venerdì 8 gennaio 2016

Pierre Boulez


Pierre Boulez , lo sperimentatore che reinventò la nuova musica
Scomparso a novant?anni il compositore, direttore d?orchestra e saggista 

Corriere


Il celebre direttore d’orchestra, saggista e compositore francese è morto all’età di 90 anni 

Angelo Scarano il Giornale - Mer, 06/01/2016

Addio a Pierre Boulez Innovò la musica senza tradire la forma 

Grande compositore e direttore d’orchestra, formidabile polemista, è morto a 90 anni. Il ricordo di Pollini 
Sandro Cappelletto Stampa
«Voglio dire questo ai ragazzi di oggi: cercate sempre di essere voi stessi, perché se inseguite le mode, ogni due anni sarete fuori moda».
Addio Pierre Boulez, maestro di musica e di pensieri. Il compositore, direttore d’orchestra, didatta, saggista, organizzatore culturale francese si è spento martedì - lucidissimo nell’intelligenza, stanco e danneggiato nel corpo - a Baden-Baden, la località tedesca dove si era ritirato da qualche tempo. Nato a Montbrison, nella regione della Loira, sotto il segno dell’Ariete, a marzo avrebbe compiuto 91 anni. Era l’ultimo dei «giganti» degli anni Venti del Novecento: Bruno Maderna (1920-1973), Luigi Nono (1924-1990), Luciano Berio (1925-2003), Karlheinz Stockhausen (1928-2007), György Ligeti (1923-2006), Henri Pousseur (1929-2009).
I ricordi si sovrappongono, indelebili per chi è cresciuto avendo lui come un costante punto di riferimento. Perché Boulez è stato un artista come oggi ce ne sono pochi: fantasioso e concreto, non servile, pronto a pungolare il potere, mai a perdere tempo con piccole polemiche di bottega, sempre impegnato a guardare l’orizzonte, tutto, e oltre. Rimanendo se stesso: «Non avere successo subito non significa nulla; come il contrario: si può avere successo in vita e poi venire rapidamente dimenticati. La storia dell’arte è piena di casi del genere. Pensiamo a Mozart, che in vita ha conosciuto e perduto il successo. Lo so che è difficile, l’ansia di successo condiziona molto». 
Scopre «il mondo dei suoni» da bambino ascoltando la radio, suona Chopin al pianoforte, a diciott’anni è a Parigi, allievo di Olivier Messiaen, a venti viene assunto come «direttore musicale» della Compagnia teatrale di Jean-Louis Barrault e Madeleine Renaud: gira il mondo nelle tournée, scrive musiche di scena, ma l’esperienza, decisiva anche per la sua futura carriera di direttore, non gli farà mai provare l’ebbrezza per il teatro musicale. In un catalogo di opere numeroso e vario, spicca l’assenza di un titolo operistico.
Nel 1948 compone la Seconda Sonata per pianoforte. «Un’opera che rimane fondamentale, per il rigore formale della costruzione, la novità del linguaggio, la conoscenza delle possibilità dello strumento. Sono affranto, non riesco a pensare alla perdita dell’amico di una vita», ricorda oggi Maurizio Pollini, interprete decisivo per la divulgazione di questo brano. L’ultima volta a Parigi lo scorso marzo, durante le celebrazioni per i novant’anni di Boulez, culminate nella grande mostra che gli ha dedicato la Philharmonie de Paris.
Novità e forma: due caratteristiche costanti nell’opera del Maestro, assieme alla predilezione per i testi dei poeti simbolisti e di Stéphane Mallarmé, alla ricerca di un suono mobile, mai avaro, alla persuasione che non esistono definitivi punti di arrivo. Nel 1979, ricevendo il premio Siemens, ricorda un proverbio portoghese amato anche da Paul Claudel: «Dio scrive dritto servendosi di linee curve».
Il lavoro come saggista affianca quello del compositore: nei suoi libri convivono dichiarazioni di poetica, approfondite analisi, ragionamenti di amore o di antipatia per opere di colleghi, del presente e del passato. La prosa assomiglia al gesto del direttore: essenziale, chiaro, efficace, mai esagerato a favore del pubblico. Quella di direttore d’orchestra, alla guida delle migliori compagini internazionali, è stata un’attività distintiva di Boulez, con particolare attenzione verso gli autori del Novecento. Soltanto Bruno Maderna, tra i compositori contemporanei, ha saputo raggiungere gli stessi vertici direttoriali.
Polemista formidabile scrive nel 1952 che «Schoenberg è morto», indicando ai musicisti giovani come lui che non devono limitarsi al ruolo di epigoni di chi aveva messo a punto la tecnica di composizione con i dodici suoni, la dodecafonia. E di Schoenberg (scomparso nel 1951), da Notte trasfigurata a Mosé e Aronne, darà formidabili incisioni discografiche.
Nel 1954 crea il Domaine musical, associazione concertistica dedicata alla musica contemporanea. Negli Anni Sessanta rompe con André Malraux, ministro francese della Cultura, e abbandona per qualche tempo il proprio Paese. La creazione dell’Ensemble Intercontemporain (1976) e dell’Ircam (1977), realtà nate per l’interpretazione e la ricerca della musica contemporanea segnano il momento della riconciliazione. Impossibile trovare, nei nostri tempi, un compositore altrettanto attivo e ascoltato nel campo dell’organizzazione. Sul ruolo dello Stato nel sostegno alle arti, aveva idee nette: «I mecenati privati intervengono nel campo delle arti visive e plastiche perché, nell’acquistare o tutelare un quadro, una scultura, c’è un sentimento di appropriazione del suo valore: lo pago, lo finanzio, lo possiedo. La musica invece non si compra, nella musica non vive un’idea di profitto. Pertanto, lo Stato deve continuare a essere presente. Del resto, questa è la storia dell’Europa».
Ha sempre amato viaggiare, conoscere realtà diverse. «I grandi organismi culturali devono essere internazionali: per essere informati e propositivi, per continuare ad avere una funzione. Più contatti significa più libertà. Paradossalmente oggi questo accade di meno, sento diffondersi la paura di perdere la propria identità nazionale». Boulez, lui.

