lunedì 14 dicembre 2015

Una biografia di Margherita Sarfatti

Margherita SarfattiRachele Ferrario: Margherita Sarfatti. La regina dell’arte nell’Italia fascista, Mondadori, pp. 403, e. 25

Risvolto
Scrittrice e giornalista, Margherita Sarfatti è stata anche il primo critico d’arte donna in Europa: fonda il gruppo “Novecento”, progetta mostre, frequenta gli atelier degli artisti, discute le opere con loro o le compra per sé. La sua influenza sulla cultura e sull’arte italiane sono incomparabili. Questa dettagliatissima biografia rivela una protagonista della nostra storia troppo a lungo rimasta appiattita su Mussolini. Essere stata l’amante del duce, prima socialista e poi fascista, colta, ricca, bella, appartenente a un’élite internazionale, l’ha trasformata dopo la caduta del fascismo in un facile capro espiatorio. Grazie a una capillare ricerca documentaria e di carteggi inediti – con Ugo Ojetti, Ada Negri e lo stesso Mussolini, e un testamento redatto dalla stessa Sarfatti quando ha appena trent’anni – Rachele Ferrario restituisce il temperamento di una donna libera, che vive in anticipo sul proprio tempo e non ama sentirsi dire di no. Nemmeno dal duce. Moderna e femminista, Margherita non coincide con il modello fascista della donna. Rappresenta piuttosto l’altra faccia della femminilità: è per l’emancipazione, il voto alle donne e l’amore libero. Anche se non ne veste gli abiti, nella sostanza incarna l’ideale della “maschietta” futurista. E ciò spiega il legame non solo artistico con Boccioni.


Ma la Sarfatti non fu soltanto l’amante del Dux 
Mirella Serri Stampa 13 12 2015
Chi era veramente Margherita Sarfatti nata Grassini? Una donna colta, intelligente ma soprattutto prona ai voleri del suo «Dux» di cui ha sopportato la prepotenza, i tradimenti e le angherie fino al momento in cui, con l’emanazione delle leggi razziali, è stata costretta a guardare in faccia la realtà e a fuggire in Argentina e poi in Uruguay? Oppure si tratta di una personalità ancora tutta da scoprire, di un’intellettuale raffinata che ha dato un forte incentivo alla ricerca artistica italiana? Non a caso il bel saggio dedicato a Margherita Sarfatti di Rachele Ferrario, appena uscito da Mondadori e che si avvale di molto materiale inedito, è accompagnato dal sottotitolo La regina dell’arte nell’Italia fascista (pp. 403, e. 25). 
La futura amante del Duce di ricca famiglia ebraica, è un’ innovatrice fin dal primo decennio del Novecento, quando, militante socialista, vicina ai movimenti femminili, collabora con la rivista La difesa delle lavoratrici di Anna Kuliscioff. Intanto si qualifica come un’emergente critica d’arte, in grado di capovolgere i canoni dell’arte moderna: nel 1922 con Ubaldo Oppi e Mario Sironi dà vita al «Gruppo del Novecento» e quattro anni dopo si cimenta con una nuova esposizione che accoglie il meglio dell’arte italiana: Carrà, De Chirico, Morandi, Martini, Balla, Depero, Severini. 
Anche sul piano personale, secondo l’approfondito lavoro della Ferrario, riserva molte sorprese: «Una specie di appassionato fiuto mi sospinge verso la gente d’ingegno», scrive di se stessa. Non c’è dubbio che la «collezionista di celebrità», come si autodefinisce, un certo fiuto l’aveva: a restare catturati dal suo fascino vi furono, tra gli altri, Guglielmo Marconi, Umberto Boccioni, che la ritrae come un’icona della femminilità futurista, Luigi Russolo, che le scrive dal fronte lettere appassionate, e molti altri. 
Mussolini, che lei educò, svezzò culturalmente, per anni fu condizionato dai suoi gusti e dalle sue scelte. Nella vita, insomma, come nel suo impegno nel mondo dell’arte, la Sarfatti non coincide con il clichè di donna asservita alle scelte del «Dux» di cui scrisse la celebre biografia. Un cliché che, quando nel dopoguerra rientrerà in Italia, la condannerà a essere straniera in patria e messa al bando. Nonostante avesse ripensato in chiave critica il suo passato: dopo la morte del dittatore scriverà un libro-confessione. «My Fault», “Il mio errore”. Ma non sarà mai pubblicato in Italia. 

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