domenica 31 gennaio 2016

L'antiluporini

immagine scheda libroMario Andrea Rigoni: Il pensiero di Leopardi, Nuova edizione accresciuta e rivista, prefazione di E.M. Cioran, nota di Raoul Bruni, Aragno, Torino, pagg. 356, € 20,00.

Risvolto
Per parecchi decenni il pensiero di Leopardi è stato presentato dalla critica dominante nella forma di un razionalismo variamente progressistico. Tra i rarissimi studiosi che dissentirono da questa deformante interpretazione ideologica il più radicale e il più esplicito è stato Mario Andrea Rigoni. Sottratto alle ipoteche ideologiche, come alle manie accademiche, il pensiero di Leopardi viene così restituito a quella vergine lucidità, a quell’ “ultrafilosofia”, che è sua propria e che sola consente di aderire alla reale fisiologia del mondo e della storia.  




Mario Andrea Rigoni 
Il Leopardi antiprogressivo
di Raffaele Liucci Il Sole Domenica 31.1.16
Per noi leopardisti amatoriali, il libro di Mario Andrea Rigoni è una doccia ghiacciata. Reputavamo il poeta di Recanati quasi un Odifreddi ante litteram, capace di sbarazzarsi delle superstizioni paterne (quel gran reazionario di Monaldo) per abbracciare un sano materialismo, progressista e politicamente corretto. Invece Rigoni demolisce queste reminiscenze più o meno scolastiche, svelandoci un Leopardi «negativo» e antimoderno, e a tratti persino tenebroso nelle sue consonanze con il «divin marchese» de Sade.
Di primo acchito, potremmo pensare che il professore padovano si sia lasciato irretire dal suo carissimo amico E.M. Cioran, non certo un apostolo del Sole dell’Avvenire. Ma questo volume, che raccoglie in un’edizione definitiva gli studi di una vita, è talmente ricco di riscontri e suggestioni da suffragare quanto lo stesso Cioran puntualizzava in una lettera a Rigoni, lamentando lo snaturamento di Leopardi perpetrato dai critici italiani: «È a malapena concepibile che se ne sia potuto fare un “progressista”. È un’onta e una provocazione». Tanto più che, aggiunge Rigoni, nell’intero corpus del recanatese «non vi è una sola citazione da un pensatore illuminista che non abbia un significato negativo».
Leopardi rimarrà infatti un ateo impolitico, refrattario alle sirene della Ragione e della Storia, nostalgico di un’età dell’oro esistita solo nella sua mente. Forse anche per questo Mazzini lo snobbò, confinando i Canti tra gli «sforzi di un periodo di transizione che il futuro cancellerà». Mazzini – chioserà Aleksandr Herzen – non sopportava Leopardi «perché non poteva utilizzarlo per la propaganda». Anche lo storico delle idee Antonello Gerbi, nel suo classico libro sulla Disputa del Nuovo Mondo (uscito per la prima volta nel 1955 e tuttora nel catalogo Adelphi), ricorderà i «tanti scritti leopardiani, tutti concordi nel sostener la degenerazione della specie umana e nell’irrider al Progresso». Per non parlare, riguardo ai «selvaggi» amerindi, della sintonia tra il poeta e il conte Joseph de Maistre. Il lungimirante Gerbi scherniva l’interpretazione di Cesare Luporini, autore di un saggio, Leopardi progressivo, che tanta influenza ha esercitato sulla cultura nostrana.
Cosa resta, allora, del Leopardi ’ideologo’ messo a nudo da Rigoni? Resta la «potenza dello sguardo filosofico». Perché dal «caos scritto» delle sue opere emerge la figura di un sommo pensatore. Un pensatore che, lottando contro le evidenze del proprio secolo, ne coglie impietosamente contraddizioni e tare storiche. Per questo le sue incursioni sono ancor oggi «indispensabili più di ogni Censis per capire l’Italia e gli italiani». Leopardi era un «gufo», diremmo oggi, ma nel senso opposto a quello inteso da Renzi. Era cioè un rapace dall’occhio lungo, in grado di squarciare la fuliggine delle nostre chimere. Del resto anche Isaiah Berlin, un liberal-democratico interamente calato nel Novecento, venerava la lucidità dei pensatori antimoderni e «against the current».

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