lunedì 11 gennaio 2016

"Limite" di Remo Bodei: una anticipazione

Copertina LimiteRemo Bodei: Limite, il Mulino

Risvolto
Dove si trova, se si trova, la linea di demarcazione tra il buono e il cattivo, tra il lecito e l’illecito? 

Biologia, morale, religione, sesso, ambiente: esistono ancora limiti invalicabili nelle nostre vite? Gli sviluppi inarrestabili della scienza vedranno affermarsi un uomo geneticamente modificato, capace di manipolare la vita e la morte, e di svelare gli enigmi della materia e del cosmo. Con quali rischi? Riflettere sui limiti, provare a distinguerli e ribadire la validità di alcuni, come pure interrogare i nostri desideri, obiettivi e spazi di libertà sono tra le sfide più urgenti. 

Remo Bodei è professore emerito di Filosofia all’Università di Pisa e insegna alla University of California a Los Angeles. Con il Mulino ha pubblicato anche «Le forme del bello» (1995), «Piramidi di tempo» (2006), «Ira» (2010), «La civetta e la talpa» (2014), «Ordoamoris» (2015).


Un nuovo senso del limite
L’appellarsi delle religioni ai valori tradizionali, in reazione al terrorismo, pone un freno alla libertà. Ma ci sono anche altri modi per gestire la nostra fragilità