Addio a Boulez ultimo maestro della musica del Novecento Compositore, direttore, saggista, polemista e genio rivoluzionario con Berio, Nono e Stockhausen Ma anche grande interprete da Wagner ad Alban BergLEONETTA BENTIVOGLIO Repubblica 7 1 2016
La morte del compositore francese Pierre Boulez, scomparso l’altra notte a novant’anni nella città tedesca di Baden Baden, dove viveva da tempo, equivale alla fine del Novecento musicale. Come un riflesso iconico, Boulez condensa lo spirito di un’epoca colma di conflitti, scoperte, rivoluzioni linguistiche, contraddizioni e disillusioni. Ed è una storia che rispecchia in pieno, per ardore e complessità, l’indole di un musicista abitato da rivolte linguistiche, perenne rabbia anti-conservativa e aspirazione a un’identità proteiforme, immersa nella voglia di contaminarsi con l’organizzazione del mondo musicale. Per questo e altro “Boul”, come lo chiamavano gli aficionados, fu non solo
un geniale musicista, ma uno dei più autorevoli intellettuali tout-court che abbiano animato e rappresentato il Ventesimo secolo. Fu compositore, certo; ma anche celebrato direttore d’orchestra, insuperabile nelle interpretazioni di autori quali Bartòk e Stravinskij, e capace di rileggere le sinfonie mahleriane con abilità strutturale e fertile anti-sentimentalismo.
Quanto alle opere di Wagner, Boulez ha saputo restituircene i paesaggi come cattedrali di limpidezza architettonica. Fu anche un acuto saggista, un pedagogo formidabile e un instancabile promotore di utopie; pronto a lottare, costruire e trasmettere, assumendosi il rischio della non amabile invettiva. Lungo l’arco del suo viaggio, che dall’avvio nel ruolo di enfant terrible è approdato a quello di Grand Seigneur delle avanguardie europee, ha segnato la fisionomia della propria arte con una determinazione e una capillarità senza confronti.
Ebbe fama di acre estremista; perciò fu tanto amato e ammirato quanto biasimato e odiato. Estraneo a compromessi, radicale nell’approccio alla composizione, era intollerante verso chi non condivideva le sue posizioni. Eppure a incontrarlo, per lo meno negli ultimi anni, appariva come un vecchio dolce, elegante, sottilmente malinconico e splendido per semplicità. Elargiva le proprie idee all’interlocutore con una chiarezza stellata e mai vanesia. E vederlo provare con le orchestre era emozionante, grazie a un gesto direttoriale premiato dal dono dell’evidenza e da una concretezza analitica da supremo campione dell’artigianato musicale. Figlio dell’alta borghesia francese (il padre era un industriale), nacque nel ’25 a Montbrison, nella Loira. Giunse alla musica giovanissimo, dopo studi di matematica a Lione, e al Conservatorio di Parigi venne ammesso nella classe di armonia di Olivier Messiaen, suo maestro di riferimento insieme ad Andrée Vaurabourg (moglie di Arthur Honegger) e a René Leibowitz, che lo introdusse alla tecnica dodecafonica.
A vent’anni Pierre diventa direttore musicale della compagnia teatrale di Jean-Louis Barrault, e malgrado quest’apprendistato non scriverà mai un’opera di teatro, come se il suo universo sonoro si fosse votato all’astrazione. Risalgono al ’46 le prime composizioni, come Sonatine per flauto e piano, la Première Sonate per pianoforte e la prima versione di Visage Nuptial.
