venerdì 15 gennaio 2016

Il "vantaggio competitivo" di avere un papà ricco ed evasore

Manager di famiglia - copertina
Il capitalismo italico feudale e straccione non molla l'osso né il patrimonio [SGA].

Bernardo Bertoldi e Fabio Corsico: Manager di famiglia, Gruppo 24 Ore

Risvolto
Come i manager vengono scelti e hanno successo nel capitalismo familiare è l'oggetto di questo libro, che si pone due obiettivi: il primo, fornire agli imprenditori spunti di riflessione, suggerimenti, strumenti e metodologie per scegliere i manager più adatti; il secondo, aiutare i manager a rimanere a lungo e in armonia nelle aziende familiari.

Quattro manager hanno dato il loro punto di vista in interviste riportate nella parte centrale del libro: Aldo Bisio di Vodafone che ha lavorato con la famiglia Merloni, Gianni Mion di Edizione Holding, che lavora con la famiglia Benetton e ha lavorato con Marzotto, Lorenzo Pellicioli di De Agostini, che lavora con la famiglia Drago-Boroli e ha lavorato con la famiglia Costa e Mondadori, e Paolo Scaroni di Rotschild che, prima di ENI, ENEL e Pilkington, ha lavorato con la famiglia Rocca.
Quattro dei più grandi esperti al mondo sull'argomento hanno contribuito alla parte teorica: John Davis (Harvard Business School e Cambridge Institute for Family Enterprise), Sonny Iqbal (Egon Zehnder), Robert Kaplan (FED, Harvard Business School e Goldman Sachs), Eric Salmon (Eric Salmon & Partners).

Capitalismo familiare al bivio. Tutti i segreti per crescere
La bergamasca Pesenti e la torinese Pininfarina sono gli ultimi due gruppi italiani passati in mani esteri. 'Manager di famiglia' - scritto da Bernardo Beltoldi e Fabio Corsico - spiega attraverso le interviste a quattro big come si costruisce il profilo di un potenziale futuro amministratore delegato e se il ceo debba essere o no di famiglia


Il capitalismo familiare non morirà 
Analisi e interviste in un volume di Bertoldi e Corsico (edizioni Gruppo 24 Ore) Azionariato stabile, scelte veloci È necessario aprirsi ad apporti esterni e riconoscere un ruolo alle competenze 
15 gen 2016  Corriere della Sera Di Dario Di Vico
Il capitalismo familiare ha un futuro anche in Italia. La notizia è tutt’altro che scontata e ce la sottolinea un libro scritto a quattro mani da un professore universitario, Bernardo Bertoldi, e da un manager, Fabio Corsico. Si intitola per l’appunto Manager di famiglia (Gruppo 24 Ore) e si incarica di svolgere un duplice compito: da una parte mette in ordine il meglio del dibattito scientifico sulla governance delle aziende a la proprietà familiare, dall’altra ospita una serie di interviste nelle quali, con una franchezza straordinaria, quattro dirigenti di punta (Aldo Bisio, Gianni Mion, Lorenzo Pellicioli e Paolo Scaroni) raccontano la loro esperienza dentro gruppi familiari. Ed è chiaro già dalle premesse che il futuro del capitalismo familiare italiano è legato, se non condizionato, alla capacità che avrà di aprirsi ad apporti esterni e di riconoscere ruolo/autonomia alle competenze. Perché, come si incarica di mettere in chiaro subito Bisio, attuale numero uno di Vodafone Italia con un passato alla guida della Ariston Thermo della famiglia Francesco Merloni: «Le aziende non sono delle democrazie, deve esistere un solo decisore». 
Mion, che ha trascorso una vita alle dipendenze del gruppo Benetton («ho fatto la domanda di adozione ma la pratica non è stata ancora evasa», scherza), fornisce una serie di consigli ai giovani manager tentati dall’ingaggio presso gruppi familiari. «Ho sempre lavorato per il lungo termine, sapendo che l’indomani poteva però essere l’ultimo giorno di lavoro a Treviso. È importante sapere che puoi sempre essere cacciato». Ma, quando si lavora bene e si gode di un rapporto di stima reciproca, la velocità di decisione diventa un vantaggio competitivo importante: «Nel caso Sme e nel caso Autostrade furono prese dal gruppo decisioni importantissime in poche ore». 
Il manager però, raccomanda Mion, non deve mai intromettersi nelle questioni di famiglia né considerarsi mai parte di essa. «Bisogna lasciare che se la sbrighino da soli e non entrare nelle loro dinamiche». Bisio, a questo proposito, racconta come avesse un interlocutore unico in Paolo Merloni, figlio di Francesco: «Abbiamo trovato un modus vivendi non esplicitato a priori ma perfezionato per approssimazioni successive. Tutte le mattine del venerdì ci incontravamo un paio d’ore ed erano riunioni alle quali andavo con il mio quaderno dove avevo appuntato via via le cose da discutere». 
Pellicioli, attualmente alla guida del gruppo DeAgostini che fa capo alla famiglia Drago-Boroli, sottolinea una qualità importante di esperienze come la sua: «Il minimo comune denominatore del capitalismo familiare è la stabilità dell’azionariato». Non esiste quindi un modello societario teorico superiore agli altri e ottimale per un manager. «Dovrei invidiare l’autonomia di un Ceo di una public company? Se autonomia vuol dire farsi gli affari propri e non preoccuparsi degli azionisti non posso invidiarlo perché questi non sono i miei valori». 
Chiude Paolo Scaroni, che prima di guidare Eni ed Enel ha lavorato nel gruppo Techint della famiglia Rocca, e alla domanda sul consiglio che darebbe a un capostipite che volesse scegliere all’esterno un amministratore delegato spiega: «Gli chiedo cosa farà dopo aver ingaggiato il nuovo manager. Se risponde che va alle Bahamas è fantastico ma se replica che andrà in ufficio tutti i giorni, allora gli faccio notare che sta cercando un assistente, non un amministratore delegato». E perché in Italia spesso una famiglia che vende corrisponde a una multinazionale straniera che compra? Risposta altrettanto franca: «Succede perché prima l’imprenditore non ha creato l’istituzione, è rimasto attaccato al 51% e non ha fatto acquisizioni, non è cresciuto».

Nessun commento: