martedì 8 dicembre 2015

Il libro di Domenico Moro sulla crisi economica e produttiva italiana

Globalizzazione e decadenza industriale. L'Italia tra delocalizzazioni, «crisi secolare» ed euroDomenico Moro: Globalizzazione e decadenza industriale. L'Italia tra delocalizzazioni, «crisi secolare» ed euro, Imprimatur, pp. 250, euro 16

Risvolto

I risultati economici e sociali dell'Italia sono da vent'anni tra i peggiori dei Paesi avanzati. Bassa crescita del Pil, alta disoccupazione, alto debito pubblico, bassi investimenti, contrazione della base industriale. Il senso comune attribuisce tale situazione esclusivamente alle inefficienze e agli sprechi della politica, e alla mancata realizzazione di adeguate riforme liberiste. Eppure, si dimentica che quanto accade è, prima di tutto, influenzato da tre fenomeni di importanza epocale. Il primo è la realizzazione del mercato mondiale che ha trasformato le imprese, delocalizzato gli investimenti e decretato la fine delle tradizionali politiche pubbliche degli Stati-nazione. Il secondo è la "crisi secolare" che rimette in discussione la capacità del capitalismo di garantire lo sviluppo economico e la soddisfazione dei bisogni collettivi. Il terzo è l'integrazione valutaria europea che, rigidamente allineata alle logiche neoliberiste, ha peggiorato l'impatto della crisi. Se se ne vuole uscire, bisogna prima di tutto andare al di là dei luoghi comuni e capire i meccanismi della globalizzazione e dell'integrazione europea. Domenico Moro ce li spiega in questo volume impreziosito da grafici e tabelle esplicative.


Non basta il terziario Per crescere davvero serve la manifattura 
Non il solito made in Italy salverà l’Italia. Tanto più se quella che al momento otteniamo è una crescita che non raggiunge l’1 per cento. Anzi, proprio in questi giorni viviamo la terribile farsa del balletto delle cifre. Cresciamo dello 0,8 o dello 0,9 per cento? E le rosee aspettative che ci attestavano all’1 tondo tondo dove sono finite? Vi rendete conto che comunque vada parliamo di decimali? Ben lungi dunque da quella che dovrebbe essere un’autentica crescita. Ma è possibile che l’Italia, ancora oggi secondo Paese manifatturiero d’Europa, non riesca ad andare al di là di così stitiche percentuali? 
Una risposta la si può trovare nell’eccellente di Domenico Moro (Imprimatur, pp. 250, euro 16). Moro, ricercatore presso l’Istat e già autore de Il gruppo Bilderberg, non fa sconti alla vulgata che tiene al palo l’Italia. Dagli anni Ottanta si esaltano le virtù green del settore terziario, quello dei servizi. E verso quella direzione abbiamo provato a convertire la nostra economia perché, si diceva, questo sarebbe stato il futuro. Peccato che «il turismo e il terziario», come scrive giustamente Moro, «non sono in grado da soli di sostenere l’economia e il reddito di un paese. Anzi l’industria e la manifattura sono la base per lo sviluppo sia del turismo sia di altri importanti settori del terziario». E non si tratta di opinioni. 
Non è un caso che l’amministrazione Obama stia provando da anni a riportare negli Stati Uniti le industrie manifatturiere che in tempi di ubriacatura neoliberista si volevano invece delocalizzare. E non diversamente fa Angela Merkel con la sua Germania, capace di realizzare il maggiore surplus commerciale mondiale della bilancia commerciale con l’estero. Da noi invece nessuna strategia per far rientrare le aziende che hanno preferito investire in Transnistria, Bulgaria, Armenia, Romania e altri Paesi dell’Europa orientale. Nessuna politica messa in atto da governi per far sì che l’Italia torni a essere «un’esportatrice di merci e non di capitali».  
E non si tratta tanto di riportare in Italia i soliti Moncler, Prada, Tod's. Il made in Italy, identificato con il lusso, la moda e l’alimentare, non è la forza trainante dell’economia. A pesare sono il settore meccanico, soprattutto macchine utensili e mezzi di trasporto, quello farmaceutico e la raffinazione dei prodotti petroliferi, non certo il settore dei servizi. Quando si comincerà a capire che la salute di un’economia non dipende dai servizi si intravvederà la luce fuori dal tunnel.

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