Rimanere non ha più senso, non si ha più la possibilità di incidere. La decisione di lasciare viene dopo un lungo tormento ma mi è sembrato che non ci fossero alternative per la piega che ha preso il Pd con Renzi». Nella saletta stampa di Montecitorio affollata per l’occasione, Alfredo D’Attorre ufficializza il suo lento addio al Pd. Con lui lasciano anche il politologo bolognese Carlo Galli e il deputato lucano Vincenzo Folino. Dal Pd altri seguiranno, ne sono convinti. Perché, scrivono nel documento «Ricostruire la sinistra» inviato ai circoli Pd a caccia di consensi, «restare significherebbe sostenere il progetto renziano nei tre appuntamenti cruciali dei prossimi mesi: le amministrative, il referendum costituzionale e le politiche che vi faranno seguito. Il rischio è che l’Italia diventi l’unico grande paese europeo in cui la sinistra viene cancellata».
D’Attorre ha il viso tirato, la decisione non è stata un pranzo di gala per lui, allievo diletto di Bersani. «Pier Luigi ha espresso rispetto per la mia scelta pur non condividendola. Lui più di tutti vuole bene al Pd e sarà l’ultimo a rassegnarsi». Dal Transatlantico l’ex segretario lo ricambierà con affetto: i tre che se ne vanno, dice ai cronisti, «sono tutti bravissimi». Vogliono dar vita a un soggetto di centrosinistra «che affondi le radici nell’ulivismo»? «Io — risponde — lavoro per la stessa cosa ma dentro il Pd. Se poi il Pd diventa un’altra cosa…».
C’è chi la interpreta come una crepa nel granitico muro dell’appartenenza dem. Per D’Attorre il dissenso nel Pd «non è neppure preso in considerazione» e «se la minoranza è d’accordo anche con i tagli alla sanità» — allude al governatore della Toscana Rossi che si è autocandidato alle primarie contro Renzi — «vuol dire che la dialettica interna ormai è ridotta a una finzione». Ora «un nuovo inizio». Sabato 7 novembre al teatro Quirino di Roma verrà presentato il nuovo gruppo alla camera: i 25 di Sel, i 5 ex Pd (oltre ai tre usciti ieri ci saranno anche Stefano Fassina e Monica Gregori), Claudio Fava di ritorno a casa. Civati non sarà della partita: resta nel misto a cercare di attirare gli ex grillini di sinistra. Ma in realtà il fondatore di Possibile avrebbe ancora molte perplessità sul percorso comune in atto a sinistra, spiegano i suoi. Di qua invece lo aspettano a braccia aperte convinti «che i nostri percorsi si riunificheranno». Per ora il nome del gruppo resta coperto. Potrebbe essere «Sinistra italiana» o «La sinistra». Nascerà anche una nuova componente del gruppo misto del senato: con i sette di Sel, due ex M5S (Campanella e Bocchino), Corradino Mineo. «Mettiamo il nuovo gruppo a disposizione di una nuova forza non residuale, larga, plurale, non identitaria o settaria», dice D’Attorre. Ma mai dire ’cosa rossa’: «Invitiamo i giornalisti a superare questo cliché. Noi pensiamo a una forza della sinistra di governo, che possa essere un riferimento per quelli che sono usciti o che intendono uscire dal Pd». «Il termine ’cosa rossa’ è folklore», rincara Galli, «è velleitarismo, avventurismo. Noi avremo un nome e un cognome». E un’analisi: Renzi per il professore «non è di sinistra, il suo modello è una democrazia plebiscitaria e priva di contrappesi». I nuovi gruppi debutteranno alle camere la prossima settimana, poi verranno presentati nelle città come il braccio parlamentare di un nuovo soggetto. Che sarà ispirato anche alle «radici uliviste». Citazione non casuale: la prima creatura di Prodi non è nel dna di tutta la sinistra fuori dal Pd, non tutti gradiranno.
Infine c’è il nodo delle amministrative, altro punto delicato sul quale il tavolo della ’cosa rossa’ ha trovato una quadra che dovrebbe — il condizionale è d’obbligo — essere siglata proprio oggi. Nelle città sono in corso grandi scossoni. A Bologna l’alleanza Pd-Sel è agli sgoccioli, così come a Torino; a Milano incombe la candidatura di Giuseppe Sala, impotabile a sinistra. «Cercheremo un rapporto positivo con la minoranza Pd e lavoreremo ovunque per spostare la barra più a sinistra», annunciano gli ex dem. «A Roma per esempio si può mettere insieme una candidatura da offrire all’intero campo delle forze sane di sinistra, democratiche e progressiste». Circola già il nome di Stefano Fassina.
Ma anche in questo caso le opinioni in famiglia sono variegate. Proprio ieri Civati ha ’endorsato’ l’ex sindaco Ignazio Marino. «Se dovesse chiederci una mano, anche in una sua nuova corsa a sindaco di Roma, sicuramente la troverebbe tesa».