Remo Bodei Domenicale 10 1 2016
Durante la nostra esistenza sperimentiamo innumerevoli confini che ci definiscono, segnalando discontinuità, barriere da infrangere, divieti da osservare, soglie reali o simboliche. I limiti ci circondano e ci condizionano da ogni lato e sotto ogni aspetto, a iniziare dagli immodificabili dati della nostra nascita (corpo, tempo, luogo, lingua, Stato), dall’involucro stesso della nostra pelle, dagli orizzonti sensibili, intellettuali e affettivi del nostro animo per finire con il termine ultimo della morte. 
La condizione della specie umana è però contraddistinta dall’essere circoscritta da limiti che sono mobili e cangianti, in quanto – a differenza degli altri animali – ha una storia articolata in culture che si modificano nel corso del tempo. Con un paradosso si è detto che «l’uomo è l’essere confinario che non ha confini», proprio perché nel trovarli, per lo più, li supera. 
Soprattutto la modernità occidentale è stata intesa, non senza enfasi, come una consapevole e sistematica violazione dei termini prefissati, che avrebbe trasformato l’uomo in superbo e libero creatore del proprio destino, in un essere teso a negare la propria finitudine, ad auto-trascendersi nello sforzo di diventare sempre più simile a Dio. La ripetuta e vittoriosa esperienza del varcare ogni genere di confini (geografici, scientifici, religiosi, politici, ambientali e, recentemente, perfino biologici) avrebbe pertanto finito per generare una sorta di delirio di onnipotenza, di vertiginosa auto-esaltazione spinta al punto di negare che, in linea di principio, esistano limiti invalicabili. 
Ma le principali civiltà contemporanee hanno davvero voluto cancellare faustianamente tutti i limiti? O sarebbe meglio sostenere che alcuni li hanno semplicemente spostati in avanti, altri li hanno messi ai margini o li hanno, per così dire, costretti a entrare in clandestinità, altri ancora li hanno addirittura riproposti, rivendicati e perfino violentemente rafforzati mediante la restaurazione dogmatica di fedi, mentalità e comportamenti del passato (come nel caso dell’applicazione letterale della sharia, che significa, appunto, ritorno alla “strada battuta”)? E non si stanno forse erigendo nuovi muri, visibili e invisibili, per separare tra loro individui e popoli, stabilendo rigidi criteri di esclusione e d’inclusione? […] Le religioni, poi, non stanno prendendosi la loro rivincita sulla modernità dal momento in cui gli Stati che la rappresentano non sono più in grado né di tutelare in misura sufficiente la sicurezza e il benessere promessi ai propri cittadini, né di dare alle loro vite un senso più pregnante? […] E quando il mondo viene percepito come incerto e ostile, il paradiso non appare forse più desiderabile del “Sole dell’avvenire”, che tarda a sorgere, o dell’abbondanza annunciata dal capitalismo, che continua invece ad accrescere le disuguaglianze sociali?
L’attesa di felicità ultraterrena quale risarcimento per le sofferenze subite in questa vita ha, tuttavia, un prezzo: implica l’accoglimento nel mondo reale di obblighi morali e religiosi in contro-corrente rispetto a quelli predicati dalla modernità laica di radice illuministica e, talvolta, il ricorso all’intolleranza per imporre i propri valori trascendenti e assoluti (vale a dire senza limiti), più saldi e rassicuranti per chi rifiuta e teme una cultura del dubbio e della critica razionale.
Eppure, nel demolire gli ostacoli, lo sviluppo delle scienze e delle tecniche è talmente prodigioso da proiettare i suoi successi su ogni altro aspetto della modernità, fino al punto di rendere plausibile la tesi dell’annientamento di ogni limite. Basta voltarsi indietro per misurare ed elencare alcuni dei macroscopici progressi compiuti nel giro di pochi decenni: la fisica ha raggiunto risultati in precedenza inconcepibili nello svelare gli enigmi della materia e del cosmo; le biotecnologie preparano l’avvento di uomini geneticamente modificati e longevi, in grado di sconfiggere malattie considerate finora incurabili e di rendere maggiormente performativi i loro sensi e più acute le loro menti; l’informatica, l’intelligenza artificiale, la robotica e le nanotecnologie non cessano di stupire con i loro avanzamenti (si pensi solo ai calcolatori capaci di compiere milioni di miliardi di operazioni al secondo, in confronto a quelli lenti, grandi come una casa, accuditi da stuoli di tecnici, che indussero nel secondo dopoguerra il presidente dell’IBM a dichiarare che nel futuro «al mondo non vi saranno mai più di sei computer»). 
La generica domanda «in che misura siamo entrati in un mondo dai confini labili o inesistenti?» si dovrebbe suddividere e articolare in questi specifici interrogativi: a) ci sono limiti che, diversamente da quelli scientifici o intellettuali, non dovremmo mai infrangere? b) la violazione di proibizioni etiche, di venerandi tabù religiosi, di collaudati modelli di convivenza o il brusco sovvertimento d’istituzioni politiche tradizionali ci sospingerà rischiosamente verso l’ignoto e ci farà in breve precipitare nell’abisso dell’anarchia? c) mediante quali criteri distinguere gli ostacoli che è giusto o lecito rovesciare?
Di fronte alla complessità di simili questioni è diventato urgente ripensare l’idea di limite, di cui si è in parte persa la piena consapevolezza – normale in altri tempi –, in modo da essere meglio in grado di definire l’estensione della nostra libertà e di calibrare la gittata dei nostri desideri. A questo scopo sarà utile conoscere i molteplici e concreti aspetti dei singoli limiti, riscoprirne, di volta in volta, le ragioni, stabilirne i criteri di rilevanza e compierne un’attenta mappatura.[…]
Costituirebbe già un degno contributo alla condotta morale l’abitudine distinguere con cura le violazioni dei limiti tese ad avvantaggiare lo sviluppo materiale, intellettuale e affettivo degli individui e delle società da quelle che, al contrario, nuocciono a esso. Si eviterebbe così di cadere, da una parte, in una velleitaria iconoclastia che scambia tutti i confini per pregiudizi da abbattere secondo l’imperativo del “Vietato vietare” e, dall’altra, nel santificare gli ostacoli che bloccano e mortificano il dispiegamento delle facoltà umane, gelando la possibile fioritura di concrete speranze in una vita migliore. L’attitudine a riconoscere e distinguere i limiti è, tuttavia, un’arte che va coltivata e praticata con cura, lasciandosi guidare, nello stesso tempo, dall’adeguata conoscenza delle specifiche situazioni e dei loro presumibili sviluppi, da un ponderato giudizio critico e da un vigile senso di responsabilità.

