lunedì 8 febbraio 2016
Perversioni del dirittumanismo: verso una politica delle quote anche nella storiografia?
La storia scritta solo dai maschi “Guerra e potere roba da uomini”
In
Inghilterra sui 50 saggi più venduti appena quattro sono firmati da
autrici donne. Le ricercatrici: “Lettori machisti, basta pregiudizi”
di Enrico Franceschini Repubblica 8.2.16
LONDRA
LA STORIA, afferma un vecchio detto, è raccontata dai vincitori. Ma è
altrettanto vero, sostiene qualcuno, che a scriverla sono più spesso gli
uomini delle donne. Tra i cinquanta titoli di storia più venduti
pubblicati l’anno scorso in Gran Bretagna, solo quattro hanno un autore
di sesso femminile. È un caso, una tendenza, o una discriminazione? La
questione riguarda la Gran Bretagna, ma non solo. E investe il ruolo che
le donne hanno nella ricerca storica, un ruolo crescente negli ultimi
decenni, come attestano pubblicazioni scientifiche e contributi
accademici.
Tornando alla Gran Bretagna, il Guardian riassume la
questione con una battuta: «Big books by blokes about battles». Alla
lettera vuol dire: grossi libri di maschi su battaglie. Il senso è
chiaro: la storia è fatta in buona parte di guerre, le guerre sono state
combattute per millenni dagli uomini, dunque è inevitabile che siano
gli uomini a narrarle, ricordarle, interpretarle. Un po’ come dire che
il calcio è uno sport per maschi e i giornalisti sportivi, guarda caso,
sono maschi. Senonché il calcio non è più giocato soltanto dai maschi, e
nemmeno le guerre sono una loro esclusiva: se oggi ci sono tante donne
che scrivono di sport e tante che scrivono di guerra come reporter,
perché non dovrebbero esserci più autrici di libri di storia?
Il
quesito tocca un tasto dolente, come si ricava dal dibattito che ha
suscitato nel Regno Unito. Mary Beard, docente di storia a Oxford, nota
per i programmi tv che conduce sulla Bbc, il cui ultimo libro, Spqr, è
stato per l’appunto uno dei best- seller del 2015, lamenta il machismo
non solo e non tanto del mondo dell’editoria quanto dei lettori.
«L’acquirente medio di libri si aspetta che le donne scrivano di
problemi femminili, di questioni legate all’infanzia o alla sanità»,
dice al quotidiano. «Se non è un lettore informato, se non conosce
l’autore o l’autrice, per istinto si rivolgerebbe a un maschio per un
libro sulle guerre napoleoniche». Beard aggiunge che, quando riceve
critiche alla sua ultima opera, gli uomini le rimproverano di avere
dedicato troppo spazio all’ostetricia dell’antica Roma («non è vero»,
replica) e non abbastanza alle guerre puniche.
Insomma, sono gli
stereotipi che danneggiano le donne come narratrici di storia. Antonia
Fraser, autrice di quattro tomi sulla storia dell’Inghilterra, si è
sentita criticare nella recensione di un collega (storico maschio) in
questi termini: come poteva una donna comprendere i tormenti di uomo
come Cromwell? Interrogativo in base al quale nessun uomo potrebbe
comprendere i tormenti di Maria Antonietta. «Per conto mio non c’entra
il sesso di chi scrive, c’entrano solo la qualità della ricerca e della
scrittura», afferma Fraser. Lo storico della seconda guerra mondiale
Antony Beevor (l’ultimo libro è sulla battaglie delle Ardenne) concorda:
c’è un pregiudizio contro le donne che scrivono di storia,
particolarmente la storia militare, sebbene alcune abbiamo dimostrato di
saperlo fare meglio degli uomini, e cita in proposito
Ivan’s war, il libro Caterine Merrydale sull’Armata Rossa. E lo
storico
Simon Schama ( La storia degli ebrei il suo ultimo titolo pubblicato in
Italia)risponde con un lungo elenco di scrittrici di storia che
comprende fra le altre Germaine Greer, Naomi Klein e Lisa Appignanesi: i
libri di storia saranno anche “big books”, sottintende, ma ce ne sono
tanti non scritti da “blokes” e che non trattano di “battles”.
“Ma la qualità di noi studiose non si giudica con i best seller”
di Francesco Erbani Repubblica 8.2.16
ROMA. «Non ho dati, ma l’impressione è che la questione riguardi il best seller, non tanto il saggio di storia in sé». Anna Foa, storica dell’Università La Sapienza, ha al suo attivo importanti studi sull’età rinascimentale, sull’ebraismo e sulla metodologia storiografica. A suo avviso il fatto che poche donne figurino nelle classifiche dei best seller indica che i best seller sono una cosa, la ricerca storica è un’altra. A volte coincidono, tante altre no.
Non ci sarebbe, secondo lei, una prevalenza degli storici maschi?
«I libri più venduti non credo siano un indicatore affidabile. I saggi di storia più diffusi sono anche quelli più tradizionali. Raccontano vicende di guerra, sono biografie di grandi personaggi. È un settore nel quale le storiche si cimentano meno».
Dunque sarebbe questo il motivo di una ridotta visibilità delle storiche?
«Molte storiche sono innovative, i loro metodi d’indagine e gli argomenti che affrontano difficilmente incontrano l’interesse del grande pubblico dei lettori. Che invece predilige una narrazione storica più lineare ».
Quindi la questione riguarda più l’editoria che non la ricerca?
«In un certo senso sì. Il valore delle storiche non si può misurare con il numero di copie vendute ».
Ma quali sono gli argomenti trattati prevalentemente dalle storiche?
«Certamente la storia delle donne medesime, ma anche la storia dell’infanzia, delle famiglie, della mentalità. C’è la storia culturale, con la quale si misurano molte storiche adottando nuovi metodi di studio. Un altro settore è quello della storia sociale. In questi ambiti la ricerca procede e dà buoni risultati. Non è detto che abbia immediati riscontri di mercato».
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