«Un elettorato esiste il premier si contraddice»
intervista di I. Lomb. La Stampa 5.11.15 Carlo Galli

Professor Carlo Galli, Renzi ha detto a sinistra del Pd non ci sono spazi.
«Vedremo chi ha ragione. Noto però una contraddizione in Renzi, perché è lui stesso a sostenere che il suo Pd non sarà come il Pci che non voleva avere nemici a sinistra. Se non gli interessa una sfida da sinistra, vuol dire allora che uno spazio esiste. Uno spazio che è innanzitutto sociale e che starà a noi tradurre in soggetto politico, evitando le rissosità tipica delle sinistre».
Cosa l’ha convinta a lasciare il Pd?
«Un’accumulazione di cose. La Stabilità è solo la classica goccia che fa traboccare il vaso. Ma è il modello di partito di Renzi che non mi piace, come la sua idea di democrazia, che non ho definito autoritaria, ma ipermaggioritaria e plebiscitaria».
Perché, secondo lei, Bersani e Cuperlo non vi seguono?
«Perché loro ragionano giustamente da politici. Restano perché dicono di non voler lasciare il Pd a Renzi, cercando di condizionarlo dall’interno. Il mio è un profilo diverso, sono un intellettuale, non posso venir meno troppo a lungo alla coerenza del mio pensiero».


Ex Pd e Sel lanciano “Sinistra Italiana” La Cosa rossa sarà battezzata sabato

Renzi: “Non vedo spazi fuori dal partito”, ma apre a modifiche dell’Italicum
L’addio di D’Attorre, Galli e Folino agita la minoranza
Bersani: “Lavoro perché i dem restino di centrosinistra”

