mercoledì 3 febbraio 2016

Carlo Bo. Ancora e sempre: No



L'università e persino la città risentono ancora del suo democristianume feudale. I tre quarti dei docenti e la quasi totalità degli impiegati - non pochi docenti cominciarono proprio come impiegati... - ai suoi tempi non venivano presi se non si esprimevano nel dialetto locale e se non strisciavano bene.

Ancora oggi sono in servizio professori che hanno fatto per ore anticamera davanti alla sua porta per pietire un concorso. Buona parte della nostra arretratezza materiale e mentale si deve a lui [SGA].



GLI AMICI DI BO ERANO SETTE COME LE NOTE 
3 feb 2016  Corriere della Sera Di Sebastiano Grasso sgrasso@corriere.it
«Nel 1948 Carlo Bo aveva letto 20 mila libri e mangiava 30 pesche al giorno», scrive Domenico Porzio su «Oggi». Bo allora ha 37 anni, da cinque convive con Marise Ferro (ex moglie di Guido Piovene: la sposerà nel ’61) e l’anno prima è stato eletto rettore dell’Università di Urbino. Lo resterà per sempre. Il «duca» muore nel luglio 2001. A gennaio aveva compiuto 90 anni e avevamo sperato che, come Prezzolini, potesse superare il secolo («Al suo fianco si poteva anche pensare d’essere immortali» annoterà Giovanna Ioli). 
Una vita straordinaria, quella di Bo, trascorsa a scandagliare — per un settantennio — una biblioteca sterminata: soprattutto narrativa, poesia e saggistica italiana, francese e spagnola del Novecento. Lettura e scrittura. Lo ricorda, adesso, per i 15 anni dalla scomparsa, il volume Carlo Bo: Bibliografia degli scritti (1929-2001) e Bibliografia degli scritti su Bo (1932-2015), a cura di Marta Bruscia, Ursula Vogt e Laura Toppan (Metauro, pp. 384, € 40). Scoperte, conferme, rivalutazioni di opere e autori, famosi ed esordienti. Certo è solo l’inizio, ma bisognava pur cominciare, osserva Stefano Verdino nella prefazione. Resta fuori, infatti, buona parte dell’attività di pubblicista (rubriche su vari settimanali, centinaia di articoli su «Stampa» e «Corriere», interventi in tv, e così via), altre prefazioni. Bo è stato un uomo generosissimo, soprattutto con gli esordienti. 
Ricordo un collega del «Corriere d’Informazione» cui Bo presentò un libro di versi: neppure un grazie; il maramaldo — cui è rimasto un ego smisurato — pensava che gli fosse dovuto. Qualche anno dopo, lo stesso chiese a Franco Di Bella — direttore generale dei quotidiani di Monti — di affidargli «Il Giorno» («Sono pronto»). Di Bella se la cavò con un sorriso. 
Può un regesto suscitare commozione? Certo. Dipende dai rapporti fra Charlie (come lo chiamava Marise) e i suoi amici e discepoli: richiami, suggestioni, ricordi scanditi in successione di nomi, ordinati come su una scala musicale. 
Do: Sbarbaro. Suo insegnante di latino e greco a Genova, lo spinge ad occuparsi di letteratura. Re: Quasimodo. Da Bo più volte segnalato per il Nobel, lo stesso giorno che, nel 1959, gli viene comunicata l’assegnazione, si reca al Conservatorio Verdi (dove insegna Letteratura italiana), firma il foglio di presenza e fa lezione. Mi: Bacchelli. Per l’autore de Il mulino del Po, il critico ha sempre avuto una sorta di venerazione. Fa: García Lorca. Traduzione di libri singoli e di tutte le opere. Federico vuole dire anche Juan Ramón, Machado, Unamuno, Alberti. 
Sol: Spadolini. Bo tiene in cornice una foto col «professore» in sala da pranzo. «È ancora arrabbiato con me», sussurra a tavola. Nel 1994, mentre Bo si reca a Roma per le votazioni del nuovo presidente del Senato, nei pressi di Bologna ha dei capogiri e l’autista fa dietrofront. Spadolini non viene eletto per un voto («Non mi ha mai creduto e non me l’ha perdonata»). La: Luzi. Il poeta vuole dire Firenze (dove Bo si è laureato con una tesi su SainteBeuve) e anche Betocchi, Parronchi, Landolfi, Lisi, il «Frontespizio», Montale e il Viesseux, le Giubbe Rosse. 
Si: Bigongiari. Una volta che da Milano andiamo a Firenze in auto per un premio, Bo chiede di raggiungere il cimitero di Barberino del Mugello per una visita all’amico Piero. Dopo oltre un quarto d’ora davanti alla lapide, si passa la manica destra davanti agli occhi: «Andiamo», bofonchia. Non l’ho visto commuoversi così neppure ai funerali di Marise.

1 commento:

Anonimo ha detto...

La grandezza del critico letterario, la sua cultura sterminata, il suo sconfinato amore per la civiltà della parola e del testo non si discutono. Quanto al fatto che egli fosse al centro di una rete di baronie, clientelismi, scambi di favori, cerchiamo di non essere ipocriti. Tutta l'università funziona così. E va pur detto che la maggior parte dell'università italiana, almeno in area umanistica, è in mano alla sinistra. A ciò si aggiunga che Carlo Bo appoggiò anche uomini di sinistra. Umberto Piersanti ebbe la cattedra grazie a lui. E non era, e non è, di destra, né cattolico, ma semplicemente un grande poeta.