domenica 8 novembre 2015
Una difesa postuma dell'Illuminismo
di Joel Mokyr Domenica del Sole 24Ore 8.11.15
L’Illuminismo ha fruttato? La domanda
sembra sacrilega. Dopo tutto, il secolo dei lumi ci ha insegnato ad
essere democratici, a credere nei diritti umani, nella tolleranza e
nella libertà di espressione; tutti valori reputati fondamentali nel
mondo moderno. Eppure non si può fare a meno di notare come, tra il
diciottesimo e il ventesimo secolo, i paesi che hanno abbracciato gli
ideali dell’Illuminismo si siano industrializzati ed arricchiti, mentre
altri, come Spagna e Russia, siano rimasti indietro. Certo, la
correlazione non implica un rapporto causa-effetto, ma questa visione
resta suggestiva.
La sconfinata storiografia al riguardo si concentra
principalmente sul ruolo che l’Illuminismo ha avuto nella nascita delle
costituzioni democratiche e delle istituzioni ispirate agli ideali di
uguaglianza, fratellanza e libertà. Questa prospettiva tuttavia mette in
ombra alcuni degli effetti più incisivi e irreversibili del fenomeno:
attraverso il progresso, esso ci ha resi ricchi e ha migliorato le
nostre condizioni di vita.
Questo aspetto è in qualche modo sfuggito
alle osservazioni degli storici, specialmente quelli di economia
interessati principalmente all’analisi di fattori di mercato come
risorse e prezzi. Ricondurre i cambiamenti economici a cause puramente
economiche è tipico dell’approccio del materialismo storico, una teoria
associata sì al marxismo, ma fatta propria anche da economisti del
libero mercato. Sulla scia degli studi di John Maynard Keynes,
recentemente si è iniziato a comprendere che anche la cultura può essere
utilizzata nei modelli economici, sebbene il concetto non sia facile da
definire e formalizzare.
Premio Balzan 2015 per la Storia economica
Un’idea
scontata al giorno d’oggi, eppure rivoluzionaria in un periodo in cui
la vita, per la maggior parte delle persone, era ancora quell’esperienza
breve e difficile di mille anni prima. In questo contesto, una piccola
comunità di intellettuali europei pose le basi per un cambiamento
storico epocale.
Le radici di questo sviluppo si possono ricondurre a
un momento ancora precedente. Il concetto di “conoscenza utile” che sta
alla base dei progressi dell’Illuminismo può essere ricondotto alla
concezione filosofica di Bacone. Nel suo Novum Organon, egli aveva
infatti riconosciuto come la conoscenza dell’ambiente fisico fosse la
chiave del progresso materiale: la scienza finiva così di essere una
pratica atta a soddisfare bisogni metafisici o a celebrare la saggezza
del creatore, ma diventava uno strumento di progresso. Perché questo
potesse compiersi, la comunicazione scientifica divenne centrale. La
cosiddetta repubblica delle scienze, una comunità transnazionale di
scienziati, si adoperò per creare enciclopedie - quella di Diderot è
forse l’emblema dell’Illuminismo - compendi e dizionari, che potessero
facilitare la condivisione intellettuale nell’ottica del progresso
umano. In questo modo prese sempre più campo l’idea che il progresso
materiale fosse una conseguenza dell’applicazione della conoscenza
utile.
La convinzione di Bacone secondo la quale un’applicazione
sistematica della conoscenza utile avrebbe sospinto il progresso in modo
irreversibile sembrava ormai divenuta realtà. Nel 1780, in una lettera
all’amico Joseph Priestley, Benjamin Franklin, figura di spicco del
movimento illuminista, esprimeva il proprio rimpianto per non poter
vedere di persona ciò che il progresso, «il potere dell’uomo sulla
materia» ormai inarrestabile, avrebbe riservato all’umanità nel futuro, e
si augurava che la moralità potesse conoscere uno sviluppo altrettanto
significativo.
