lunedì 2 novembre 2015

Tradotto il volume 1931-1938 dei Quaderni Neri di Heidegger

Quaderni neri 1931-1938. Riflessioni II-VI
Inutile polemizzare [SGA].

Martin Heidegger: Quaderni neri 1931-1938 (Riflessioni II-VI), a cura di Peter Trawny, traduzione di Alessandra Iadicicco, Bompiani pagine 704

Risvolto
I "Quaderni neri" presentano una forma che, secondo le sue caratteristiche, risulta oltremodo singolare non solo per Heidegger, bensì in generale per la filosofia del XX secolo. Tra i generi testuali di cui solitamente si fa uso i Quaderni sarebbero anzitutto da paragonare a quello del "diario filosofico". In essi gli eventi del tempo vengono sottoposti a considerazioni critiche e messi continuamente in relazione con la "storia dell'Essere". Il presente testo è il primo dei tre volumi in cui saranno pubblicate le Riflessioni. Il primo quaderno di questo volume incomincia nell'autunno del 1931, l'ultimo, con le Riflessioni VI, si conclude nel giugno del 1938. Le Riflessioni non corrispondono ad "aforismi" da intendersi come "massime di saggezza". Ciò che è "decisivo non è", "che cosa si rappresenti e che cosa venga riunito a formare una costruzione rappresentativa", "bensì solo come si ponga la domanda e assolutamente il fatto che si domandi dell'essere". Dal "tentativo" di Heidegger di riconoscere la "storia dell'Essere" nei suoi segni quotidiani nasce un manoscritto che, dall'inizio degli anni trenta fino all'inizio degli anni settanta, interpreta anche i due decenni più oscuri della storia tedesca e l'eco che ne seguì.

Nel pensatoio di Heidegger non ci sono ebrei
Dopo tutte le polemiche sull’antisemitismo del filosofo, esce il primo volume dei «Quaderni neri» e si scopre che è dedicato alla questione dell’Essere. Di politica si parla solo per criticare il nazismo
6 nov 2015 Libero SIMONEPALIAGA
Finalmente, filosofia! Dopo oltre un anno di polemiche, voyeristicamente amplificate, sull’onnipresente antisemitismo, in Italia è stato tradotto il primo dei tre volumi che compongono i cosiddetti Quaderni neri di Martin Heidegger. Per mesi non si è fatto che parlare dell’antisemitismo di quello che viene considerato uno dei più influenti pensatori del Novecento. Invece ora, accantonati i pettegolezzi, possiamo leggere direttamente le sue parole e non quanto riportato, magari decontestualizzato, in articoli di giornale scritti per fare chiasso e conquistare visibilità - «evviva il chiasso e la mediocrità» annota amaramente Heidegger - e non per passione civile. Dalla lettura delle pagine di queste annotazioni è possibile scivolare di soppiatto nel suo studiolo e forse sorprendere il filosofo mentre si accinge ad approntare gli strumenti che gli serviranno poi a pensare. E scoprire, senza stupirsi più di tanto, che il cuore delle sue preoccupazioni nei Quaderni non sono certo gli ebrei, come alcuni insinuavano, ma la filosofia. O meglio quella che lui chiama «la questione dell’essere».
