A critical voice in the debates over economic stagnation, The Rise and Fall of American Growth is at once a tribute to a century of radical change and a harbinger of tougher times to come.
domenica 31 gennaio 2016
Il declino della crescita statunitense dal XX al XXI secolo: R.J. Gordon
Robert James Gordon: The Rise and Fall of American Growth.
The U.S. Standard of Living since the Civil War, Princeton University Press
Risvolto
In the century after the Civil War, an economic revolution improved
the American standard of living in ways previously unimaginable.
Electric lighting, indoor plumbing, home appliances, motor vehicles, air
travel, air conditioning, and television transformed households and
workplaces. With medical advances, life expectancy between 1870 and 1970
grew from forty-five to seventy-two years. Weaving together a vivid
narrative, historical anecdotes, and economic analysis, The Rise and Fall of American Growth provides an in-depth account of this momentous era. But has that era of unprecedented growth come to an end?
Gordon
challenges the view that economic growth can or will continue unabated,
and he demonstrates that the life-altering scale of innovations between
1870 and 1970 can't be repeated. He contends that the nation's
productivity growth, which has already slowed to a crawl, will be
further held back by the vexing headwinds of rising inequality,
stagnating education, an aging population, and the rising debt of
college students and the federal government. Gordon warns that the
younger generation may be the first in American history that fails to
exceed their parents' standard of living, and that rather than depend on
the great advances of the past, we must find new solutions to overcome
the challenges facing us.A critical voice in the debates over economic stagnation, The Rise and Fall of American Growth is at once a tribute to a century of radical change and a harbinger of tougher times to come.
Usa La grande crescita dietro le spalle
Secondo Robert Gordon il periodo d’oro dello sviluppo Usa è finito nel 1970. E non tornerà nel futuro
di Giuseppe Sarcina Corriere La Lettura 31.1.16
Il meglio è passato. È finito nel 1970, con la chiusura del secolo
«speciale» americano, cominciato dopo la Guerra civile, nel 1870, o
forse il 10 maggio del 1869, quando i due tronconi delle ferrovie
transcontinentali si saldarono sul promontorio Summit, nell’Utah,
collegando l’Est dei Padri fondatori con l’ultima frontiera del West.
Dal 1970 in avanti, lo sviluppo economico degli Usa è stato tanto
«abbagliante» quanto «deludente». La tesi di Robert James Gordon è il
titolo del suo libro appena pubblicato negli Stati Uniti: The Rise and
Fall of American Growth («L’ascesa e la caduta della crescita americana
», Princeton University Press). Gordon, 75 anni, professore alla
Northwestern University, è considerato uno dei più influenti
intellettuali, ma è anche molto popolare tra gli studenti universitari
degli anni Ottanta, compresi gli italiani, per il suo manuale base di
macroeconomia.
Il volume ha l’aspetto di un mattone, inavvicinabile per i non esperti. È
una lettura impegnativa. L’impianto è indubbiamente ambizioso, simile
per molti aspetti al bestseller di Thomas Piketty, Il capitale nel XXI
secolo (Bompiani), perché ripercorre con dati, grafici e citazioni, 145
anni di storia economica americana. Ma il linguaggio è piano e la
struttura consente, volendo, di saltare qualche capitolo, senza perdere
il ritmo e il contatto con le idee guida, che sono tre. La prima: «La
crescita economica non è un processo stabile che crea un avanzamento
regolare, secolo dopo secolo. Per millenni, fino al 1770, non c’è stata
di fatto alcuna crescita. La nostra tesi centrale è che esistano alcune
invenzioni più importanti delle altre: sono quelle del secolo
rivoluzionario 1870-1970, che chiamiamo “le grandi invenzioni”». La
seconda big idea di Gordon ha già innescato il dibattito negli Stati
Uniti, partendo dal «New York Times»: «La crescita economica dal 1970 a
oggi è stata nello stesso tempo tanto abbagliante quanto deludente».
Anche per il futuro, ecco il terzo assunto, è meglio non avere grandi
aspettative. Da qui ai prossimi 25 anni non assisteremo a una nuova
rivoluzione.
