mercoledì 9 dicembre 2015

Un romanzo gotico e uno pseudonimo

 Weltmann Sandor: Città di mare con nebbia, a cura di Hans Tuzzi, Skira
Risvolto

"Veridica relazione degli strani eventi accaduti nella nostra città l'inverno 1888, così come da me registrati..." Con queste parole, cariche di mistero e aspettativa, inizia il documento che il narratore dice di aver trovato nel cassetto segreto di un mobile di famiglia. E ben più che strani sono gli eventi che si svolgono in una ricca e tranquilla città di mare affacciata sul Baltico negli anni in cui la navigazione a vapore ha ormai sostituito i grandi velieri. Proprio su una di queste navi in città - in concomitanza con inspiegabili aggressioni notturne - giunge un misterioso straniero dal profilo rapace, che reca al seguito un servitore dall'aspetto inquietante. Mentre la paura si insinua come nebbia sottile, le autorità indagano e l'attenzione del lucido e razionale capitano Veidt si concentra sempre più sullo straniero misterioso. E la vicenda, una città e il Male, si dipana, veloce ed essenziale, secondo moduli propri al grande cinema dell'espressionismo tedesco, sino a una fine sinistra, che non dissolve l'orrore. 


Caccia al vero autore del gotico sapiente 
Esce «Città di mare con nebbia» (Skira) e suscita sospetti su chi lo ha scritto 
9 dic 2015  Corriere della Sera Di Ranieri Polese © RIPRODUZIONE RISERVATA 
Un manoscritto ritrovato, anzi due; uno pseudonimo che rimanda al cinema espressionista tedesco; personaggi della vicenda — una serie di macabri delitti sconvolge una città portuale del Nord della Germania nell’anno 1888 — che si chiamano come registi, scrittori, figure letterarie: Città di mare con nebbia è un romanzo gotico alla maniera antica, dove il Male irrompe nella vita quotidiana e, così come appare, inspiegabilmente si dissolve. Nel frattempo si trovano cadaveri da cui è stato estirpato il cuore; ratti decapitati deposti in una chiesa; una tomba che nasconde mostri pronti a scatenarsi. 
Sandor Weltmann, l’autore presunto, si chiama come l’illusionista alter ego di Mabuse nel film di Fritz Lang (1922); il canonico Polidori rimanda al medico, amico di Byron, autore de Il vampiro; il poeta Scardanelli prende il nome scelto da Hölderlin una volta precipitato nella follia; con il dottor Wiene e il capitano Weidt siamo dalle parti del Gabinetto del dottor Caligari (1920), il capolavoro del regista Robert Wiene interpretato da Konrad Weidt. Ma ci sono molti altri riferimenti più o meno nascosti che costellano questo gioco erudito, che manipola anche il più usato trucco dei romanzi ottocenteschi, il manoscritto ritrovato. 
Qui, dicevamo, ce ne sono due: il primo è reperito in un cassetto segreto di un vecchio mobile di famiglia messo in vendita negli anni della Repubblica di Weimar. Ma c’è il nuovo ritrovamento (la copia di un dattiloscritto che riproduce fedelmente l’originale), ai giorni nostri: Hans Tuzzi, curatore e traduttore (?) dell’opera, lo avrebbe rinvenuto nella biblioteca di una signora tedesca morta a Milano. Non serve essere Sherlock Holmes per capire che si tratta di una finzione. Ma chi è allora l’autore? Il maggior indiziato è proprio Hans Tuzzi, cui si deve una serie di gialli ambientati a Milano, non a caso firmati con uno pseudonimo, ancora una volta preso in prestito da un’opera letteraria, L’uomo senza qualità di Musil.

