Giusta la critica del postmodernismo e dell'idea di democrazia liberale come orizzonte ultimo della storia, condivisa da Huntington come da Negri. Ma quella liberale è l'unica forma di democrazia?
L'impressione è di trovarsi di fronte ad un contributo "da sinistra" allo smantellamento della democrazia moderna, perché questa viene identificata senz'altro con il capitalismo. In ogni caso mi sembra molto interessante e originale rispetto al discorso consueto su questi argomenti [SGA].
Gilles Dauvé e Karl Nesic: Oltre la democrazia, Immanenza
Risvolto
"Che si voti o meno, ad alzata di mano o con
scrutinio segreto, che i voti si equivalgano o che quello di un operaio
valga cinque contadini mentre il borghese non ha diritto di voto (come
accadeva nella Russia bolscevica), che i mandati siano imperativi o
meno, che vi sia rotazione dei delegati e limitazione delle loro
funzioni nel tempo, che essi siano revocabili ad ogni momento, che le
minoranze siano rappresentate negli organi di direzione - con voce
consultativa o deliberativa -, che chiunque possa convocare
un'assemblea, tutti questi punti hanno la loro importanza, ma non
toccano l'essenziale: la democrazia separa, poiché il suo principio è di
far sopraggiungere un momento originario, un attimo zero di fondazione o
di rifondazione. Nello stesso movimento con il quale riunisce cittadini
che si limitano a depositare una scheda in un'urna trasparente, con cui
convoca degli scioperanti ad un'assemblea generale per interrogarli sul
seguito da dare all'occupazione della fabbrica, essa recide gli
interessati da ciò che li ha messi in movimento, dunque da se stessi."
di Fabrizio Bernardi e Robert Ferro da Sinistrainrete
Vocabolari cerimoniosi e beffardi
Francesco Postorino Manifesto 18.3.2016, 0:01
La democrazia, nell’ultimo libro di Gilles Dauvé e Karl Nesic dal titolo Oltre la democrazia (Immanenza, pp. 190, euro 16), viene interpretata come la compagna ideale del capitalismo, ovvero l’effetto fisiologico della conquista liberale maturata nei tempi moderni. La democrazia è il sistema che garantisce la competizione concorrenziale ad ogni livello e i suoi schemi servono a mantenere l’ordine precostituito. Secondo gli autori, essa accoglie il contributo elettorale del proletario, del consumatore, di colui che vende le proprie braccia ai centri del potere e non importa il risultato politico che scaturisce dalle urne, quel che conta è preservare le sfere della «menzogna», i falsi strumenti della libertà d’espressione, sin quando non disturbano il governante. Riunendo i diversi, la democrazia rinforza così il vocabolario astratto della politica e tradisce le libertà collettive.
Viene inoltre perfezionata con eccessi burocratici dal soviet di Lenin, il quale dà il cambio ad una borghesia sconfitta senza sciogliere lo Stato e anzi consolidando il rapporto capitale-lavoro.
Gli assetti democratici, oltre ad inventare nuovi apparati polizieschi quando gravi minacce mettono in pericolo l’ordine, ridefiniscono in malafede i parametri della giustizia e della moralità pubblica. Il mujahidin che ad esempio contrasta gli elicotteri russi è qualificato come un «eroe», mentre l’islamico che abbatte le pedine dell’imperialismo americano è un «terrorista».
Dauvé e Nesic non ripudiano i principi elementari che disciplinano una società civile − la libertà di associazione, di pensiero, di stampa ecc. −, ma li ritengono impliciti in una «logica comunista» che dovrà anteporre le azioni alla forma, i contenuti vivi all’inganno delle strutture.
Nella loro idea, bisogna sostituire il concetto moderno della libertà con un nuovo rapporto sociale. L’individuo non può isolarsi o rinchiudersi nella roccaforte del privilegio. Non può condurre un’esistenza sottoposta al rito della paura e immaginare che un ente sovrano debba conciliare le tensioni permanenti che abitano nella società.
La libertà da inseguire è «tutto ciò che costituisce l’altro». Le esperienze collettive preannunciano la «verità» e consentono di correggere gli impulsi liberisti. Fuori dal recinto democratico e dalla violenza del denaro, sarebbe possibile riappropriarsi delle condizioni di esistenza riaffermando il senso dell’uomo.
Per spezzare questa lunga stagione liberaldemocratica, i due autori suggeriscono la via del comunismo. Un comunismo alternativo all’opzione economicistica e che, ispirandosi a Marx, ridia il sapore alla vita, si opponga alle «separazioni politiche» elogiate da Claude Lefort e schiacci le molteplici ombre dell’alienazione attraverso un nuovo modo di pensare, di agire, di stare al mondo. Solo il comunismo può infine riscoprire una libertà «senza misura» che sfiori la profondità delle relazioni umane dimenticando le cerimonie e i falsi miti della democrazia.
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