lunedì 11 gennaio 2016
Tradotto “Der Mensch ist, was er isst“ di Feuerbach
Risvolto
Diffusasi
come uno slogan, la celebre frase di Feuerbach «l’uomo è ciò che
mangia» resta oscura nella sua genesi e nel suo significato profondo per
chi non conosca l’opera di questo pensatore, che attraverso l’ironia e
la battuta filosofica scuote il lettore per poi condurlo nelle tematiche
decisive. Così per il cibo qui evocato, oltre la lettera, in quanto
materia: esso si inscrive nella grande questione esplorata da Feuerbach
del rapporto fra l’uomo e la natura, Dio, la religione. Un contesto
articolato nell’opera fondamentale (Essenza del cristianesimo, 1841) cui rinviano gli articoli qui tradotti – Scienza naturale e rivoluzione e Il segreto del sacrificio ovvero l’uomo è ciò che mangia – riuscendo a far luce sul famoso detto nei suoi nessi con la cultura scientifica e religiosa dell’epoca.Per
la prima volta tradotto il saggio di Feuerbach che ha rivoluzionato
l'immagine moderna dell'uomo: nel cibo è nascosta la chiave per capire
la sua anima.
L’uomo si nutre se ama
Armando Torno Domenicale 10 1 2016
Ludwig Feuerbach (1804-1872) studiò non soltanto filosofia a Berlino frequentando le lezioni di Hegel, ma anche teologia ad Heidelberg. Anzi, capita a coloro che esaminano pur sommariamente la sua opera di accorgersi della preminenza dell’aspetto teologico; influenzò Marx e la Sinistra hegeliana, era convinto che l’uomo ha creato Dio e non viceversa. Come pochi altri contribuì al dibattito intorno alla religione nel mondo contemporaneo, asserendo che l’essere divino è l’uomo liberato dai vincoli che lo schiacciano (il suo umanesimo è fondato sul principio «Homo homini deus est »). Nella Teogonia del 1857 riconduce la genesi dell’idea di Dio (o del dio) all’inconsapevole proiezione dei nostri desideri al di fuori di noi stessi.
Una sua frase è diventata famosissima, finendo anche nei biglietti vagamente sentimentali con cui si avvolgono i cioccolatini: «L’uomo è ciò che mangia». Un tempo era considerata l’essenza di una visione materialistica e atea, oggi è diventata utile per illustrare pratiche dietetiche o salutistiche. Tale locuzione, non va dimenticato, è parte del titolo di un saggio dello stesso Feuerbach: «Il segreto del sacrificio ovvero l’uomo è ciò che mangia» che si trova già nell’edizione originale delle sue opere del 1866, nel X volume. L’autore la utilizzò come frase isolata nel 1850 – lo ricorda lui stesso – recensendo il libro di Moleschott Dottrina dell’alimentazione per il popolo; inoltre, nota Francesco Tomasoni che ora ha curato una traduzione italiana (alla quale ha aggiunto anche la versione di un altro breve scritto, La scienza naturale e la rivoluzione), è possibile leggere le parole «Dis-moi ce que tu manges, je te dirai que tu es » nella Fisiologia del gusto di Brillat-Savarin, la cui prima edizione risale al 1825.
Indipendentemente dalla genesi di queste fortunate parole, va evidenziato il carattere religioso del saggio. I culti sacrificali sono connessi alle libagioni, l’Antico Testamento è letto in alcuni passi con l’intento di porre in evidenza il carattere liturgico del vino, aspetto del resto già presente nell’Iliade. Il succo della vite mescolato al sangue suggella patti religiosi e Feuerbach nota che «i Romani hanno perfino un proprio vocabolo per questa bevanda: assiratum, da assir, sangue».
Saggio fascinoso, ben annotato e introdotto da Tomasoni , studioso a cui si deve anche la monografia Feuerbach ora pubblicata da La Scuola in un’edizione aggiornata. Il pensatore tedesco in L’uomo è ciò che mangia scrive con notevole verve, coinvolgendo il lettore; l’aspetto religioso mai è dimenticato. «L’amore – si legge – è un mangiare non rozzo, carnale, bensì cordiale e orale. In latino il vocabolo bacio è diminutivo di bocca, in greco amare e baciare sono un unico vocabolo: filein, e in tedesco baciare con amore è espresso in modo eccellente da herzen. Se però amare è mangiare e l’amante “è ciò che ama”, allora l’affermazione secondo cui l’uomo è ciò che mangia ha dalla sua parte perfino l’autorità dell’amore divino».
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