di Giovanna Casadio Repubblica 5.11.15

ROMA. L’esodo dei democratici continua. Ma Matteo Renzi avverte che una diaspora non conviene: «Fuori dal Pd non vedo spazi, mentre nel partito c’è un grande spazio ideologico e culturale per la sinistra. Gli esponenti della minoranza però si devono liberare dalla logica di parlare male gli uni degli altri». Una bacchettata, l’ennesima, alla sinistra interna. E una stretta di mano martedì sera, alla fine dell’assemblea dei parlamentari del Pd, agli ultimi tre fuoriusciti: Alfredo D’Attorre, Carlo Galli, Enzo Folino. I tre hanno tenuto ieri una conferenza stampa e in un documento hanno spiegato che lasciano perché «il partito è un’appendice inerte del leader ». Che non condividono più né il merito né il metodo. «Siamo fuori dalla cultura istituzionale dell’Ulivo e del centrosinistra», i provvedimenti del governo ne sono la prova mostrando che «il Pd vive con fastidio il modello di società disegnato dalla Costituzione ». Insomma, il Pd è un’esperienza da lasciarsi alle spalle per andare verso la “Sinistra italiana”, il gruppo parlamentare che nascerà sabato e che unisce i vendoliani di Sel, Stefano Fassina e parte degli ex dem. Non tutti.
Si smarca Pippo Civati, che ieri ha avuto un colloquio con Alessandra Cattoi per sondare le intenzioni di Ignazio Marino, il sindaco capitolino dimissionato, in vista delle prossime amministrative. Frammentata è la sinistra, discussioni persino sul nome se è meglio “Sinistra democratica”, “Sinistra per il lavoro e il cambiamento”. Ma infine sembra “Sinistra italiana” quello che raccoglie maggiori consensi. Sarà un gruppo di 31 deputati; 7 senatori per ora. Traumatizzato è il Pd. «Non basta una semplice scrollata di spalle, c’è da correggere una rotta politica che rischia di allontanare iscritti e militanti, provo amarezza, non è un bel giorno per i dem», commenta su Facebook Roberto Speranza. La falla a sinistra ha provocato in questi mesi nove addii al Pd. Pierluigi Bersani, di cui D’Attorre è stato uno dei “delfini” invita a combattere dentro il partito. «Sono tutti bravissimi - dice l’ex segretario a proposito dei tre fuoriusciti - io lavoro per la stessa cosa, per il centrosinistra ma dentro il Pd. Poi se diventa un’altra cosa...». La frase resta sospesa. D’Attorre prevede che Bersani non lascerà la “ditta”, ma altri sono pronti a uscire anche alcuni cattolici democratici. Franco Monaco potrebbe essere fra questi. Renzi difende le sue scelte politiche: «Sono un uomo di sinistra...», ribadisce in assemblea dem e ironizza sulla lunghezza del suo intervento sulla legge di Stabilità: «Sono castrista...». Sembra aprire sull’Italicum come gli chiede la sinistra dem: «Non ci sto ripensando, preferisco il premio alla lista però non ci sono totem ideologici». Di certo il ballottaggio non si tocca. E il premier-segretario torna sulle primarie che devono essere «vere oppure il candidato lo sceglie il partito, con regole chiare e chi perde aiuta».


È iniziata la scissione dal Pd Renzi: fuori non avete spazio

Il premier a Vespa: grande margine per la sinistra, ma solo dentro D’Attorre però apre l’uscita dei bersaniani: partito ormai appendice del leader
di Ilario Lombardo La Stampa 5.11.15

