martedì 23 febbraio 2016

Sinistra Imperiale, o "la piccola Siderurgia & Aperitivo": il politburo


Renziani e cosmopolitani a confronto nella Rete
Sinistra. L’ottimismo e la fiducia per il leader del Pd. Scetticismo e recriminazioni per Ma appena inizia l’assemblea della sinistra l’umore cambia verso

di Aldo Carra il manifesto 23.2.16
Renzi abbaia all’Europa per farci girare dall’altra parte e distrarci dai problemi irrisolti del nostro paese. Questo è abbastanza chiaro a tutti. Ma come mai raccoglie ancora il consenso di un terzo degli italiani ed addirittura registra qualche miglioramento? Oltre al neopopulismo renziano di cui si è parlato, c’è un altro fattore che non va trascurato: il consenso reale di cui Renzi gode nel paese. Questo consenso poggia intanto su un fattore storico: l’effetto trascinamento dell’elettorato proveniente dall’eredità di sinistra che sentiva fortemente il bisogno di accedere al governo nazionale da cui era stato escluso per decenni e che egli soddisfa.
Ma oltre a questo c’è il mondo social che interviene a sostegno. Per limitarci a Facebook esistono una varietà di gruppi di supporter di Renzi: Italiani con Renzi, gruppo dedicato a coloro che credono in Matteo Renzi; Italiani in Polonia con Renzi, Amici lucani insieme con M. E. Boschi; Matteo Renzi il futuro è solo l’inizio; Per M. Renzi insieme, ed altri ancora.
Si tratta di decine di migliaia di partecipanti che sono portatori del messaggio renziano.
Che rimbrottano chi protesta per le statue coperte dicendo che «parlando di questo si fanno passare in secondo piano i miliardi che arrivano e che creeranno posti di lavoro»; che si vittimizzano perché «tutti attaccano Renzi» e si consolano perché «questo dimostra il suo grande potere e questo giustifica tanti nemici»; che tifano «Renzi e vai.…l’Italia sta proprio prendendo il volo!»; che minacciano «volete riportarci all’immobilismo.…non ci provate»; che non sono ancora contenti della svolta di Repubblica: «bene Calabresi, ma ancora poco perché nel tono degli articoli prevale ancora la linea livorosa di Scalfari e Mauro»; non abbastanza soddisfatti nemmeno della Gruber perché ospita Scanzi e Travaglio; per non parlare della crociata antifannulloni: «era ora di un bel repulisti!!»; o dello squallido post con una M.E.Boschi in ampio décolleté e un commento che più maschilista non si può: «rosicate, rosicate..gufi e corvi!».
Naturalmente talvolta esagerano e ricevono questo post: scusatemi siete stati gentili ad inserirmi in questo gruppo, ma purtroppo non ho alcun interesse per il partito della nazione, anzi contatemi tra gli avversari non violenti, ma decisi. Succede, per eccesso di euforia, ai neofiti di esagerare.
Questi agit prop di nuova generazione sono la vera la base attiva del Pd di oggi.
Naturalmente vi sono anche quelli che non condividono, ma subiscono e quelli che si sono allontanati. Ma in un partito sempre più rinsecchito di circoli ed iscritti questo è il corpo vero del partito e la relazione affidata a tweet e social è il vero canale di comunicazione democratica. E’ la combinazione di questa componente con quelle prima descritte la vera chiave del successo renziano, malgrado tutto.
Ma se questo è lo scenario come vi si colloca la sinistra? Una carrellata parallela negli ambienti social frequentati dalla sinistra ci mostra una realtà ben diversa da quella prima descritta: sostanzialmente inesistenti post e commenti ottimisti o entusiasti.
Amarezza, contrapposizione, critiche su tutto, astio, processi al passato ed alle intenzioni, ferite recenti e lontane visibili, sono i tratti più diffusi. La comunità di sinistra somiglia ad una massa di persone che si aggira tra le macerie di un terremoto e che guardano con invidia chi ha subito meno danni, che si rinfacciano l’un l’altro le responsabilità dell’accaduto, perché c’era chi aveva previsto tutto e non è stato ascoltato e così via.
Quasi nessuno parla di proposte e cose da fare, quasi tutti di schieramenti, il nemico è sempre il vicino, nessuno guarda avanti e trascina gli altri verso un progetto di ricostruzione.
Emerge, insomma, una sinistra che non ha ancora elaborato il lutto delle vecchie sconfitte e divisioni e che guarda con sospetto e sfiducia ogni tentativo.
«Il nuovo partito sarà l’ufficio di collocamento dei sinistri che vogliono tenere il culo al caldo su una poltroncina gentilmente offerta dal Pd». «Cosmopolitica, una iniziativa totalmente preconfezionata: sabato andrò a scuola di mazurca»; «Una iniziativa veramente pessima: andate a quel paese!»; «Si debbono rimuovere gli errori commessi!», (intendendo naturalmente sempre gli errori degli altri).
Tutto questo fino a pochi giorni fa. Ma con Cosmopolitica qualcosa sembra poter cambiare. E, ad evento ancora in corso, cominciano a circolare post di tutt’altro segno: «Ci siamo! Dobbiamo svegliare questo paese addormentato», «Spero che i giovani riescano a prendere in mano il loro futuro». Fino ai cori da stadio: «Daje!», «E SIiiiii! Grande!!»; «Avanti compagni, diciamo SI!».
L’iniziativa dell’Eur, gestita bene dai giovani — i cosmopolitani sono stati i veri protagonisti organizzativi e politici — sembra segnare una inversione fino ad elevarsi in un: «Domenica sarebbe bello se potessimo dire: la sinistra è bellissima, senza frontiere e senza confini. Ovviamente potrà farlo chi ha il coraggio di mollare la terra ed assaltare il cielo. Buona cosmoavventura!».
Uno scatto di fiducia e speranza improvviso e nuovo. Una bella scommessa ed una enorme responsabilità per chi dovrà facilitare il processo. E, se così è, questa volta non si potrà certo sbagliare.

