L’accordo russo-americano per il cessate il fuoco in Siria era scritto sulla sabbia. I russi, grazie alla loro posizione di forza, continueranno ad aiutare, insieme agli iraniani, fino alla vittoria, il dittatore siriano nella lotta contro i «terroristi» (tutti gli oppositori armati del regime) e l’America, debole, ondeggiante e boccheggiante non sembra in grado di impedirlo. Anche l’impegno assunto con gli americani dalle potenze sunnite Turchia e Arabia Saudita di combattere lo Stato islamico (pure lui sunnita e con gli stessi nemici di turchi e sauditi) non è credibile. Lo Stato islamico è ancora lì a minacciarci (come ha ricordato il primo ministro francese Manuel Valls) e niente lascia pensare che possa essere neutralizzato in tempi brevi.
lunedì 15 febbraio 2016
Fantaccinen! Con Panebianco e Battista alla Crociata di Civiltà
NOI IN LIBIA: SAREMO MAI PRONTI?
Fronti aperti Si sta rivelando sempre più lampante la nostra inadeguatezza nell’affrontare i pericoli
15 feb 2016 Corriere della Sera di Angelo Panebianco
L’accordo russo-americano per il cessate il fuoco in Siria era scritto sulla sabbia. I russi, grazie alla loro posizione di forza, continueranno ad aiutare, insieme agli iraniani, fino alla vittoria, il dittatore siriano nella lotta contro i «terroristi» (tutti gli oppositori armati del regime) e l’America, debole, ondeggiante e boccheggiante non sembra in grado di impedirlo. Anche l’impegno assunto con gli americani dalle potenze sunnite Turchia e Arabia Saudita di combattere lo Stato islamico (pure lui sunnita e con gli stessi nemici di turchi e sauditi) non è credibile. Lo Stato islamico è ancora lì a minacciarci (come ha ricordato il primo ministro francese Manuel Valls) e niente lascia pensare che possa essere neutralizzato in tempi brevi.
In Italia, pare, non abbiamo ancora compreso che cosa significhi, per la nostra sicurezza, il declino politico-militare degli Stati Uniti, la loro perdita di influenza in Medio Oriente (e non soltanto). Un declino che, a giudicare dai primi risultati delle primarie presidenziali, potrebbe anche approfondirsi: i due candidati che al momento spopolano nelle primarie democratiche e repubblicane, Sanders e Trump, sono entrambi protezionisti e isolazionisti. Se anche, alla fine, come è possibile, a vincere le nomination saranno candidati di establishment anziché di protesta, è poco plausibile che quegli «umori» popolari non lascino alcuna traccia. Enoi italiani, allora, che facciamo? Dal dopoguerra in poi ci siamo abituati a dipendere per la nostra sicurezza dall’America. Il vantaggio è la protezione di cui abbiamo goduto. Lo svantaggio è che non siamo stati in grado di sviluppare una adeguata «cultura della sicurezza»: assomigliamo a quei ragazzini che, avendo avuto genitori troppo protettivi, non sono capaci di cavarsela da soli. Anche i «buoni sentimenti» pacifisti che abbiamo sviluppato (non solo la sanissima idea che bisogna fare di tutto per evitare le guerre ma anche l’idea malata che non ci si debba attrezzare per difendersi) sono un lusso che ci siamo potuti permettere grazie a quella protezione.
Facciamo un esempio della nostra inadeguatezza di fronte ai nuovi pericoli. L’ennesima sentenza della magistratura ha dato ragione a mamme preoccupate e ambientalisti vari che cercano di impedire che il Muos, il sistema militare americano di comunicazioni satellitari entri in funzione a Niscemi, in Sicilia. Il Muos potrebbe essere uno strumento prezioso per anticipare eventuali attacchi missilistici ma c’è chi ipotizza che il suo funzionamento danneggerebbe la salute. Ma lo Stato islamico si è insediato sulla costa libica, a un passo da noi, e non gli mancherebbero i mezzi, se un giorno lo decidesse, per procurare alla salute danni assai più gravi.