     Ora, leggendo le pagine di questo volume a colpire non sono quindi le dichiarazioni antisemite, che compariranno appena nel prossimo, previsto per gennaio. Anche se, si badi, non ci si aspetti un trattato di antisemitismo, come quelli scritti da Lutero e Voltaire: qui stiamo parlando di appena 17 occorrenze in quasi duemila pagine di diario filosofico. E hanno un significato ben diverso da quello sospettato, simile piuttosto a quanto Heidegger scrive di Platone, del cristianesimo, del comunismo e anche del nazionalsocialismo. Ma ora, al di là delle opinione da bar, lo possiamo appurare grazie a Bompiani e alla virtuosa traduzione di Alessandra Iadicicco ché da oggi troviamo nelle librerie i Quaderni Neri. 1931-1938: riflessioni (II-VI) (pp. 702, euro 28). È difficile trovare, nella cultura europea del Novecento, un contributo simile, forse solo in Cioran e Andrea Emo, ma parliamo di pensatori di ben altro rango. Non si tratta infatti di frammenti postumi né di aforismi. Piuttosto di annotazioni, quasi giornaliere, che Heidegger riporta su quaderni dalla copertina nera. Tra le annotazioni non si scoprono grosse novità rispetto ai libri pubblicati. Si riesce però ad assaporare l’atmosfera in cui lavora e soprattutto la Stimmung, la tonalità emotiva, che lo ghermisce. Soprattutto quando assume l’incarico di rettore dell’Università di Friburgo che in molti hanno interpretato come la significativa prova della sua adesione al nazionalsocialismo. Eppure sono dubbi e perplessità, già nel 1932, ad afferrare il mago di Messkirch. «Spinto all'assunzione del rettorato», scrive Il filosofo tedesco Martin Heidegger (1889-1976) ritratto dal pittore Michael Kunze (1961). A sinistra, la copertina del primo volume dei «Quaderni neri»
Heidegger, «agisco per la prima volta contro la voce più intima. Ricoprendo questa carica, nel migliore dei casi, potrò in ogni caso impedire questo o quello. Per una ricostruzione - ammesso che sia affatto possibile - mancano gli uomini». Ma già qualche anno dopo, siamo probabilmente nel 1936, lo scetticismo iniziale si trasforma in amarezza e delusione. Forse per l’occasione persa. «Il grande errore del discorso di rettorato sta certamente nel fatto che in esso si assume che nello spazio dell’università tedesca vi sia ancora una stirpe segreta di domandanti, nel fatto che in esso ancora si spera che costoro si facciano condurre al lavoro dell’interiore trasformazione. Ma né quelli che sono invalsi finora, né coloro che sono giunti nel frattempo appartengono a questa stirpe. Del fatto che essi ne restino esclusi vi è oggi sotto gli occhi di tutti il segno più chiaro: essi si sono messi d’accordo, si sono trovati e soprattutto, intanto hanno fatto i loro affari».
Gli anni convulsi della Repubblica di Weimar avevano fatto sperare Heidegger, e la gran parte dei tedeschi, che un futuro diverso fosse possibile. A conti fatti invece è la delusione a fare capolino. E siamo ancora nel 1932, a pochi mesi dalla nomina di Hitler a cancelliere del Reich. «I molti che adesso parlano della razza e della radicatezza nel suolo, e che in ogni parola, in ogni opera e omissione mettono se stessi nel ridicolo e dimostrano non solo di non possedere affatto nulla di tutto questo, figuriamoci poi se, in fondo, essi siano di razza e radicati nel suolo».
Emerge dai Quaderni un Heidegger ben diverso dalle caricature balzate dalle pagine dei giornali. Un Heidegger che riconosce come «tutta la degenerazione dell’epoca che sta per trascorrere si rivela nel fatto di non saper produrre altro che un contromovimento, nient’altro che le chiacchiere e lo strepito da dilettanti della scienza politica». Speriamo che di ciò facciano tesoro gli interpreti del pensatore tedesco e che non badino invece, per citarlo nuovamente, «a fare i loro affari».      