Elogio del limite nell’era della dismisura

Tra filosofia e stili di vita, Remo Bodei indaga a fondo su un concetto che la nostra contemporaneità ha dimenticato. E che invece risulta più attuale che mai
FRANCO MARCOALDI Repubblica 31 1 2016

Nella fortunata collana del Mulino “Parole controtempo”, tesa a disegnare una sorta di lessico necessario che ci aiuti ad affrontare i marosi del presente, compare ora un titolo dedicato al Limite. A firmare il volume è il filosofo Remo Bodei, che ci offre una disamina quanto mai vasta e modulata di questa parola. Sia in termini storici, che disciplinari. Perché la questione del limite, va da sé, riguarda gli ambiti più diversi. Tanto più oggi, a fronte di uno straordinario sviluppo tecnico-scientifico che si riverbera su scelte individuali un tempo impensabili. È vero, non bisogna mai dimenticare i nuovi limiti e confini e muri che per ragioni economiche, religiose, etniche, politiche, vengono eretti quotidianamente. Altrettanto indubbio che l’irresistibile avanzamento di alcune discipline (biotecnologie, farmacologia, neurochirurgia, informatica) finisce per marcare nel profondo le nostre esistenze, spingendoci sempre più avanti. Non si spiegherebbe altrimenti il progressivo passaggio dall’umano al cosiddetto post-umano, con il futuro avvento di uomini bionici, ovvero di «individui composti di carne, silicio, metallo o plastiche».
Bodei opportunamente ci ricorda come sia inscritto nella nostra stessa natura il desiderio di oltrepassare i confini prestabiliti. Cosa altro è la modernità, se non una continua ricerca del “plus ultra”, dell’ignoto? Eppure, come negare che la stagione in cui viviamo ci appaia al contempo «esaltante ed angosciosa»? Perché, certo, inebriano le nuove frontiere che ininterrottamente ci sfidano, ma quanta fatica, e angoscia, nel dovergli stare dietro. Quasi si aprisse una forbice crescente tra l’inevitabile lentezza evolutiva dei convincimenti di ciascuno e l’incredibile rapidità dei cambiamenti. Non è facile, per l’individuo, stabilire da sé il limite oltre cui non avanzare. E ancora meno facile è la condivisione di scelte che riguardano l’intero genere umano. Fermare la folle logica di rapina nei confronti del pianeta, parrebbe un atto di puro buon senso. Eppure siamo ben lontani dall’aver preso tale decisione di autolimitazione collettiva.
La verità è, prosegue Bodei, che tracciare una «linea di demarcazione tra buono e cattivo, lecito e illecito», è sempre più arduo. «In mancanza di regole oggettive o intimamente condivise, gli individui sono pertanto sempre più indotti ad adattarsi a una paradossale morale provvisoria permanente». Non è detto che questo sia, di per sé, un male. Mentre sarebbe buona cosa volgere indietro il nostro sguardo per ripescare dal patrimonio della civiltà certe parole care agli antichi e finite oggi nel dimenticatoio: “misura” ad esempio, suggerisce l’autore. Nell’età della “dismisura”, ci aiuterebbe a ricordare il limite ultimo e ineluttabile della nostra esistenza: la morte.