Una sinistra in quattro mosse

Cosmopolitica. Il comitatone, i referendum, le comunali. E dal 3 al 5 dicembre il congresso. Il gruppo centrale e i 60 delle regioni per decidere come eleggere il leader. E le regole delle assise

di Daniela Preziosi il manifesto 23.2.16
La «sinistra massimalista» non vince «neanche le elezioni di condominio»; quelli che hanno vinto, come Alexis Tsipras in Grecia, «poi hanno assunto una posizione sanamente e pragmaticamente riformista».
Davanti ai cronisti della stampa estera in Italia il presidente Renzi la prende larga per dire quello che pensa di chi sta alla sua sinistra. Quelli fuori dal Pd sono «massimalisti», quelli dentro o si adeguano oppure «ciao», come ha spiegato domenica scorsa all’indirizzo della minoranza Pd.
Basterebbe questo per spiegare la mutazione che si è formalmente compiuta lo scorso week end al Palazzo dei Congressi di Roma in tre giorni fantasiosamente denominati «Cosmopolitica» che di fatto hanno consumato lo shakeraggio fra Sel, un gruppo di ex Pd con un tesoretto di militanti al seguito, alcune associazioni (Tilt, Act, Sinistra e lavoro), singole personalità, fra intellettuali ed ex social forum.
La giornata di domenica ha sancito il passaggio di testimone di Nichi Vendola, consegnato ad un video: «È tempo che una nuova generazione avanzi sulla prima linea». E il testimone sarebbe evidentemente destinato a Nicola Fratoianni, che ha fatto l’ultimo intervento (formalmente in quanto coordinatore della segreteria). Ma il leader in pectore della nuova formazione si è attenuto ai tempi stretti, come tutti gli altri, per dare l’idea che ancora niente è deciso.
E comunque nella tre giorni è affiorata una trama di giovani leader già in prima linea, e infatti molto applauditi: da Marco Furfaro di Sel («Che bello vedere due sindaci come Zedda e Pisapia venire in un laboratorio tematico, ascoltare e poi portare il proprio contributo. La sinistra torna a vincere se va per aggregazione, non per sottrazione»), Claudio Riccio, Act («Vogliamo costruire una grande forza popolare, saremo impegnati per non fare la solita cosa, la solita sinistra», Mapi Pizzolante di Tilt («Non mi abituo alla sinistra del rancore, delle formule, degli uomini che se lo misurano, voglio costruire un’intelligenza collettiva in cui governa la solidarietà, la condivisione, il mutualismo»). Per non parlare dell’esplosiva sindaca di Molfetta Paola Natalicchio, un vero fenomeno dal palco.
Ma l’assemblea è finita tutta in piedi per Luciana Castellina, fondatrice del manifesto e ormai un’icona di quest’area, che con ironia allegra elogiava i ragazzi e proponeva «una federazione dei vecchi». Prima aveva tributato applausi allo «zapatismo partenopeo» di Luigi De Magistris e a Leoluca Orlando. Più fredda l’accoglienza per un coraggioso Gianni Cuperlo venuto a offrire la sua mano per «continuare a costruire ponti».
Il nuovo soggetto nasce dalla rottura del centrosinistra.
Le comunali, il referendum sulle trivelle del 17 aprile e quello costituzionale — i primi tre appuntamenti del nuovo partito — non accorceranno le distanze.