Perfettamente sintonizzato con i palazzi, l’ufficio stampa Mondadori consegna alle agenzie i passaggi dell’ultimo libro di Bruno Vespa, in cui Matteo Renzi parla dei malumori della minoranza e delle ragioni di una possibile scissione: «Fuori di qui non vedo spazi» dice Renzi, perché «un grande spazio ideologico e culturale per la sinistra» c’è, ma «all’interno del Pd».
Profezia a cui non crede chi una scissione la sta mettendo già in atto, pezzo dopo pezzo. L’ultimo addio è triplice, ma Alfredo D’Attorre, Carlo Galli e Vincenzo Folino consumano una fine per celebrare un inizio. «Non era più possibile restare in un partito dove non esiste la dialettica interna». Un partito, scrivono in un documento firmato anche da Corradino Mineo, «ridotto a inerte appendice del leader, comitato elettorale e ufficio stampa». I tre deputati raggiungono Stefano Fassina e Monica Gregori che sabato con i ritrovati compagni di Sel terranno a battesimo la nascita dei nuovi gruppi parlamentare alla Camera e al Senato, dove ai sette vendoliani e a Mineo si aggiungono anche gli ex grillini Francesco Campanella e Fabrizio Bocchino. E’ l’embrione di un partito che sarà. «Ma non chiamatela Cosa Rossa» chiede D’Attorre. Perché un film che si ripete sempre uguale, può annoiare prima che partano i titoli di testa. E la storia recente, dalla Bolognina in poi, quando la Cosa era un film di Nanni Moretti, racconta di tante scissioni e liti e nuove nascite.
Il nome dovrebbe essere semplicemente «La Sinistra-Sel», col riferimento a Sel aggiunto per motivi legali, perché Nichi Vendola metterà a disposizione struttura e corpo, ma non la testa. L’ex governatore della Puglia si ritaglierà il ruolo di padre nobile assieme a Sergio Cofferati. Un passo indietro per non offuscare il sol dell’avvenire affidato a chi ha volti spendibili ma non un leader. C’è ancora tanto da fare. Al Teatro Quirino, sabato, sarà ricucita solo una parte della diaspora che ha saldato vecchie divisioni con le recenti delusioni dell’era-Renzi. Pierluigi Bersani e Gianni Cuperlo restano dove sono, dentro il Pd, ad assaporare il gusto amaro di altri addii. Non ci sarà Pippo Civati che continua a lavorare per Possibile, il movimento che il 21 novembre a Napoli diventerà partito assieme a quei mondi che hanno voltato le spalle al M5S. «Sono sicuro che ci ritroveremo» dice D’Attorre. Per adesso molto li unisce, ma quel poco che li divide resta fondamentale. «Civati ragiona in termini troppo personalistici» accusano da Sel. «Loro vogliono allearsi con il Pd» risponde Luca Pastorino, il civatiano che in Liguria per primo ha formalizzato una rottura che si è tradotta in sconfitta per Renzi. «Sarebbe quello il modello» spiega Nicola Fratoianni di Sel. Uniti a sinistra, contro l’offerta renziana. I conti prematuri e fatti in casa dicono che il nuovo soggetto, coeso, varrebbe il 10%. Si spera. Perché Renzi, sempre nel libro di Vespa, lascia intendere che l’Italicum non è «un totem ideologico» e il premio alla coalizione, invece che alla lista, non è escluso. Ma se dovesse essere ritoccato anche lo sbarramento, magari alzando la soglia all’8%, le cose a sinistra potrebbero complicarsi. Prima, però, ci sono le amministrative, dove si testeranno nuove alleanze e nuove sfide. Stefano Fassina ragiona su una sua probabile candidatura a Roma, «una figura che può parlare anche alla parte sana del Pd» dice D’Attorre senza fare nomi. A Torino è quasi certo che Giorgio Airaudo di Sel sfiderà Piero Fassino. A Cagliari i dem dovrebbero assicurare il sostegno al vendoliano uscente Massimo Zedda. A Milano, Napoli e Bologna, si vedrà. 

