lunedì 25 gennaio 2016
Sinistra carina & Sinistra virilista-popolaresca
Esiste
una sinistra carina, postmoderna e dirittumanista che umilia la politica
identificandola esclusivamente con i diritti civili. E che l'altro
giorno è scesa in piazza con il PD, confermando che il suo orizzonte
unico è ancora e sempre il caro Centrosinistra delle alleanze e degli
assessori.
A questa sinistra subalterna si contrappone però con
sempre maggiore rozzezza una "sinistra" che - nella migliore delle
ipotesi - intenderebbe affermare la secondarietà dei diritti formali
rispetto a quelli materiali e vorrebbe maggiore impegno per una
trasformazione strutturale della società. Ma che per fare questo finisce
per negare e ridicolizzare i diritti civili stessi. E per andare in
maniera più o meno inconsapevole alla coda delle provocazioni, delle
trappole e delle parole d'ordine della destra, come quella sintetizzata
nella grottesca e oscena immagine qui sotto.
In questa sinistra
che si vorrebbe popolare ("prima i bisogni della gente!") ma che
rappresenta l'altra faccia della stessa subalternità e incapacità di
autonomia politica, riaffiora purtroppo sempre più il richiamo alla
dimensione "naturalistica" di una presunta autenticità umana o sessuale
violata dal capitalismo. A questa sciocchezza e alla reiterata e
orgogliosa professione di anti-intellettualismo - che è offensiva della
storia della sinistra stessa e coniuga il culto della forza con un
pensiero magico non lontano da quello dell'omeopatia e del veganesimo -
non vale la pena rispondere.
Più interessante, anche se non meno
sbagliato e stupido, l'argomento secondo cui i diritti civili e in
particolare il riconoscimento giuridico delle unioni di fatto
(soprattutto quelle omosessuali) sarebbero funzionali al capitalismo
consumeristico, se non addirittura il subdolo strumento di un vero piano
o complotto del capitale. E sarebbero da respingere perché negando
questi diritti si metterebbero addirittura - vasto programma! - i
bastoni tra le ruote al capitale.
Sai che novità!
Il
riconoscimento delle identità individuali come di quelle di gruppo è
legato anche e in gran parte alla divisione del lavoro. E' del tutto
normale, dunque, che nel capitalismo siano prima o poi riconosciute e
diventino indifferenti istanze che nel feudalesimo, quando la divisione
del lavoro era diversa, erano invece represse. Non c'è nessun complotto
neoliberale, dunque, ma solo il funzionamento inevitabile del
capitalismo stesso. Tanto più che questo riconoscimento non è stato
affatto spontaneo né imposto dall'alto, ma è l'esito di una lunga storia
di conflitti dentro la modernità.
L'affermazione della divisione
capitalistica, e la sua evoluzione, disintegrando la divisione feuale e
premoderna, ha portato alla rottura dei vincoli personali di
subordinazione ma anche alla crisi di una serie di funzioni sociali e
gerarchie pretederminate. Il processo di astrazione riguarda qui la
forma di merce, i mezzi di pagamento ma anche il lavoro, che è sempre
più trasformato in forza-lavoro equivalente. Astrazione è però sinonimo
di scambio crescente ma anche di superamento delle condizioni naturali e
persino di umanizzazione, per quanto contraddittoria. Non si vede poi
cosa possa discriminare i soggetti in quanto consumatori e perché mai
questi debbano essere discriminati.
Questo movimento - che per
certo aspetti è l'esito di un processo che va avanti da quando l'uomo e
la donna sono fuoriusciti dall'animaltà - è il presupposto della fine
della servitù della gleba e poi della schiavitù (essa stessa oggi
rivalutata nella celebrazione della Confederazione come baluardo
comunitario contro l'industrialismo capitalistico nordista...).
E' il presupposto dell'emancipazione femminile, ancora da conseguire nella sua pienezza.
Ed è il presupposto del riconoscimento tendenziale di qualunque differenza.
Sono le differenze il vero problema? Che facciamo, revochiamo
l'emancipazione formale (quella sostanziale è di lù da venire) dei
servi?
Nella misura in cui non entrano in contraddizione con
l'aspirazione all'universalità (è il caso, ad esempio, di chi usa i
diritti civili come pretesto ideologico per l'espansione delle pratiche
imperialistiche), le domande differenziali hanno un ruolo progressivo.
Il che conferma che il capitalismo non ha per nulla esaurito i suoi
margini di egemonia, tutt'altro. La rivoluzione passiva è passiva ma è
anche rivoluzione. E persino la funzionalizzazione sistemica delle
domande sociali non oblitera la legittimità delle domande stesse,
costringendoci invece a interrogarci sulle nostre insufficienze
teoriche.
Ancora e sempre, il problema è semmai coniugare
particolare e universale, non reagire alla crisi dell'universalismo
attraverso la negazione della particolarità.
Piuttosto, i
"marxisti" della domenica e questi strani socialisti nazionali
riflettano sulle trasformazioni che gli odierni processi di
riconoscimento e di pieno compimento del diritto civile comporteranno
sulla struttura della proprietà. E si chiedano se non sia anzitutto
questa la tutela della "famiglia" - ovvero del patrimonio familiare
borghese - che gli umori dominanti hanno più che altro in mente. Una
difesa legittima, a patto che venga nominata per quel che è (un
conflitto di interessi tra diverse configurazioni dell'istituto familare
stesso, una più vecchia e un'altra più recente, ma entrambe altrettanto
immerse nella società capitalistica). Un po' meno se si ammanta di
giustificazioni naturalistiche alle quali nel 2016 è un po' difficile
credere.
La Sinistra carina fa venire il latte alle ginocchia a
me per primo ed è comprensibile che prima o poi uno tenda a spararla
grossa. Ma diventare di destra no: si tratta di riconquistare un
pensiero e una pratica di autonomia [SGA].
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