Si vedrà al congresso che si terrà dal 3 al 5 dicembre.
Da qui a quei giorni la platea di Cosmopolitica ha deciso un percorso, con inevitabili dosi di riunioni di backstage.
La proposta accettata è quella di Peppe De Cristoforo, responsabile organizzazione di Sel, e discussa in due lunghe sessioni venerdì e sabato. A breve nascerà un comitatone promotore di 150 persone ripartito in tre «gambe».
La prima è quella dei parlamentari di Sinistra italiana. Una quarantina ormai: oltre a quelli di Sel e agli ex pd fin qui già confluiti, hanno annunciato la loro adesione gli ex dem Giovanna Martelli e Corradino Mineo, gli ex 5 stelle Campanella e Bocchino (un altro ex grillino, Zaccagnini, aveva già aderito). Resta di sapere cosa decideranno i senatori Uras e Stefano, vendoliani ma contrari al nuovo corso.
La seconda gamba sarà una delegazione ’centrale’ composta dalla segreteria nazionale di Sel e dai rappresentanti delle organizzazioni e associazioni fondatrici, insieme a singole personalità, in tutto una cinquantina di persone.
La terza gamba verrà dai famosi «territori»: entro due mesi saranno saranno sce lti tre rappresentanti per ciascuna regione «su base consensuale». Tradotto: dovranno mettersi d’accordo evitando i litigi. Cosa non semplice soprattutto in alcune città, leggasi Roma e Milano, dove la scelta arriverà in piena campagna per le amministrative e costringerà alla conta le componenti favorevoli alla ricostruzione del centrosinistra. Non sarà un pranzo di gala, lo si è visto già nel corso della tre giorni del Palacongressi in cui non sono mancate le polemiche anche ruvide: Cofferati e Fassina da una parte, Pisapia, Zedda e Smeriglio dall’altra.
I 150 del comitatone (a occhio solo il 50 per cento proverrà da Sel) dovranno decidere le regole per il congresso e per il tesseramento (sia online, sulla piattaforma «Commo», che nei circoli).
Ma è una partita tutta ancora aperta. Così come quella delicatissima della modalità dell’elezione del o dei leader, della scelta di un congresso per mozioni o per tesi, quella del nome.
«Sinistra italiana», nome provvisorio deciso prima dell’assemblea romana non ha riscosso l’entusiasmo dei più giovani né del coté ambientalista di Sel, preoccupato per questioni anche di impianto culturale del nuovo soggetto. Il simbolo è piaciuto ancora meno.
Resta anche il nodo di chi non c’è.
Non solo l’elettore della sinistra inseguito dal nuovo soggetto ma anche i «compagni di strada» che per ora restano su un’altra strada. Ferrero del Prc, presente a Cosmopolitica, ha ripetuto la sua proposta di coalizione di sinistra. Marco Revelli, dell’Altra Europa, quella di una «vera costituente di un soggetto plurale, unitario, inclusivo, aperto». Pippo Civati invece non c’era. Una risposta più possibilista è arrivata dai candidati unitari (Fassina e Airaudo) ma per Nicola Fratoianni la condizione resta l’ingresso nel nuovo partito: «Con oggi chiudiamo la stagione degli accrocchi a sinistra».