Con pezzi quali Structures (1952-61), Le marteau sans maître (1954), Pli selon Pli (1957-62), Eclat/ Multiples (1964-70) e Rituel in memoriam Maderna (1975), Boulez s’impone come uno dei massimi innovatori del linguaggio dal dopoguerra in poi, insieme a Berio, Nono, Stockhausen e Ligeti. Le sue musiche difficili e refrattarie a contaminazioni stilistiche spiccano per “stupefacente trasparenza”, come disse l’amico Berio.
Intanto vola la sua carriera di direttore d’orchestra. Nel ’63 è sul podio del debutto in Francia del Wozzeck di Berg all’Opéra di Parigi e nel ’66 dirige
Parsifal a Bayreuth. Dal ’71 al ’77 ha l’incarico di guida della Filarmonica di New York, succedendo a Leonard Bernstein, e un’altra delle sue orchestre sarà la Bbc Symphony a Londra dal ’71 al ’75. Lungo cinque anni, dal ’76, dirige il Ring a Bayreuth con la regia di Patrice Chéreau, produzione leggendaria; ed è a lui che spetta l’esecuzione della prima mondiale della versione integrale della Lulu di Berg nel ’79 a Parigi.
Nel frattempo si fa largo il Boulez saggista, autore di libri tanto tecnici ed estetici quanto polemici ( Penser la musique d’aujourd’hui, Relevés d’apprenti, Points de repère, Leçons de musique) che raccolgono spesso sue conferenze e lezioni (a Darmstadt, a Basilea, a Cambridge) e dove ai discorsi musicali s’intrecciano osservazioni su pittura, letteratura e filosofia (geniale il suo saggio su Paul Klee Le pays fertile).
Il coronamento del suo percorso di didatta avviene con la nomina di professore al Collège de France (1976-91), su proposta di Michel Foucault. In più Boulez si afferma come stratega della cultura musicale, fondando l’Ircam di Parigi, centro per la ricerca sulla nuova musica e le più avanzate tecnologie sonore, dove si esprime appieno il suo interesse per l’elettronica. E a lui si deve la genesi dell’Ensemble Intercontemporain, gruppo dedicato alla musica del nostro tempo. Come ispiratore e consulente (tutti i go- verni in Francia lo hanno temuto e rispettato), è stato inoltre coinvolto in realizzazioni quali la costruzione dell’Opéra Bastille e della Cité de la Musique di Parigi. Nel ’92 aveva deciso di lasciare la guida dell’Ircam per consacrarsi alla direzione e alla composizione.
Questo secondo territorio gli stava particolarmente a cuore, e in vecchiaia si lamentava di non avergli saputo dare abbastanza, troppo preso dalle tempeste di tutto il resto. Negli anni Ottanta nacquero sue opere importanti come Notations, Répons e Dialogue de l’ombre double, e nei Novanta indagò la spazializzazione del suono con … explosante fixe…. A dispetto di certi suoi dogmatismi verbali, non cessò mai di alimentare la sua fame sperimentale tutt’altro che intransigente, come testimoniano le commissioni che fece all’Ircam a un musicista libero e anti-classico come Frank Zappa.
Il sommo Boul indicava strade, poneva quesiti, inaugurava dimensioni, cercava forsennatamente il futuro. Questa è la sua eredità.