Perché ha ancora senso parlare di destra e sinistra
Rinunciare a queste due categorie politiche è indice di strategica ambiguitàdi Nadia Urbinati Repubblica 5.11.15
GIUDICARE in politica è tenere una parte o prendere parte, scriveva Hannah Arendt commentando Aristotele. Non si può giudicare senza stare da una qualche parte o schierarsi. Questo vale soprattutto per i cittadini nelle loro considerazioni ordinarie sulle cose relative alla loro città o al loro Paese; anche quando dichiarano di volersi astenere dal giudicare o si professano indifferenti alle parti politiche. È a partire dalla natura fallibile del giudizio politico che i governi liberi vantano di essere quelli nei quali la ricerca del giudizio migliore trova la propria sede, poiché garantiscono le libertà civili grazie alle quali il giudicare pro e contro si dipana in un clima di tranquillità e rispetto. Giudizio e politica stanno in stretta connessione. Un narratore della condizione politica, Thomas Mann, diceva che, per questo, la democrazia è tra tutti i regimi quello più compiutamente politico, perché qui anche chi vuole tirarsi fuori da ogni giudizio politico deve fatalmente schierarsi, facendo della propria posizione impolitica un giudizio di parte.
Le pretese che oggi si levano contro il giudizio politico destano quindi legittimo sospetto. Un candidato possibile alla poltrona di sindaco del Comune di Roma, Alfio Marchini, si propone come al di sopra delle parti politiche — né di destra, né di sinistra.
È un imprenditore, parte della società civile intraprendente, ed è romano. Due ragioni certo rilevanti, la seconda soprattutto, ma non sufficienti.
Perché amministrare una città non è lo stesso che amministrare un’azienda, anche se le città hanno bisogno di buoni amministratori che sappiano ragionare in termini di prudenza, opportunità ed efficienza. Ma non basta. Poiché, contrariamente alle aziende private, l’amministratore di una città deve rendere conto delle sue decisioni, non ai suoi azionisti ma a tutti i cittadini, residenti che hanno diversissime condizioni sociali, economiche e culturali, tutte rappresentate nel voto che esprimono, pro o contro. Solo la politica può rappresentare questa generalità e insieme partigianeria.
E torniamo così al punto di partenza, al giudizio politico. Presentarsi come candidato né di destra né di sinistra è una strategia molto politica, che cerca di capitalizzare a partire dai fallimenti delle precedenti amministrazioni, di destra e di sinistra, le quali — per ragioni e con responsabilità molto diverse tra loro — hanno generato i problemi che portano ora al voto anticipato, dopo essere passati per una gestione commissariale della città capitale d’Italia. Ma si deve dubitare di questo ecumenismo poiché se Marchini diventasse sindaco dovrà pur scegliere dove investire o disinvestire le risorse pubbliche, se occuparsi delle periferie e come, se occuparsi del malgoverno e come, se prediligere il trasporto pubblico e come, eccetera. In tutti i casi, egli dovrà scegliere e si rivolgerà a una parte del consiglio comunale per avere sostegno e voti.
Destra/sinistra sono distinzioni generali che servono a orientare elettori ed eletti. Sono sempre più approssimative e sempre più liminali, ma esistono. La confusione prodotta in questi mesi non aiuta a distinguerle, è vero: la destra parlamentare spesso alleata del partito di centro-sinistra che governa, il quale ha una sua sinistra interna, e un’opposizione grillina che si definisce in ragione di chi contrasta, senza chiarezza sulle proprie posizioni. Tanta confusione disorienta. Ma non elimina le distinzioni di giudizio sulle politiche, che esistono. Rinunciare ad esse o pretendere che non esistano non è indice di oggettiva chiarezza, ma di strategica ambiguità — la speranza di capitalizzare dalla memoria vecchia e recente dei fallimenti della politica.
Scriveva John Stuart Mill — un liberale diffidente verso i partiti—che il sistema rappresentativo non può evitare divisioni di schieramento ideale o ideologico: la divisione tra “progressisti” e “conservatori” (alla quale egli pensava), ovvero tra “sinistra” e “destra”, corrisponde a due modi di giudicare, relativi a due criteri o principi generali non identici e nemmeno interscambiabili. Uno di essi orientato direttamente verso la promozione del benessere della maggioranza con scelte amministrative volte a risolvere i bisogni più urgenti e a includere quanti più possibile nel godimento del benessere generale; l’altro orientato a pensare che favorendo l’interesse dei pochi che hanno risorse da investire ne verrà giovamento per molti, eventualmente. Si tratta, come si vede, di divisioni molto meno esplicite di quelle che la vecchia terminologia ideologica offriva. Ma sono abbastanza chiare nonostante tutto, e corrispondono a due modi di intendere e di amministrare il bene pubblico.