Continuiamo a dire che quando, con modi e tempi da stabilire, si interverrà apertamente in Libia a sostegno dei libici impegnati contro lo Stato islamico (ufficiosamente siamo già lì da un pezzo), all’Italia spetterà un ruolo di leadership. Una rivendicazione apparentemente ineccepibile: per la continuità dei nostri rapporti con la Libia e per la nostra esperienza. Ma pesa la difficoltà dell’Italia pubblica (politica e mediatica) ad affrontare con conoscenze e competenza le questioni della sicurezza. C’è da temere che, quando arriverà il momento dell’intervento, il governo non sia riuscito a preparare l’opinione pubblica, non l’abbia resa edotta dei pericoli che correremo se non verrà fermata la deriva libica. Se arriveremo a quell’appuntamento con una opinione pubblica impreparata, ci saranno forti contraccolpi nelle piazze e in Parlamento.
Per qualcuno, il declino americano, se davvero diventasse irreversibile, non dovrebbe spaventarci. Non sarà forse l’Europa, un giorno, a provvedere alla nostra sicurezza? Qualunque cosa accada «un giorno», al momento, di questa Europa non v’è traccia. Ciò che accade intorno a noi, dovrebbe convincerci di quanto inconsistenti siano le giaculatorie sulla necessità di una «Europa politica», la quale, come è noto, viene sempre evocata solo quando si parla di euro e di banche. Si dimentica che le unificazioni politiche non si fanno col burro ma con i cannoni. Sono sempre state guerre e minacce geopolitiche a innescarle.
Dal Medio Oriente arrivano venti di guerra e minacce per gli europei. Solo il giorno in cui questa diventasse, su richiesta dei governi, la prima preoccupazione dell’Unione, si potrebbe rivedere il giudizio sull’inutilità delle giaculatorie a favore dell’ Europa politica.
15 feb 2016 Corriere della Sera Di Pierluigi Battista
Sono passati circa venti giorni da quando la Venere Capitolina è stata sbeffeggiata e inscatolata per non urtare la suscettibilità del presidente iraniano in visita a Roma. 17 miliardi di scambio commerciale con Teheran sono stati sufficienti per infliggere all’Italia una figura umiliante, ma sull’onda del discredito internazionale la presidenza del Consiglio e il ministero per i Beni e le Attività culturali hanno fatto la faccia feroce promettendo di avviare un’indagine e di scoprire i colpevoli di una vicenda grottesca e sconfortante. Venti giorni invece non sono stati sufficienti per dimostrare la serietà di quella faccia feroce. Di quell’inchiesta non si è poi saputo più niente. Il colpevole non è venuto fuori, figurarsi. La percezione che i colpevoli siano solo dei fantasmi appare sempre più credibile, a meno che per colpevoli si facciano passare i solerti funzionari che hanno applicato con zelo direttive politiche probabilmente concepite ed emanate nelle stesse stanze che poi, per scaricare gli effetti di una brutta figura sulla solita «burocrazia» senza volto, hanno messo in scena il copione dell’indignazione tardiva. Venti giorni passati inutilmente. Di più: al ridicolo si aggiunge il ridicolo di indagini senza costrutto, di inchieste senza sbocco, di ricerche senza risultati. Ma è davvero così complicato scovare il misterioso e imprendibile colpevole? Forse sarebbe il caso di sollecitare i goffi indagatori, e di non confidare sull’oblio degli italiani che, figuraccia per figuraccia, sono addestrati a perdonare il solito chiacchiericcio dei governanti che non mantengono ciò che hanno promesso. Tra l’altro, dopo l’umiliante inscatolamento delle opere d’arte coperte per compiacere il munifico ospite, durante la trasmissione della 7 Piazzapulita, i dipendenti dei Musei capitolini, ovviamente a volto coperto per non incorrere nelle ire dei dirigenti che avevano eseguito l’ordine censorio, hanno riferito, mai smentiti, che per quel giorno le dipendenti donne avrebbero potuto disertare il lavoro. Sempre per non offendere il dittatore di Teheran insofferente all’immagine di donne non umiliate dalla rituale velatura di sottomissione. Se fosse vero, questa proterva cancellazione femminile nel giorno della visita di Rouhani, ottenuta con la complicità dei responsabili del museo romano, sarebbe ancora più grave del ridicolo e offensivo inscatolamento delle statue. Inutile chiedere chi è stato: i nostri indagatori sono in ferie.
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