In realtà il processo non fu rapido: il mondo naturale
si dimostrò più complesso di quanto ci si potesse aspettare. Interi
settori del sapere risentirono per decenni del lento sviluppo di
discipline come la fisica, la chimica e la biologia, non ancora in grado
di sostenere la ricerca. In campo medico, la scoperta del vaccino
antivaiolo del 1796, rappresentò il maggior successo fino alla seconda
metà del secolo successivo. Nel settore industriale, macchine
eccezionali e innovative come la filatrice di Hargreaves non avevano
elementi così innovativi rispetto alla conoscenza tecnica dei tempi di
Archimede; e anche James Watt, nonostante il suo contributo eccezionale
allo sviluppo dei macchinari industriali, non comprese fino in fondo la
fisica del vapore. In ogni caso, nel XIX secolo si avverò il programma
ipotizzato da Bacone: la sinergia tra invenzioni e applicazioni tecniche
rese possibile un processo di interscambio continuo e duraturo che
avrebbe dato vita a un progresso altrettanto continuo e inarrestabile.
Il pieno controllo dell’energia elettrica, la diffusione dell’acciaio,
la teoria dei germi della malattia e la chimica organica, eredità
dell’Illuminismo, furono alla base della crescita industriale ed
economica dell’Occidente. Per comprendere a pieno la portata di questa
crescita basata sul continuo sviluppo della conoscenza utile, basta
osservare come essa sia uscita indenne dall’esperienza devastante delle
due guerre mondiali per continuare a rafforzarsi nella seconda metà del
XX secolo.
I critici dell’Illuminismo hanno certamente ragione
nell’osservare come questo fenomeno non abbia trasformato gli
occidentali in angioletti. Gli ideali della rivoluzione francese si
spensero in un bagno di sangue; la rivoluzione americana tollerò la
schiavitù per 70 anni a venire; le nuove tecnologie furono messe al
servizio dell’oppressione; il trattamento riservato a donne e bambini
era spesso terribile. L’Illuminismo non ha posto fine alla barbarie e
alla violenza, ma certamente ha segnato la fine della povertà nei Paesi
che hanno seguito i suoi principi; non ha migliorato la moralità
dell’uomo, ma ne ha migliorato i comfort materiali, l’accesso
all’informazione e la salute.
Che lezione politica possiamo trarre da
questa storia? Se è vero che alcuni di quei Paesi che hanno resistito
alla diffusione degli ideali illuministi, come Iran e Myanmar, hanno
pagato un caro prezzo in termini di sviluppo democratico ed economico,
non si può non riconoscere come altre realtà, ad esempio quella cinese,
siano riuscite a dar vita a un miracolo economico pur in assenza di vera
tolleranza ed apertura. Resta da vedere se la Cina sarà in grado di
assumere un ruolo guida in campo tecnologico senza adottare istituzioni
più “illuminate”. La connessione tra ideologia, cultura e sviluppo
economico è tutta da esplorare. In ogni caso, il nostro impegno per la
supremazia dell’uomo sulla materia resta inalterato. Ci siamo abituati
al concetto di un progresso costante, e abbiamo imparato una nuova
lezione: mentre l’era dell’Illuminismo era gioiosamente ignara degli
effetti ambientali dello sviluppo, oggi siamo consapevoli della
necessità di operare in modo attento e intelligente nell’uso del
progresso tecnologico. Benjamin Franklin sarebbe d’accordo.
Quindi,
se abbracciamo questa prospettiva, in che modo l’Illuminismo ha
condizionato le persone così da avere effetto sullo sviluppo economico?
Gli scrittori e i filosofi che hanno dato vita a quello che noi
definiamo Illuminismo erano un coacervo di scienziati e intellettuali
uniti dalla convinzione che il miglioramento della condizione e della
società umana fosse un obiettivo possibile, oltre che auspicabile.
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