Due anni dopo Renzi, nel Pd si apre il cantiere dei candidati alternativi
di Lina Palmerini Il Sole 23.2.16
Non è ancora chiaro come verrà costruita la candidatura alla segreteria Pd di Enrico Rossi ma un merito – intanto – ce l’ha. Ed è che ieri, con il suo annuncio, ha rotto il ghiaccio e ha ufficialmente messo nel partito una alternativa alla leadership di Matteo Renzi. Perché in questi giorni di bilancio sui due anni del premier - e delle alterne vicende del suo Governo - va fatto pure un bilancio di chi gli ha fatto opposizione e di come l’ha organizzata, soprattutto dentro il Pd.
La storia comincia con la minoranza che – dopo una direzione di partito - gli apre la strada per Palazzo Chigi ma da quel giorno molte cose gli sono state messe nel conto: Italicum, Jobs act, riforma della scuola, ultima legge di stabilità con il taglio alla tassa sulla casa, riforma del Senato. Tanti posizionamenti, sconfitte e mediazioni, ma dopo due anni dovrebbero essere mature le condizioni per far scendere in campo chi lo sfiderà alle primarie. E in effetti sembra che nel meeting di tre giorni organizzato a Perugia, dall’11 al 13 marzo, la minoranza del partito potrebbe lanciare Roberto Speranza verso la corsa congressuale. E cominciare a giocare una partita politica non solo in Parlamento ma nel Paese e tra le altre forze. Che è esattamente il passaggio che manca. Nel senso che non basta far mancare i numeri alla Camera o al Senato, come è accaduto su alcuni provvedimenti in questi due anni, ma la sfida è di trovarli - i numeri - nella società e nel partito delineando in modo chiaro quello che oggi non si capisce.
Perché tra i vantaggi del premier nel non avere avuto un anti-Renzi, è che questo gli ha consentito un margine di ambiguità o volubilità su alcune posizioni. Sull’Europa, per esempio. Il fatto di non avere nel partito una posizione netta e strutturata su quali proposte fare, a chi farle, quali alleanze costruire, a chi dire no e a chi dire sì, ha permesso che in questi due anni oscillasse da un’inclinazione tedesca a una anti-tedesca. Il punto, insomma, è che le politiche si definiscono anche in relazione a quelle dell’avversario o del competitor ma Renzi, su alcuni dossier, si è trovato davanti a un mare aperto. Con una minoranza che l’ha incalzato a strappi, su alcune leggi, ma che non ha costruito una posizione politica organica.
E quindi l’annuncio di ieri di Enrico Rossi di candidarsi – anche se alcuni nel partito maliziosamente dicono che è almeno il terzo – è forse l’avvio di una nuova fase in un partito che comunque tra un anno farà le primarie. Se non sarà prima. Resta, infatti, l’ipotesi di voto anticipato o di un congresso anticipato dopo il referendum costituzionale di ottobre. In sostanza, tutto comincia ad allinearsi verso una scadenza di 12 mesi - o forse meno - e per questo è più che attesa la convention della minoranza dell’11 marzo.
Che Roberto Speranza lanci o meno la sua personale candidatura, l’obiettivo è che si veda meglio il profilo politico dell’alternativa a Renzi. Che, per esempio, non sarà sul “no” al referendum sulla riforma costituzionale – votata anche dalla minoranza – ma che sarà un “sì” a quello sulle trivelle. E soprattutto si dovrà vedere meglio il menù su economia ed Europa visto che la piattaforma sociale della sinistra non sposa il rigore di scuola tedesca. Nel mirino ci sarà – verosimilmente – il Jobs act, si parlerà di redistribuzione e di reddito minimo: temi cruciali in un Pd che si sta trasformando e potrebbe trasformarsi ancora ma non si capisce bene come. Dopo due anni di Governo, anche per gli avversari è tempo di bilanci. E di proporre un anti-Renzi che non sia solo in grado di condizionare il premier ma che lo costringa a precisare i contorni della sua proposta di partito e al partito. 

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