Le diverse fasi storiche sono messe a confronto sulla base del prodotto
interno pro capite, un indicatore che misura, sia pure con qualche
approssimazione, il benessere non solo degli Stati, ma anche dei singoli
cittadini. Nel periodo tra il 1870 e il 1920 la media annuale di
aumento del Pil pro capite risulta pari all’1,84%; tra il 1920 il 1970
sale al 2,41%, mentre scende all’1,77% tra il 1970 e il 2014. Anche
l’indice di produttività (produzione diviso ore di lavoro) segue la
stessa dinamica: 1,79% nella prima epoca, poi 2,82% e infine giù fino
all’1,62%. Le cifre, dunque, mostrano come l’età contemporanea,
nonostante «l’abbagliante» velocità, incida in modo più lento sulle
condizioni di vita personale e sulla produttività del lavoro.
Verrebbe naturale obiettare che non può che essere così, visto che gli
Stati Uniti nel 1870 partivano praticamente da zero, mentre oggi è più
difficile aggiungere ogni anno qualcosa in più. È l’argomento classico
dell’utilità marginale decrescente. Ma per Gordon, l’obiezione è
respinta. L’economista circoscrive la spinta innovativa nata nella
Silicon Valley al decennio che va dal 1994 al 2004, con una coda fino al
2007, l’anno in cui Steve Jobs lanciò l’iPhone. La grande onda digitale
si è «incanalata in una sfera ristretta dell’attività umana: le
comunicazioni, l’intrattenimento, la raccolta e il trattamento delle
informazioni». Tutto il resto è stato solo sfiorato: alimentazione,
abbigliamento, costruzioni, trasporti, sanità. Stiamo vivendo
un’evoluzione continua, ma non la frattura epocale del secolo scorso. La
maniera migliore per misurare il ritmo dell’innovazione e del progresso
tecnologico è guardare alla «produttività totale dei fattori», che
mette in relazione l’aumento del prodotto con l’incremento delle ore
lavorate e del capitale investito. Per semplificare: più il numero è
alto, più è intenso l’effetto del progresso tecnologico. Sorprese anche
qui: la produttività totale dei fattori nel decennio di Bill Gates
(Microsoft), Mark Zuckerberg (Facebook) e Steve Jobs (Apple) vale
l’1,03% di media annua (1994-2004), quasi la metà rispetto all’1,89%
all’epoca delle «Grandi Invenzioni», quella di Thomas Edison (lampadina
elettrica), di Clarence Birdseye (frigorifero) e di tanti altri.
Dal 2004 a oggi l’economia è entrata in una stagione di crescita
«strisciante». La produttività totale dei fattori è crollata allo 0,4%
su media annua: un livello inferiore perfino al trentennio 1890-1920.
Gordon cita le ricerche del Nobel per l’economia Robert Solow, per
concludere con lui che «la rivoluzione digitale si vede dappertutto,
tranne che sui grafici della produttività».
A questo punto l’autore va allo scontro diretto con i «tecno-ottimisti»,
sostenendo che è «possibile prevedere» un «cammino lento» anche per i
prossimi 25 anni. Il libro dedica solo gli ultimi capitoli a un tema che
avrebbe meritato di più. Certo ci saranno ulteriori progressi in campo
medico, nella robotica, nel campo dell’intelligenza artificiale e dei
big data , la raccolta sistematica delle informazioni. Le auto potranno
circolare senza pilota, sia pure con molte limitazioni. Ma nessuna di
queste acquisizioni sarà in grado di migliorare in modo drastico il
tenore di vita delle persone. Anzi l’era digitale dovrà fronteggiare
pericolosi «venti contrari». Il più forte è la crescente ineguaglianza,
la polarizzazione della società tra pochi ricchi e tanti cittadini
impoveriti. Qui viene fuori l’ascendenza neo-keynesiana di Gordon, con
una serie di proposte sul salario minimo, la riforma sanitaria,
l’immigrazione. Sono in arrivo tempi difficili per gli Stati Uniti. Il
meglio è alle spalle.
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