L’ideale di Heidegger: un nazismo «ispirato» 
Il pensatore si proponeva come guida filosofica del Terzo Reich  Un giudizio a due facce Definiva «barbarico» il partito della svastica ma in ciò vedeva anche la sua potenziale grandezza se si fosse sbarazzato del «torbido biologismo» 
2 nov 2015  Corriere della Sera Donatella Di Cesare
Il nazionalsocialismo è un principio barbarico ». È questa una delle sentenze più famose — ma anche più fraintese — dei Quaderni neri 1931-1938, che stanno per uscire in italiano per la casa editrice Bompiani. Li ha tradotti con rigore e fedeltà Alessandra Iadicicco, che nella sua «Avvertenza» si sofferma giustamente sulla «complessità» delle annotazioni e sulla «profondità del loro respiro teoretico». Vale la pena sottolineare che la traduzione italiana è la prima nel mondo — a indicare non solo l’interesse diffuso per questo tema, che ha coinvolto un pubblico molto vasto, ma anche la capacità della cultura italiana di accogliere temi e questioni, che vengono da fuori, rendendosi tuttavia protagonista del dibattito. 

I Quaderni neri 1931-1938 — che nella Gesamtausgabe, nell’opera completa, costituiscono il volume 94 — sono anzitutto un diario filosofico in cui Martin Heidegger riflette anno per anno, mese per mese, talvolta giorno per giorno, sugli avvenimenti politici più significativi. E non potrebbe essere diversamente, dal momento che quello è il tempo in cui la Germania è attesa sulla scena della storia, per cambiarne il corso, per salvare l’Occidente. Heidegger ne è convinto, così come d’altra parte è certo che nessun cambiamento potrà esserci senza la filosofia. Tanto più che la Germania è il paese di Dichter und Denker, di «poeti e pensatori». Dovranno essere loro — anche a costo di «errare» — l’avanguardia del nuovo movimento. 
Già, però, nel 1932 Heidegger annota: Führersein, «Essere-capo — non: precedere, bensì poter procedere da soli». Si delinea sin dall’inizio un dissidio, destinato ad acuirsi con il tempo, non tra politica e filosofia, come si è sempre creduto, bensì tra due modi profondamente diversi di intendere quel mutamento radicale che sta per compiersi nella storia tedesca. 
Le pagine dei Quaderni neri 1931-1938 sfatano definitivamente un mito: che Heidegger abbia aderito solo per pochi mesi al nazionalsocialismo, tra il 1933 e il 1934, e che il periodo del rettorato abbia costituito un intermezzo politico. Non è così. La sua adesione è piena, il suo impegno si prolunga nel tempo, per tutti gli anni Trenta e oltre. Né c’è alcuno iato, per lui, tra politica e filosofia. La difficoltà personale di ricoprire una carica pubblica — «spinto all’assunzione del rettorato agisco per la prima volta contro la voce più intima» — è giustificata dalla «incomparabilità dell’ora mondiale». E anche più tardi, dopo le dimissioni, Heidegger rivendica quella scelta: «si crede che il mio “discorso del rettorato” non faccia parte della mia filosofia; posto che io ne abbia una. Eppure in esso si enuncia qualcosa di essenziale». L’errore è stato piuttosto quello di supporre che all’università tedesca vi fosse una «generazione nascosta» in grado di interrogarsi, compiendo perciò su di sé un lavoro di trasformazione interiore. 
Sebbene la vicenda del rettorato, com’è facile immaginare, occupi una parte rilevante dei Quaderni neri 1931-1938, numerosi e vari sono i temi trattati. Vanno da una ripresa della propria opera, in particolare Essere e tempo, il capolavoro mai portato a termine, alla interpretazione della poesia di Friedrich Hölderlin, cui in quegli anni Heidegger dedica alcuni corsi universitari, fino ai temi più noti, quali la critica alla metafisica e l’insistenza sull’oblio dell’Essere, quella dimenticanza per cui tutti, nella tarda modernità, nell’epoca della tecnica, vivono dispersi tra gli enti, quasi in un sonno ontico. 
La filosofia, ricordando l’Essere, ridestando da quel sonno, assume un valore esortativo, un ruolo liberatorio. «Il filosofo non è mai fondatore — egli salta innanzi e se ne sta là da una parte e fomenta la chiarezza del domandare e protegge la durezza del concetto». Molte pagine di questi primi Quaderni neri sono dedicate alla riflessione sulla filosofia, una riflessione che, dopo il 1934, l’anno della crisi, diventa una strenua, aspra e indidignata difesa. La politica che non è filosofica, che vuole, anzi, essere svincolata dalla filosofia, finisce per essere «nient’altro che le chiacchiere e lo strepito da dilettanti della “scienza politica”». Di più: finisce per ridursi a strumento della tecnica. « La nuova politica è un’intima conseguenza essenziale della “tecnica” ».

Ecco che cosa distingue il nazionalsocialismo nel modo in cui lo intende Heidegger, pronto a essere guida filosofica del movimento, da quel nazionalsocialismo che pretenderebbe di non avere nulla a che fare con la «teoria», che richiamandosi a Mein Kampf vuole essere «azione», che in fondo condivide la ideologia di un « torbido biologismo », che insomma filosoficamente non solo non è nulla di nuovo, ma è un inconsapevole scientismo a buon mercato. «Oggi si può già parlare di un “nazionalsocialismo volgare”; con ciò intendo il mondo, i parametri, le pretese e l’atteggiamento del gazzettiere e del professionista della cultura».
È in tale contesto che Heidegger scrive: «Il nazionalsocialismo è un principio barbarico. Questo è il suo tratto essenziale e la sua possibile grandezza. Il pericolo non sta nel nazionalsocialismo stesso, bensì nel fatto che esso venga minimizzato a una predica su ciò che è vero, buono, bello (così si è detto nel corso di una serata educativa). E nel fatto che quelli che vogliono fare la sua filosofia, a tal fine non ricorrono a niente altro che alla ben nota “logica” del pensiero comune e della scienza esatta».
Heidegger non si chiama fuori. Non c’è traccia di una presa di distanza dal «nazionalsocialismo», visto come movimento che sa rispondere all’urgenza politica del momento; piuttosto il contrasto sta nel modo di concepirlo. Solo se sarà sostenuto e «guidato» da una filosofia, in grado di attraversare la notte dell’Essere, e di avviarsi verso l’alba di un «altro inizio», quel «socialismo nazionale» potrà rappresentare il nuovo movimento politico capace di coinvolgere il «popolo» tedesco e farne l’avanguardia dei popoli europei.
Con il passare degli anni, mentre appare evidente che questa missione affidata al popolo tedesco è condannata al fallimento, Heidegger resta, malgrado tutto, nel suo avamposto filosofico.      

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