Addio all’architetto dei suoni
Quirino Principe Domenicale 10 1 2016
Grandissime le realizzazioni, artistiche, civiche e di politica culturale del grande musicista scomparso martedì
La differenza tra pensare e credere! Lo pensavamo talvolta, ma lo credevamo impossibile. Ci erano arcinote le circostanze della nascita a Montbrison (dipartimento della Loira, regione Rodano-Alp) giovedì 26 marzo 1925. Avremmo dovuto essere informati dell’età di Pierre Boulez, 90 anni compiuti da 10 mesi, quasi 91, ma saperlo era tutt’altra cosa, poiché l’uomo era e continuerà ad essere tanto inevitabile centro di riferimento culturale e “politico” nel significato altissimo dell’aggettivo da far apparire impossibile un Occidente senza di lui. Ancora la differenza tra due verbi latini (ignoti ai capi di Stato, di Governo e di Chiesa compiaciuti del proprio analfabetismo), scio e sapio. Siamo profondamente persuasi, in senso michelstädteriano, che tra i parà-dóxan di Zenone e la bieca realtà della dóxa era Zenone colui che era nel Vero, ma poi de facto finiva per prevalere la dóxa, maledizione!, e la freccia superava tutte le metà e le metà delle metà dello spazio misurato, e colpiva il bersaglio. « El mundo, desgraciadamente, es real», scriveva Jorge B. (il genio, non il babbeo). Così, lasciandoci increduli, Boulez è morto a Baden Baden martedì 5 gennaio 2016. La notizia è stata diffusa con 22 ore di ritardo, e ciò rientra nello stile di vita dello scomparso. 
La nostra sfrenata presunzione non supera il limite della decenza: come tentare un giudizio d’insieme? e come individuare un “insieme”? Piuttosto, ripensiamo soggettivamente ad aspetti che ci fa piacere ricordare. A proposito di “insiemi”: Boulez, in principio, aveva studiato matematica a Lione. Lo attraeva ciò che catturò le anime di Xenakis, di Stockhausen, di Maderna: Xenakis intese la matematica come procedimento per vedere l’universo ai raggi X, Stockhausen come sommovimento creativo, Maderna come orizzonte vero il quale respingere il velo di Maya. Boulez la intese come il fondamentale ma non l’unico comandamento della sua architettura musicale. Ciò avvenne anche a causa della sua radicalità. Il motto «Schönberg est mort!», da lui lanciato in accordo con Karlheinz Stockhausen e Henri Pousseur, mirava alla serializzazione “post-weberniana” coinvolgendo non soltanto i suoni esattamente intonati (detti impropriamente «le note») ma anche ogni elemento d’espressione di prassi, di organico, progettato destino nella pubblica ricezione. Certo, al limite dell’aleatorietà, senza sceglierla definitivamente come ambito creativo. Infatti, l’avvicinamento di Boulez a Cage fu segno di grande apprezzamento e curiosità, ma non divenne una convergenza. 
L’originalità di Boulez ha gran forza, e il pubblico dovrà avvicinarsi ad essa con incantamento, sì da assorbire il fascino di quella musica meravigliosa, sia essa Pli selon pli o Le marteau sans maître. Di una musica anche terribile, come la Sonata n. 2 per pianoforte, che quasi atterrì Fedele d’Amico quando fu eseguita da Maurizio Pollini.
Grandissime le realizzazioni, artistiche o civiche o di politica culturale. L’esecuzione integrale di Das klagende Lied fu una svolta decisiva nella conoscenza pubblica di Mahler. Il Ring da lui diretto a Bayreuth nel 1976 fu un assoluto nella storia delle esecuzioni wagneriane. Dell’Ircam, donato alla Francia e al mondo da Georges Pompidou nel 1970, egli fu direttore da allora fino al 1992, centuplicando la coscienza musicale della sua nazione. E le memorabili lezioni al Collège de France dal 1976 al 1995… Infine, l’indecenza e l’ignominia dell’italiana Rai, e proprio della “culturale” Radio Tre, che la mattina del 7 gennaio, nella trasmissione Prima pagina, dopo avere parlato à gogo dei discorsi del Papa, delle geremiadi del cardinale Bagnasco contro le unioni civili (appunto: sempre contro qualcosa di civile), della morte di Silvana Pampanini, non si è degnata di nominare Boulez. Ecco, soltanto nel Giornale Radio Tre, come ultima notizia, ma per cinque secondi, soltanto come spassoso corollario alla morte della ex-divertente attrice: «Come la Pampanini, anche Boulez aveva 90 anni…».

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