domenica 20 dicembre 2015

Un libro su Klossowski

Guido Brivio: II labirinto di Narciso. Sade e Nietzsche nei simulacri di Pierre Klossowski, Moretti&Vitali, pp. 232, euro 18
Risvolto
Creatore infaticabile attraverso la parola filosofica, la narrazione romanzesca e l’immagine pittorica di simulacri – cioè di luoghi in cui le intensità vitali possano svelarsi – Klossowski percorre da un capo all’altro il ventesimo secolo, nella sua devozione irriducibile per quelle forze, talora passioni, talora intuizioni, che abitano l’anima umana, restituendola enigmaticamente al suo senso.
Condotto attraverso lo sguardo di due figure cardine del pensiero eterodosso occidentale – Sade e Nietzsche – riflesse nello specchio inquietante del più inclassificabile dei pensatori francesi contemporanei, l’occhio del lettore è invitato a un viaggio che lo spinge a interrogarsi sul significato dell’immagine e della fantasia, dell’eros e del corpo, del tempo e del mito, seguendo le tracce di un doppio sentiero in cui dispersione e raccoglimento, volontà e abbandono, parola e silenzio divengono i termini di un itinerario paradossale come unica via possibile all’esperienza dell’indicibile.


Altro che Freud, l’io si è perso negli scellerati Sade e Nietzsche 
0 dic 2015  Libero GIANLUCA VENEZIANI 
Se, come nel cartoon Inside Out, la nostra identità è costituita da differenti tonalità emotive (Stimmungen), è altrettanto vero che esse di volta in volta, in una sorta di eterno ritorno, si ricompongono in un singolo io, dando vita alla rappresentazione della continuità individuale. 
Da questa dialettica insolubile tra forma soggettiva e forze extra-individuali, tra “rappresentazione” e “intensità”, parte il filosofo Guido Brivio nel suo libro II labirinto di Narciso (Moretti&Vitali, pp. 232, euro 18) per indagare il «pensiero del simulacro» nell’intellettuale francese Pierre Klossowski, attraverso i suoi alter ego Sade e Nietzsche e la rilettura di due suoi testi fondamentali: Il filosofo scellerato e Nietzsche e il circolo vizioso. 
Simulacri, in Klossowski, sono al contempo l’individuo e la parola, come ricettacoli di intensità che li precedono e li sovrastano, come rappresentazioni abitate da esperienze - al contempo pulsioni, tensioni emotive e perversioni - che poi vengono tradotte e tradite, espresse e al contempo omesse nell’io e nel suo linguaggio. 
Tramite Sade, Klossowski mostra così il limite della parola, incapace di esaurire e mantenere viva la pienezza dell’esperienza, e anzi sempre sottoposta al rischio di svuotarla, offrendone un’immagine estetizzata, codificata, normativa e quindi falsa (è la cosiddetta possibilità rappresentativa del linguaggio). Allo stesso tempo però la parola può volgersi verso lo spirito anziché la lettera, diventando fenomeno spirituale, luogo espressivo della verità, intesa come idea platonica (è la possibilità espressiva del linguaggio). 
In questa dicotomia si gioca non solo il destino della traduzione della verità nella parola (del Verbo nel Vero), ma anche la sorte stessa del soggetto, che dall’espressione di quelle intensità fa dipendere la propria identità. 
Se infatti in Sade la parola non è che la rappresentazione di una forza vitale e quindi il suo depauperamento, essa è anche l’unico veicolo tramite il quale quella stessa intensità può raggiungerci. E dunque, se l’individuo è solo la codificazione di un dinamismo di forze, quelle stesse forze (che sembrano aprire a una dimensione extra-individuale) possono trovare sfogo solo nell’individuo (da cui il ritorno all’ineludibilità del soggetto). 
È l’inesauribilità del circolo vizioso che Klossowski ravvisa pure in Nietzsche. Nietzsche, come Narciso, davanti a uno specchio ha una doppia possibilità: rimanere imprigionato nella rappresentazione riflessa nell’acqua (in una coincidenza soffocante con il sé) oppure sondare oltre quell’immagine, per scrutare le profondità degli abissi che vi si celano. In quest’ultimo caso, l’io correrà il rischio di perdersi, moltiplicandosi in infinite identità, o al contrario sarà in grado di ritrovarsi, scoprendo che la vera identità è aderire fino alle intensità, cioè al non-essere dell’io. 
Questa perpetua dialettica, avverte Brivio, potrà condurre a una conclusione nichilistica (la dispersione del sé) oppure a un esito metafisico: ossia alla convinzione che i sé che ci costituiscono non sono mere tonalità emotive o stati psicologici, ma realtà ontologiche, una sorta di divinità che ci abitano e fanno del nostro io «una danza in cerchio degli dèi».

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