mercoledì 20 gennaio 2016
"Cina capitalista" o Cina ancora troppo feudale?
Così poveri da vivere in villaggi non citati sulle mappe
Via dalla città, il ritorno ai campi dei contadini fantasma di Canton
di Carlo Pizzati La Stampa 20.1.16
Tra
le prime vittime del rallentamento nella crescita economica della Cina
ci sono circa 300 mila contadini «fantasma» che da 24 anni coltivano le
terre attorno al delta del fiume delle Perle, nella provincia di
Guangdong, nota anche come Canton.
Vengono dalle ripide valli più a
nord, terre così aride che chi ci vive è affrancato dalla tassa della
«responsabilità di produzione», una vera e propria decima costituita da
una certa quantità di cibo che gli agricoltori devono cedere ogni anno
alle autorità. Terre misere che generano miseria.
Per fortuna, con
il primo boom economico cinese negli anni ’80 e poi negli anni ’90,
alcune terre fertili, laggiù in pianura, vicino all’irrigazione delle
acque del fiume, si liberarono. Non per essere vendute, ma affittate.
Non
che i contadini poveri della valli di Yangshan potessero permettersi di
comprarle, ma ad ogni modo i proprietari che approfittando del boom si
trasferivano a centinaia di migliaia nelle fabbriche della città
cercando una vita diversa e più guadagni, non potevano venderle neanche
volendo, a causa di un’antica proibizione ad abbandonare le terre,
legata all’obbligo della «responsabilità di produzione». Fu l’apertura
di una nuova vita per centinaia di famiglie di «contadini surrogati» che
qui chiamano i daigengnong che finalmente avevano trovato campi fertili
in affitto.
Prendiamo ad esempio la storia di Cheng Wufu. Oggi ha
58 anni ed è il capo-villaggio di un luogo che sulla mappa si chiama
Leping, nel distretto di Foshan, provincia di Guangdong. Ogni mattina si
sveglia all’alba in una stanzetta di 5 metri quadrati per coltivare le
terre che ha affittato da un quarto di secolo, come ha raccontato al
Global Times. Negli anni ’80 lui e i suoi compaesani erano così poveri,
ha detto Cheng, «che il solo modo di guadagnare era fabbricarsi scope da
vendere al mercato per poi comprare del sale». Nel 1991 decise allora
di lasciare la valle avara di Dali portando con sé 48 famiglie.
Arrivati
a Yangcheng, i daigengnong guidati da Cheng Wufu rimasero otto anni
senza elettricità e sei anni senza acqua corrente. Non fu subito
benessere, per quanto relativo. Poi, tra il 2001 e il 2005, lentamente,
le tasse per gli agricoltori diminuirono da nove a una. Poi anche
quest’ultima fu abolita. Con più soldi, aumentarono anche i daigengnong,
i «contadini fantasma», che non possono comprare terre e che
ufficialmente risultano come perennemente migranti.
Ora quelle 48
famiglie di Dali affittano 26 ettari di terra, ma non possono essere
iscritti all’anagrafe locale e non possono ricevere sussidi e aiuti
dallo Stato. E i villaggi come Yancheng non compaiono nelle mappe,
perché i nuovi nomi e i loro insediamenti permanenti non sono
riconosciuti dal governo. Eppure sono lì, tutti e 300 mila, con storie
simili a quella di Cheng Wufu e i suoi.
In una conferenza sulla
povertà e lo sviluppo, lo scorso novembre, il presidente cinese Xi
Jingping aveva dichiarato che «nessuna regione povera e nessun individuo
che vive in povertà può essere lasciato indietro». Aggiungendo che
entro il 2020 «si costruirà una società moderatamente prospera», in
Cina.
Ma in seguito al rallentamento della produzione, le prime
famiglie di contadini-operai che si erano inurbati stanno cominciando a
rientrare, e hanno pieno titolo per riprendersi le terre. Con questo
«ritorno alle campagne» dei proprietari, i contadini fantasma che
avevano lavorato le terre per decenni e si erano ormai stabiliti e
abituati al tenore di vita delle terre fertili del delta, si trovano
adesso a dover fare le valige.
E si trovano anche di colpo, loro e
le loro famiglie, cresciute ancora di più in questi ultimi dieci anni
senza più le forti tasse, a dover trovare un nuovo modo per mantenersi e
sopravvivere, in un clima in cui il lavoro diminuiscono invece di
aumentare.
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