Giovanni Gentile: Discorsi di religione, a cura di Paolo Bettineschi, Orthotes Editrice, Nocera, pagg. 176, ?€ 16,00
domenica 31 gennaio 2016
Religione e filosofia in Giovanni Gentile
Un libro interessante come una conferenza di zootecnia [SGA].
Giovanni Gentile: Discorsi di religione, a cura di Paolo Bettineschi, Orthotes Editrice, Nocera, pagg. 176, ?€ 16,00
Giovanni Gentile: Discorsi di religione, a cura di Paolo Bettineschi, Orthotes Editrice, Nocera, pagg. 176, ?€ 16,00
Risvolto
Viene
qui ripubblicata in forma editoriale rivista e migliorata una delle più
belle e significative opere gentiliane, in cui messo a tema è il
problema, sempre urgente ed attuale, del senso filosofico della
religione. Quale significato può attribuire il sapere speculativo a
quella forma mai davvero oltrepassabile dello spirito umano che è la
religione? Se, per l’attualismo, «il pensiero non può esistere a nessun
patto senza assumere un atteggiamento religioso», allora, «prescindere
da questo è lo stesso che proporsi di fare a meno del pensiero». Così,
non solo la politica e la morale non riescono ad esistere veramente al
di là di un rapporto concreto con la religione e con il divino, ma anche
la teoria dell’atto spirituale impone al soggetto
quell’«auto-obiettivazione», tipica del momento religioso e dell’idea di
Dio, senza della quale «lo spirito sarebbe solo una semplice
presunzione, non una realtà che si prova reale».
Tra spirito e pensiero La religione di Gentile
di Giuseppe Bedeschi Il Sole Domenica 31.1.16
Nel 1935 Giovanni Gentile tenne una conferenza all’Università di Praga,
che poi pubblicò sul «Leonardo» col titolo«Il carattere religioso
dell’idealismo italiano» (con questa espressione, “idealismo italiano”,
egli intendeva la propria filosofia, il cosiddetto “attualismo”, data la
rottura drammatica e insanabile intervenuta fra lui e Croce). In tale
conferenza Gentile sosteneva che la forza del proprio idealismo stava
nel suo carattere religioso, che tante avversioni, ma anche tanti
entusiasmi, aveva suscitato. Carattere religioso perché? Perché,
spiegava il filosofo siciliano, la religione entra in tutti i pensieri
degli uomini, laddove ogni arte o scienza particolare si contenta di una
sfera determinata di interessi; allo stesso modo «la filosofia
[idealistica] partecipa di questo carattere totalitario e perciò vitale o
etico della religione». È vero, diceva Gentile, che la filosofia
accentua il motivo della ragione e della libertà, ossia dell’infinità
dell’umana natura in quanto realtà pensante, autocoscienza e persona; ma
non perciò nega il limite e la necessità in cui questa personalità si
trova, di superare se stessa; anzi fa consistere in ciò l’essenza della
realtà spirituale, nel trascendere se stessa e attingere nella realtà
trascendente – nella sua realtà trascendente – la realtà. Perciò,
aggiungeva Gentile, l’idealismo italiano contemporaneo non solo non
credeva di lasciare inappagata nessuna reale esigenza religiosa dello
spirito, ma riconosceva nel Cristianesimo la concezione filosofica più
alta e più adeguata tra le forme storiche della religiosità. E non solo.
In una celebre conferenza del 1943 («La mia religione») Gentile
affermerà di essere non soltanto cristiano, ma anche cattolico. «Ripeto
dunque la mia professione di fede, piaccia o dispiaccia a chi mi sta a
sentire: io sono cristiano. Sono cristiano perché credo nella religione
dello spirito. Ma voglio subito aggiungere, a scanso di equivoci: io
sono cattolico». Cristiano, perché per la religione cristiana Dio è
spirito, ma è spirito in quanto l’uomo è spirito, e Dio e uomo nella
realtà dello spirito sono due e sono uno, sicché l’uomo è veramente uomo
soltanto nella sua unità con Dio. Cattolico, perché la religione, come
ogni attività spirituale, è universale, propria di un soggetto che si
espande all’infinito: comunità illimitata, nella quale il mio Dio è Dio
se è Dio di tutti.
A questa concezione, Paolo Bettineschi (che ha curato una bella edizione
dei Discorsi di religione di Gentile, con un ampio saggio introduttivo,
per i tipi di Orthotes) obietta che, «piuttosto che avvicinare i due
poli del divino e dell’umano – stringendoli in buona unità e rendendoli
solidali – l’attualismo abbatte la verità della distinzione che passa
tra uomo e Dio, e quando parla di unità dei due, intende in effetti la
loro identità, il loro essere una sola realtà, non già il loro stare
insieme che sarebbe il loro vero abbracciarsi». Obiezione fondata, mi
pare, da un punto di vista logico. E tuttavia non si dovrebbe
dimenticare, da un punto di vista storico, che – come osservò un
eminente studioso cattolico, Adriano Bausola – la carica di religiosità
dell’attualismo fu un fattore di attrazione per molti, e preparò la
strada ad alcuni giovani pensatori, destinati a diventare tra i maggiori
esponenti dello “spiritualismo cristiano”, per approdare poi al
cattolicesimo.
Ed è proprio in riferimento a questi temi che si misura tutta la
distanza fra Gentile e Croce, e si colgono i motivi profondi della loro
rottura. Nella Storia d’Italia dal 1871 al 1918 Croce definì
l’attualismo come un «nuovo irrazionalismo», «un misto di vecchia
speculazione teologica e di decadentismo, tra lo stil dei moderni e il
sermon prisco». Perciò, affermava Croce, egli ne prese subito le
distanze, nonostante il rapporto di stretta collaborazione che lo aveva
unito precedentemente a Gentile, il cui “idealismo attuale” si sarebbe
sempre più apertamente svelato (sono parole del filosofo napoletano)
«come un complesso di equivoche generalità e un non limpido consigliere
pratico».
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