La sinistra si ritrova ma è già divisa
Oggi la nuova iniziativa con i fuoriusciti del Pd e i vertici di Sel Landini sta a guardare. I dubbi di Civatidi Alessandro Trocino Corriere 7.11.15
 ROMA Si riparte. Ma come nella migliore tradizione della sinistra italiana, si riparte divisi. E così, oggi, all’appuntamento al Quirino di Roma che lancerà un nuovo soggetto politico, la «Sinistra italiana», mancherà Pippo Civati, poco convinto dall’accelerazione. Ci saranno invece i fuoriusciti del Pd, recenti e non, a cominciare da Alfredo D’Attorre. E ci sarà lo stato maggiore di Sel, pronto a battezzare i nuovi gruppi parlamentari allargati. Nichi Vendola lancia l’appuntamento e sfida Renzi: «La sinistra che cambia è quella che propone una strada alternativa, praticabile e concreta, capace di trovare soluzioni ai grandi problemi del Paese: disuguaglianza, povertà, disoccupazione, mancanza di innovazione nel sistema d’impresa».
Il legame più forte di questo nuovo rassemblement è l’antirenzismo. Non va giù, per esempio, a D’Attorre, l’atteggiamento morbido di Pier Luigi Bersani, che è critico ma resta legato al Pd: «Stimo e sono grato a Bersani, ma dobbiamo guardare in faccia la realtà: la sinistra interna nel Pd di Renzi non è riuscita a toccare palla».
I malumori antirenziani nel Pd hanno portato a un piccolo esodo, che va a confluire ora nel gruppo di Sel (una trentina alla Camera e una decina al Senato, compresi alcuni ex M5s). Ma che si propone un progetto più ampio: «Finora — dice D’Attorre — gli orfani del Pd sembravano destinati alla frammentazione. Ora non è più così e parte un grande processo per una sinistra plurale, larga, popolare».
Per ora non lo è ancora, larga e popolare, ma presto ci dovrà essere una costituente che proverà a riunire quel resta della vecchia sinistra, rivitalizzandola. All’appello per una nuova Sinistra (ma non ai gruppi) hanno risposto, oltre a Sel, Possibile di Civati, Futuro a sinistra di Stefano Fassina, Prc di Paolo Ferrero e l’Altra Europa con Tsipras di Marco Revelli. Mancano all’appello Maurizio Landini, che ieri ha incontrato Luigi Zanda, il Partito comunista di Marco Rizzo e i Verdi di Angelo Bonelli.
Civati è scettico: «È sbagliato partire così. Sel ha aderito alle primarie del Pd e quindi appoggerà il suo candidato. Ma io e il resto della sinistra, no. Mi pare difficile fare un partito con due candidati sindaci. E poi hanno confuso il passaggio parlamentare con quello politico. Vediamo che succederà».
Insomma, per ora non ci siamo. La distanza è di approccio politico, oltre che di guerra per la leadership. D’Attorre ribadisce che l’ispirazione del nuovo soggetto dovrà essere «ulivista». E quindi, a sinistra del Pd, ma potenzialmente suo alleato. Dato che, per Civati, è anche in contraddizione con una partenza che in sostanza crea una «Sel allargata». Ribatte D’Attorre: «Vogliono dipingerci come il solito partitino radicale di sinistra, ma non è così. Vogliamo coprire uno spazio di centrosinistra ulivista, con un nuovo gruppo dirigente».
Al Quirino chiuderà Arturo Scotto, capogruppo Sel alla Camera. Prima ci sarà spazio per molti. Ci saranno il saluto inviato da Sergio Cofferati e dalla presidente della Camera Laura Boldrini. Un messaggio video dell’economista di sinistra Mariana Mazzucato e interventi di rappresentanti della società civile. Citatissimo Stefano Rodotà, che non potrà dare la sua benedizione, perché in Brasile per un ciclo di conferenze. Così come non dovrebbe esserci Corradino Mineo, dopo la dura polemica dei giorni scorsi. Ci sarà, invece, Claudio Fava, di rientro nel gruppo di Sel, dopo esserne uscito insieme a Gennaro Migliore. Non manca un appello di intellettuali per una nuova sinistra, firmato tra gli altri da Remo Bodei, Nadia Urbinati e Michele Prospero . 

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