Varcare i confini ma con giudizio 
Dalla morale alle modificazioni genetiche c’è una linea di demarcazione tra lecito e illecito? 
Federico Vercellone Tutolibri 13 2 2016
La vita umana è consegnata all’idea di limite che viene alternativamente avvertito come rassicurazione o come angoscia. Il mondo antico si rappresentava l’universo come finito, e avvertiva nell’infinito una minaccia da evitarsi a ogni costo. L’oracolo di Delfi recava accanto al detto, a tutti noto, «conosci te stesso» quello meno conosciuto «nulla di troppo». Il mondo moderno si inaugura invece nel segno della curiosità nei confronti del mondo che si accompagna a una immensa hybris soggettiva sempre più potente la quale rischia infine di travolgere gli attori di questo gioco fatale, l’umanità e la natura stessa.
A questo tema di bruciante attualità che propone al suo centro l’anima faustiana della modernità è dedicato l’ultimo libro di Remo Bodei dal titolo Limite comparso ora presso Il Mulino. Fino a che punto, si chiede Bodei, assistiamo oggi a quella crisi dell’ «uomo faustiano» denunziata da Oswald Spengler nel Tramonto dell’Occidente? E’ vero in assoluto che le principali civiltà del nostro tempo hanno voluto cancellare i limiti, o semplicemente li hanno spostati in avanti? O non è vero piuttosto che talora li hanno semplicemente nascosti, o riproposti in modo ancora più rigido come avviene nel caso dell’applicazione letterale della sharia? E davvero sono caduti tutti i muri che hanno sinora diviso le civiltà, o non vero piuttosto che altri ne sono sorti o comunque permangono come quelli tra la Cisgiordania e Israele, o come quello che divide le due Coree? In breve viene da chiedersi se e «in che misura siamo entrati in un mondo dai confini labili o inesistenti». In realtà nel mondo globale non c’è spazio per tutti, e questo dato macroscopico cancella per sempre l’idea di postmodernità come possibilità di contemperare pacificamente tutte le identità e le differenze culturali.
E’ anche a partire da un assunto di questa natura che la preziosa proposta di Bodei mostra il suo importantissimo significato per la diagnosi del nostro presente. E il presente viene da lontananze anche premoderne. Bodei mette in luce come la possibilità di modificazione antropologica dell’essere umano costituisca in fondo uno dei cespiti primari per la costruzione dell’idea di futuro come progetto che sta alla base della modernità. Siamo in grado di intervenire sui nostri sensi migliorandone, amplificandone o modificandone le sensazioni, come avviene con gli occhiali a partire dal Medioevo, per venire sino agli esoscheletri contemporanei che sono in grado di metterci a contatto con oggetti virtuali nello cyberspazio. E là dove non intervengono i sensi, può intervenire l’immaginazione nella quale sogno e progetto talora si confondono. In assenza del contatto diretto con l’oggetto essa offre supporto e supplenza. Così non solo i nostri sensi sono modificabili, ma, più di recente, il nostro cervello e il nostro corpo si sono dimostrati plasmabili. La creazione sembra ancora, inquietantemente, in fieri. Ci troviamo così dinanzi alle grandi conquiste delle biotecnologie che suscitano timori o euforie difficilmente dominabili razionalmente, tanto che dinanzi a queste trasformazioni così radicali del nostro sé si propone come sempre più impellente la necessità di una considerazione matura di questa libertà di manipolazione. 
L’immaginazione costituisce in fondo il grande gap e insieme la grande chance dell’umanità, di quella moderna in particolare. Invita a superare le colonne d’Ercole, significativamente riprodotte nella copertina del Novum Organon di Bacone, e insieme a realizzare l’impossibile, rivoluzionando così la nostra stessa ragione, la consapevolezza dei limiti che ritenevamo ci fossero imposti per natura. 
Il viaggio oltre i limiti ha così attraversato tutti i territori, come ci mostra qui Bodei in un ammirevole panorama insieme storico e di proposta teorica. Esso ha investito la natura interna dell’uomo: ne sono usciti per esempio stravolti i confini della sessualità considerata «legittima». E anche la natura esterna è stata sottoposta per parte sua a un’immane pressione, non priva di vantaggi, per altro verso invece estremamente pericolosa nella volontà pervicace di piegare tutto ciò che esiste alle finalità umane attraverso la tecnologia. E’ un processo nel suo complesso contraddittorio: varcare gli spazi interstellari ha per esempio prodotto una grande nostalgia della terra e dei suoi profumi. 
Su questa base, con eccellenti ragioni, Bodei suggerisce, rifacendosi a Marco Aurelio, un lieve spostamento delle nostre ambizioni: «E non attendere la giusta Città di Platone; ti deve bastare una cosa: un po’ di miglioramento, anche minimo».

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