sabato 27 febbraio 2016
Assessori di tutta Italia, unitevi!
Come è noto ai quattro gatti che seguono queste vicende, lo scontro interno al PdCI, durato alcuni anni, è stato vinto con
nettezza dall'ala assessorile di Diliberto, Palermi e del transfuga
senator Giannini. Con la sconfitta - del resto scontata - di
Marx XXI (ex Ernesto: chi è causa del proprio mal pianga se stesso, visto che erano stato più e più volte messi in guardia).
Crollata la svagata finzione della "costituente"
dopo la proposta di un grottesco meccanismo di quote che riservava ai
200.000 militanti (?) della diaspora - gli stessi ai quali nel testo si cerca di liscare il pelo - appena il 5% dei posti (cioè
meno di quelli riservati a Steri, che si porta dietro circa dieci
persone compresa la famiglia), per disperazione e pretesa furbizia viene
proposta al PRC una unità tutta feticistica e nominalistica. La solita
unità di vecchi dirigenti bolliti, che serve per non si sa bene a cosa. E
che con la scusa della guerra - la preoccupazione verso il genere umano da parte di un partito che era nato nel 1998 proprio per bombardare la Jugoslavia e che ancora oggi rivendica quella scelta è poco credibile - evita rigorosamente di parlare dell'unica cosa che al PdCI da sempre sta a cuore: le alleanze con il PD, il caro centrosinistra, le
sempre più rare ma ancora comode poltrone (come a Catania e in altre
realtà).
Siamo di fronte a
una ciclica presa per il culo. Provenendo da un gruppo dirigente
strutturalmente colluso e privo di credibilità ormai dal 1998, infatti,
ogni profferta va e sarà respinta senza esitazioni.
Perché lo fanno allora?
I diliberti per primi sanno che nessuno se li cagherà di striscio,
prima di tutti i rifondaroli. D'altro canto, loro considerano i
rifondaroli una fogna, il peggio che ci sia in circolazione. E però, nei loro
schemi mentali che si ripetono sempre uguali dagli anni Cinquanta,
questo appello si configura come una "offensiva tattica": facciamo
vedere che noi siamo per l'unità; saranno loro a respingerla e a pagarne
dazio.
Non che il PRC sia messo meglio: gli errori di linea
interna e soprattutto internazionale non si contano. Ma almeno Brioscino
non fa il deserto delle opposizioni interne: queste se ne vanno per noia, stanchezza o invecchiamento [SGA].
L’unità dei comunisti, per una casa comune
Lettera
aperta del Pcdi al Prc. La proposta: «Almeno 200mila militanti senza
riferimento, serve un partito all’altezza, fermiamo la diaspora»
La segreteria nazionale del PCdI il manifesto 27.2.16
Caro compagno Paolo Ferrero, care compagne e cari compagni del Prc,
noi
constatiamo che, giorno dopo giorno, va costituendosi nel Paese,
attorno al cosiddetto partito della nazione, un nuovo ordine liberista,
di carattere strategico e subordinato ai disegni antipopolari e
antidemocratici dell’Unione europea. Noi constatiamo che, sotto la
pressione imperialista degli Usa e della Nato, l’Italia è sempre più
vicina alla guerra. Gli interventi militari in Libia e in Siria, da
parte del governo Renzi, sono disgraziatamente vicini. Noi assistiamo
all’attacco forsennato, da parte del governo, del Pd e delle forze
reazionarie, alla Costituzione e agli assetti democratici. Tutto ciò
mentre l’imposizione dei dettami di Maastricht sta portando l’economia
italiana nella stagnazione, nel crollo dell’esportazione,
nell’impoverimento. C’è una continua, incessante distruzione del welfare
— dalla sanità, alla scuola, ai servizi alle persone — che si
accompagna ad imponenti processi di privatizzazione, mentre il lavoro,
attraverso il jobs act, si struttura in una sorta di sott’occupazione di
massa, dal carattere precario e socialmente disperato.
È in
questo contesto, care compagne e cari compagni, che noi rilanciamo il
progetto dell’unità dei comunisti e della ricostruzione di un più forte
partito comunista in Italia. E per questo progetto ci rivolgiamo
innanzitutto a voi, dirigenti, militanti e iscritti del Prc.
Non
credete che sia nel pensiero, nella prassi, nel progetto del partito
comunista che si ritrovano, per l’oggi e per il domani, i valori più
grandi? Quelli della lotta contro la guerra, l’antimperialismo,
l’internazionalismo, l’anticapitalismo, il progetto di socialismo. Non
credete che attorno a questi valori, oggi, in Italia, siamo innanzitutto
noi, i comunisti/e, che dobbiamo ritrovarci e riorganizzarci? Non
credete che, oggi, le questioni che ci hanno diviso siano decantate,
superate?
A noi pare di sì, e siamo pronti ad unirci. Noi siamo
convinti che la gravità della situazione democratica e sociale superi di
gran lunga le nostre scorie e le nostre residue differenze.
In
questi giorni sono entrati in lotta gli operai del’Ilva, dell’Alcoa,
della Piaggio, di Gela e di tante fabbriche e uffici e servizi. Sono
lotte importanti, alcune durano da anni, ma sono di natura difensiva e
soprattutto non hanno riferimenti né sbocchi politici: non è ora di
offrire al movimento operaio complessivo una sponda più solida e chiara?
Un partito comunista?
Il Prc, come il PCdI, persegue la linea,
giusta, dell’unità delle forze di tutta la sinistra. Senza tuttavia,
sopprimere, in essa, l’autonomia comunista ed anzi, all’interno
dell’unità della sinistra, rafforzando il soggetto di classe e
rivoluzionario: il partito comunista.
In questi anni, segnati
dalla nostra divisione, ci siamo indeboliti. Nel Prc, dalla sua nascita,
sono entrati e poi usciti migliaia di compagne e compagni; lo stesso
Prc, in misura maggiore, e il PCdI, in misura minore, sino a pochi anni
fa hanno continuato ad organizzare molte e molti. Nel Paese, senza
tessera e senza organizzazione, stanno oggi in solitudine circa 200 mila
comuniste e comunisti. Noi vogliamo, insieme, dare un progetto unitario
a questa grande diaspora. Vogliamo, insieme, darle passione,
restituirle una nuova “casa comune”, una nuova possibilità di militanza.
Vogliamo, assieme, ricostruire un partito comunista ed un fronte
unitario della sinistra all’altezza dei tempi e dello scontro di classe.
Noi siamo pronti a scioglierci, a rinunciare al nostro partito per
ricominciare uniti. Camminiamo insieme, venite anche voi?
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