Scene da un abisso il racconto del Male in cerca d’autore FRANCO MARCOALDI Repubblica 3 1 2016
Basta leggere le prime righe del romanzo di Sandor Weltmann, Città di mare con nebbia, per capire cosa ci attende: «Come è triste, la sera, l’estuario del fiume, quando i vapori delle acque, sipario immobile e lugubre, nascondono alla vista ogni cosa». Altrettanto indicativa è la copertina del libro, che riprende un particolare del quadro Chiaro di luna sul mare del pittore romantico Caspar David Friedrich. Senza contare, infine, la ripetuta citazione dell’Isola dei morti di Böklin: «Fu in una sera così, nel tempo che i padri dei nostri padri erano giovani, che una barca misteriosa, stretta, lunga, nera come una gondola, come una bara, scivolò silenziosa verso il mare». Abbiamo letto appena due pagine e già siamo finiti mani e piedi dentro un’atmosfera gotica, nordica, cupa — dove il fantastico e l’orrore regnano sovrani, muovendosi nell’impalpabilità nebbiosa di una indefinita località affacciata sul mar Baltico. È l’inverno del 1888 e una rapida successione di eventi terribili e inspiegabili — commenta Veidt, il capo della polizia — tiene «questa nostra povera città sotto l’ombra della paura». Come potrebbe essere altrimenti? Nella cappella della cattedrale sono state rivenute «le carogne decapitate di sette ratti di chiavica disposte a raggiera ». Svariati cittadini, con il petto squarciato, sono stati trovati per strada in un lago di sangue. Giovani vergini fanno sogni funesti e premonitori, mentre una mano sconosciuta continua a strappare il cuore di corvi e gabbiani.
I maggiorenti della città cercano di venire a capo di questo incubo senza soluzione, via via che alcune ombre fuoriescono a stento dalla nebbia e prendono corpo: una specie di nano di rara possanza fisica, giovani gitani vestiti d’arancione, il vecchio barone Bajazzo dal volto grifagno. Infine, ecco affacciarsi il mostro, la bestia, l’indefinibile creatura demoniaca che qualcuno ha risvegliato e che ora reclama di essere nutrita, col sangue. «Perché se uno crede all’Abisso, e lo invoca, già perciò stesso l’Abisso esiste».
Come nella migliore tradizione degli Hoffmann e dei Poe, in questa nera vicenda sul Male (misterioso, assoluto, inafferrabile) nulla è chiaro, eppure tutto è pertinente. Nulla segue la nostra lineare logica diurna, ma fitta e cogente è la trama di rimandi notturni di ordine simbolico, misteriosofico, occultista, che vengono ripresi con sapienza nella postfazione di Hans Tuzzi, il quale compare qui come traduttore e curatore del volume. A meno che non sia il segreto demiurgo di una storia che pare tagliata su misura per lui — raffinato bibliofilo attratto dall’uso di pseudonimi, scrittore di gialli, amante dei giochi di specchi e mise en abyme. Tutti elementi che giocano un ruolo decisivo in questa misteriosa vicenda. L’identità dell’autore (Sandor Weltmann) rimane infatti oscura, essendo quel nome nient’altro che «la maschera di una maschera», una delle «tante false identità» del Mabuse di Fritz Lang. Quanto al romanzo, la sua pubblicazione italiana sarebbe dovuta a un rocambolesco ritrovamento del curatore nella biblioteca di una signora tedesca. E il gioco di specchi non finisce qui, visto che in avvio della storia a parlarci è una voce che a sua volta fa riferimento a un altro ritrovamento, di un altro manoscritto, da cui tutto ha preso piede: «La veridica relazione degli strani eventi accaduti nella nostra città l’inverno 1888».
Resterebbe infine da dire qualcosa sui dotti rimandi di Tuzzi alle infinite citazioni sottotraccia presenti nel romanzo: il Pessoa dedito all’occultismo, il «budino agli amaretti » così frequente in casa Buddenbrook, il cinema espressionista tedesco. Un libro nel libro, per l’appunto. Un labirinto di ingegnosi stratagemmi letterari.
Ma tutto questo viene dopo, leggendo la postfazione del curatore. Prima, per il lettore, è garantito il brivido di una storia di nebbie, orrori e fantasmi. Una storia sulla Bestia, l’Ombra e il Male: folle, eppure plausibile. Perché folle può essere la fantasia umana, a maggior ragione nei frangenti storici più bui.

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