martedì 12 gennaio 2016
La quarta sponda: Sergio Romano aggiorna il suo libro sulla guerra di Libia
Risvolto
Non è certamente un caso, se oggi la Libia è, insieme alla Siria, il Paese più violento e caotico del Mediterraneo. Nella Quarta sponda,
Sergio Romano ne ripercorre la storia e ce ne illustra i tanti volti.
Il primo è quello delle due province ottomane, alla periferia
dell’Impero, quando l’Italia ne decise la conquista: piccole società
ebraiche ed europee nelle due città maggiori, modesti traffici con il
Mediterraneo e con l’Africa, tribù combattenti e gelose della loro
indipendenza che daranno molto filo da torcere all’amministrazione
coloniale italiana.
Il secondo è quello della colonia degli anni Venti e Trenta. Nacque
allora, soprattutto durante il governatorato di Balbo, una Libia
italiana di cui esistono ancora parecchie tracce.
Il terzo è quello della Libia post-coloniale, dopo la fine della Seconda
guerra mondiale e la proclamazione dell’indipendenza: un piccolo regno,
una nuova ricchezza rappresentata dal petrolio e dal gas, un’importante
comunità italiana e buone relazioni con la vecchia potenza coloniale.
Il quarto è quello di Gheddafi, ufficiale nazionalista, spregiudicato,
tirannico, divorato da insaziabili ambizioni.
Il quinto e ultimo volto è quello incompleto di un Paese che non è
ancora riuscito, dopo le rivolte arabe, a trovare un nuovo equilibrio ed
è tuttora sconvolto da una sanguinosa guerra civile. Ma è sempre lì, di
fronte alle coste italiane, con le sue ricchezze, le sue minacce e il
suo carico d’immigrati che riversa sulle nostre spiagge: una buona
ragione per conoscere meglio la sua storia.
Il vespaio infinito sulla «quarta sponda»
12 gen 2016 Corriere della Sera Di Antonio Carioti
Torna, aggiornato, il lavoro di Sergio Romano sulla guerra di Libia del 1911-12 (Longanesi)
Chissà se il piano messo a punto il 17 dicembre consentirà di raggiungere in Libia un accordo stabile tra le diverse fazioni che si contendono l’ex colonia italiana. Sarebbe essenziale per emarginare, se possibile stroncare, il minaccioso focolaio dell’Isis sulla costa del Mediterraneo. Di certo però l’obiettivo non sembra agevole da perseguire, vista la complessità della struttura tribale che deve essere coinvolta e rappresentata nel processo di pace. Sedare un vespaio del genere non è uno scherzo. Evidentemente si paga lo scotto degli errori che Sergio Romano denuncia nella nuova prefazione del suo libro La quarta sponda (Longanesi), dedicato in prevalenza alla conquista italiana della Libia nel 1911-12, ma aggiornato in questa edizione fino ai giorni nostri. Quando quel Paese andò in fiamme e il despota Moammar Gheddafi, nelle prime settimane del 2011, cercò di reprimere la rivolta nel sangue, si decise d’intervenire per abbattere la dittatura. Ma senza avere neppure abbozzato, osserva Romano, un progetto di soluzione politica: «Nessuno, nelle grandi capitali occidentali, sembrò chiedersi chi avrebbe governato il Paese dopo il crollo del regime». E ne è scaturito il caos. Romano paragona l’operazione contro Gheddafi all’invasione americana dell’Iraq nel 2003. E le analogie sono parecchie. Tra le differenze, si può ricordare che l’intervento in Libia avvenne mentre un aspro conflitto interno era già in corso: da questo punto di vista si tratta di un caso più simile a quello siriano. Inoltre bisogna ricordare che gli Stati Uniti dopo il 2003 investirono enormi energie, con risultati solo parziali e oggi in gran parte compromessi, per rimettere in sesto l’Iraq e instaurarvi un sistema democratico, mentre la Tripolitania e la Cirenaica, in questi ultimi anni, sono state quasi del tutto abbandonate a se stesse. D’altronde basta leggere il libro di Romano per accorgersi che anche l’impresa libica di un secolo fa venne avviata dall’Italia con le idee assai poco chiare: ci si attendeva di essere accolti dalle popolazioni indigene «a braccia aperte», come liberatori dal giogo turco, e invece il conflitto finì per tenere «a battesimo il nazionalismo arabo», che diede vita a un’accanita resistenza. Certo colpisce che, a cento anni di distanza, da quella sanguinosa esperienza si sia imparato così poco.
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