venerdì 4 marzo 2016

I Frammenti etnografici di Posidonio di Apamea

Posidonio di Apamea: Frammenti etnografici, trad. di Miska Ruggeri, La Vita Felice, pp. 192, euro 12,50

Risvolto

«Posidonio dice di aver visto egli stesso questo spettacolo in molti luoghi e che dapprima ne era disgustato, ma che in seguito lo sopportava serenamente a causa dell’abitudine. Ungendo di olio di cedro le teste dei nemici illustri le mostravano agli stranieri, e rifiutavano di restituirle dietro riscatto, fosse anche al prezzo di un uguale peso d’oro.» (Frammento 32)
L’etnografia antica ha il suo vertice nel filosofo stoico Posidonio di Apamea (135-50 a.C. circa), una mente universale alla Leonardo, che nelle Storie – purtroppo giunte fino a noi solo in frammenti – elimina con l’autopsia secolari pregiudizi nei confronti dei barbari e con un’accurata critica delle fonti errori e leggende, spiegando con una salda teoria filosofica l’uguaglianza di fondo e al contempo le diversità tra i popoli. Al centro delle sue ricerche, che riguardano comunque tutte le genti gravitanti attorno al mondo greco-romano, ci sono i Celti, coraggiosi, forti e sani, contrapposti ai popoli orientali, in piena decadenza tra lussuria e superstizione. Ma Posidonio si rivela anche grande scrittore, capace di descrizioni precise e divertenti in uno stile limpido e vivace. Non è certo un caso che Cesare, Diodoro, Strabone e Plutarco gli siano profondamente debitori.

Questi grandi guerrieri celtici sembrano gli eroi di Omero 
Nei «Frammenti etnografici» del filosofo stoico la prima descrizione della società dei Galli. Fondamentale pure per le conquiste di Cesare 
Girgenti 3 mar 2016  Libero
Basata sull'edizione critica di Edelstein-Kidd, giunge in libreria la seconda traduzione italiana dei Frammenti etnografici superstiti di Posidonio di Apamea (135-50 a.C. circa), pensatore, geografo ed etnografo che viene tradizionalmente inquadrato nella corrente filosofica del cosiddetto “mediostoicismo”, ma che in realtà si occupò di numerosi altri campi del sapere, dalla storia alla geografia, dall’astronomia alla meteorologia, dalla fisica alla teologia, dalla mantica alla logica, dalla storia della scienza fino alla tattica militare. La prima traduzione, pubblicata per Bompiani, era di Emmanuele Vimercati, questa seconda, pubblicata per La Vita Felice ( pp. 192, euro 12,50), è di Miska Ruggeri, il quale ci restituisce un pensatore dalla mentalità universale e cosmopolita, che elimina con l’autopsia, vale a dire con la verifica diretta nei luoghi e con la conoscenza personale dei popoli descritti, i secolari pregiudizi ellenici nei confronti dei “barbari”.  
Occorre tenere presente che, dopo la sconfitta di Pidna, i Greci si erano trovati improvvisamente sottomessi a una dominazione, quella romana, fino ad allora considerata “barbarica”, ma che da quel momento in poi si era conquistata la dignità di “civiltà” parallela a quella greca, per dirla con Plutarco. Pertanto, l’opera di Posidonio è “mediana” non solo tra la filosofia dell’Antica Stoa e quella del neostoicismo di Seneca, Epitteto e Marco Aurelio, ma anche e soprattutto, più in generale, tra la civiltà greca decadente e la civiltà latina emergente, con una spiccata propensione per i popoli giovani dell’Occidente, a suo giudizio più vigorosi di quelli ormai corrotti dell’Oriente (Etruschi, Ebrei, Siriani, Parti, Carmani ecc.). 
Con un’accurata analisi critica delle fonti, Posidonio corresse vari errori e confutò leggende, spiegando con una salda teoria filosofica l’uguaglianza di fondo e al contempo le diversità tra i popoli. Al centro delle sue ricerche, che riguardano comunque tutte le genti gravitanti attorno al mondo greco-romano, ci sono i Celti, coraggiosi, forti e sani, contrapposti ai popoli orientali dei regni ellenistici in piena decadenza tra lussuria e superstizione. 
I suoi resoconti di viaggio partono da Rodi, dove era stato allievo di Panezio, per giungere, attraverso uno o più porti greci, in Italia, dapprima in un approdo siciliano (Catania o Siracusa), poi a Dicearchia o Ostia, ancora in un porto ligure, fino a Marsiglia, e infine nei territori interni montagnosi verso nord-est e poi verso nord-ovest, sia nella Gallia occidentale sia nell'Iberia orientale, alle bocche dell’Ebro: visitò Nuova Cartagine e Cadice e si spostò nella parte meridionale della Lusitania, nell’attuale Portogallo; di ritorno a Cadice, si imbarcò verso le Isole Baleari e la Sardegna, fece tappa sulle coste libiche, ritornò a Ostia e infine a Rodi, interamente per mare attraverso lo Stretto di Messina. Posidonio si rivela grande scrittore non meno che grande scienziato, capace di descrizioni precise e divertenti in uno stile limpido e vivace. Non è certo un caso che Cesare - il quale portò con sé in Gallia le Storie dell’Apamense, peraltro amico personale del suo futuro rivale Pompeo, usandole come una sorta di guida attraverso un territorio sconosciuto e ostile - Diodoro, Strabone e Plutarco gli siano profondamente debitori.
Dai suoi frammenti celtici, senza dubbio il vertice dell’intera etnografia greca e «un modello offerto al popolo francese per ogni passata e futura stravaganza», secondo una celebre definizione di Arnaldo Momigliano, emergono i costumi fieri di questo popolo guerriero, in cui sono mischiati semplicità, astuzia, combattività, coraggio, meritocrazia, vanagloria, amore per il bere e per gli ornamenti. Soprattutto, in loro si possono rinvenire tracce di antichi stadi di sviluppo (un’idea da cui muovono l’etnografia e la preistoria moderne): nei combattenti gli eroi di Omero, come Aiace, pronto a morire pur di avere le armi di Achille, o Ettore, gli «Argivi, leoni mangiatori di carne) - non a caso abbondano i richiami e i rimandi all’Iliade e all’Odissea; nei druidi le vestigia venerabili di un passato remotissimo e destinato, inevitabilmente, a scomparire. E Posidonio, pur filoromano e consapevole che Roma è la nuova padrona del mondo, non rinuncia a far trasparire, tra le righe, il proprio rimpianto per una civiltà sul punto di essere spazzata via.

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